< PreviousL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 30 in giacimenti geologici, ci ha pensato l‘Uomo a rimetterlo in circolo sotto forma di CO 2 proveniente dai processi di combustione controllata per produrre energia termica e meccanica. Si parla di economia verde ma la dimensione della biomassa verde delle terre emerse non è in grado di invertire la tendenza all’aumento della CO 2 in atmosfera poiché dovrebbe crescere più di quella emessa: quando si parla di “carbon neutral” si va ad indicare un equilibrio tra emissione e fissazione previsto per il 2050 su scala globale e allora sarà troppo tardi per evitare tutti i fenomeni climatici e meteorologici estremi connessi all’aumento della CO 2 in atmosfera e al conseguente aumento della temperatura globale. E quindi? Bisogna approfondire un’analisi più complessa dei fenomeni bio-geodinamici globali del ciclo della CO 2 valorizzando la ricerca svolta tra il 2012 e il 2014, finanziata dal Distretto della Pesca della Regione del Veneto, per un gruppo di ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, coordinato da chi scrive questo articolo: i risultati, certificati da un Organismo competente nel 2015, sono stati ampiamente confermati da altre ricerche internazionali successive che hanno chiarito l’importanza del ciclo bio-geodinamico marino della CO 2 (Blue Carbon by Marine Bivalves by Henrice Jansen & Lisanne van den Bogaart. Wageningen Marine Research Yerseke, December 2020). I due terzi del carbonio del Pianeta si trovano nella massa acquatica di mari ed oceani che sono il luogo della maggior produzione di ossigeno grazie al fitoplancton, da oltre 3 miliardi di anni, dove la CO 2 viene “trasformata” in una biomassa che circola con le correnti; da oltre 600 milioni di anni esistono degli organismi che “intrappolano” la CO 2 in una matrice carbonatica stabile diventata nel tempo sedimenti che si sono accumulati dando luogo anche a imponenti fenomeni orogenetici; Alpi Apuane e Dolomiti sono tra i giganteschi testimoni di questi processi. Nel mare questi organismi aggregati svolgono un ruolo essenziale per il sostegno della biodiversità – barriere coralline – e nella formazione degli spazi costieri dove molluschi bivalvi si sono evoluti con i flussi mareali, conservando nelle valve chiuse la parte molle (appunto mollusco) che filtra poi dal battente d’acqua il fitoplancton tenendosi da una parte la componente organica come fonte di energia, fissando invece dall’altra la componente minerale sotto forma di carbonati di vario tipo, in una matrice metallo organica stabile che è una meraviglia della natura. Questo processo determina un flusso della CO 2 aria>acqua (come acido carbonico)>prodotti carbonatici insolubili (gusci dei molluschi) ed è l’unico che da milioni di anni indirizza la CO 2 gassosa verso sedimenti stabili in fondo al mare. Se si vuole avviare un processo di decarbonizzazione l’ambiente marino va potenziato in questa sua funzione. Come? Prima di tutto, tenendo pulito il mare dai combustibili fossili poiché il particolato di combustione e le perdite di oli minerali formano nell’acqua una pellicola sulla superficie che ostacola gli scambi gassosi sia dell’ossigeno prodotto dal fitoplancton sia per la miscibilità della CO 2 atmosferica nell’acqua. Roberto Cingolani, Ministro della Transizione ecologica, alla conferenza “Youth4Climate” preparatoria per la prossima Cop26 di Milano, ha detto ai giovani del bla, bla, bla: «Vogliamo ascoltare le vostre idee, proposte e raccomandazioni, abbiamo bisogno della vostra visione e motivazione e del vostro coinvolgimento». E ancora: «Uniamo le forze, non dobbiamo rinunciare al nostro futuro e al futuro del nostro Pianeta». Durante la manifestazione di Ecofuturo, a luglio scorso, le proposte sono state fatte dal Presidente (Prioli) dell’Associazione Mediterranea di Acquacoltura (Ama), dal Consorzio Nazionale di Biogas-fatto bene- per una maricoltura sostenibile che possa impiegare nelle attività produttive in mare combustibili naturali e ove possibile motorizzazione elettrica. La Molluschicoltura italiana, che provvede ad oltre 100 mila t/anno di produzione con il lavoro di più di 10 mila addetti, di fatto dà già un contributo alla decarbonizzazione per almeno 40 mila ton/anno fissate, valore che può aumentare maniera significativa se si potranno alimentare i mezzi nautici con biogas naturale; una interessante sinergia tra produzione in mare e utilizzo di prodotti combustibile che vengono da una filiera agro-zootecnica. La contabilità della CO 2 che si può fissare in questo sistema integrato, ha preso avvio a La Spezia coinvolgendo L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 31 i Molluschicoltori locali, Enea, Cnr, CarbonSink esperta di contabilità ambientale ed Enti locali per definire una modalità trasparente e legittima, idonea a definire i crediti di carbonio. I valori di un processo di decarbonizzazione saranno stimati anche con l’ausilio di sistemi di misura multiparametrici in connessione, tramite una tecnologia innovativa di “submarine Internet” messa a punto da Wsense, spin off dell’Università “La Sapienza” di Roma. Rispetto ai sistemi terrestri, il processo biogeodinamico in mare ha un vantaggio in più: il carbonio fissato nei processi di biocalcificazione passando per la fotosintesi del fitoplancton, è un sequestro stabile dei composti carbonatici, come in precedenza illustrato. Se da una parte il passaggio a energie rinnovabili va a diminuire gli apporti nell’aria, la fissazione in Terra e in mare – un Carbon Blu Sink – è l’unica speranza di rallentare l’aumento della CO 2 in atmosfera che è causa dell’innalzamento della temperatura, molto evidente anche nella matrice marina. Una bistecca di carne di 150 gr. ha un costo emissivo di produzione di oltre 1 kg di CO 2 mentre 1 kg di mitili – 250 gr di ottimo alimento – comporta la fissazione di circa 300 gr. equivalenti di CO 2 . Mangiare molluschi è un “contributo gradevole” alla lotta per il cambiamento climatico Con questi piatti, ottimo esempio d'integrazione terra con il mare, 40 gr di CO 2 risparmiata Dalle pagine di questa rivista lanciamo al Ministro Cingolani la proposta che non è un’idea semplice, ma un progetto articolato legato a una realtà produttiva consolidata da valorizzare con risorse finanziarie, accompagnate da norme regolamentari che non sono costose, ma rappresentano nel loro complesso una svolta culturale come previsto dallo spirito del Pnrr. Un comportamento virtuoso dell’Italia può trascinare l’intero Mediterraneo – con già oltre 500 mila ton/anno di produzione di molluschi - a studiare, comprendere la dinamica degli scambi della CO 2 aria>acqua> sedimenti biocarbonatici e potenziare questo comparto che non è in contrasto con la produzione di energie rinnovabili in mare. Il Mediterraneo, opportunamente studiato, “coltivato” e governato, può essere un modello predittivo significativo del ciclo della CO 2 su scala globale e delle relative conseguenze sul clima. ▲L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 32 Q uanto tempo avete trascorso a spedire email, sui social network o sulle piattaforme di streaming per guardare video o ascoltare musica? La trasformazione digitale è divenuta dirompente, disruptive come dicono gli anglosassoni, termine quasi onomatopeico e la tendenza si è ancora più affermata durante i mesi della pandemia, quando le videochiamate, le riunioni, gli eventi su Zoom e gli aperitivi con gli amici sui social media sono diventati la normalità. Da una parte questi strumenti hanno aiutato a sentirci meno isolati e continuare a lavorare nonostante il confinamento, dall'altro non hanno fatto che aumentare l'impronta ecologica dell'ICT (Information and Communications Technology); ogni email, ogni allegato, ogni nuovo post hanno un peso sul clima, emettono una certa quantità di CO 2 , dovuta ai consumi energetici e all'alimentazione di server e data center. Qual è il peso di Internet sul clima o meglio, quante sono le emissioni di gas serra delle tecnologie digitali? Secondo un Rapporto pubblicato nel 2019 da The Shift Project, “Lean ICT – Towards Digital Sobriety”, l'intero comparto conta per il 4% delle emissioni globali, mentre la L'impatto del web sul clima è importante e crescente. Ecco come fare a ridurlo Cattivo clima in rete TECNOLOGIA / di Rudi BressaL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 33 Crescendo al ritmo attuale le tecnologie digitali entro l'anno 2040 arriveranno a rappresentare il 14% delle emissioni globali 1 https://theshiftproject.org/wp-content/uploads/2019/03/Lean-ICT-Report_The-Shift-Project_2019.pdf 2 https://www.statista.com/statistics/456500/daily-number-of-e-mails-worldwide/#professional 3 https://carbonliteracy.com/the-carbon-cost-of-an-email/ 4 https://www.iea.org/commentaries/the-carbon-footprint-of-streaming-video-fact-checking-the-headlines domanda energetica cresce del 9% l’anno. Non solo, le stime dicono che le emissioni raddoppieranno entro il 2025, per arrivare al 14% entro il 2040. Ovviamente questi calcoli non tengono conto della potenziale riduzione delle emissioni dovute alla diminuzione degli spostamenti per conferenze, appuntamenti e riunioni di lavoro. Oggi, interi eventi vengono trasmessi online, evitando che centinaia di persone debbano prendere un mezzo di trasporto. Email e video di "peso" Sebbene l'energia necessaria per una singola ricerca su Internet o email sia ridotta, c'è da sottolineare che circa 4,1 miliardi di persone, ovvero il 53,6% della popolazione mondiale, utilizza il web quotidianamente. Se pensiamo che ogni invio emette circa 4 grammi di CO 2 o 50 grammi con allegati, ed essendo circa 300 miliardi gli email inviati e ricevuti ogni giorno, risulta ovvio come il computo totale sia decisamente elevato. Secondo un calcolo del Carbon Literacy Project, un impiegato d'ufficio riceve circa 121 email al giorno, tra cui spam, newsletter e bozze, che producono ben 1,6 chilogrammi di CO 2 . In un anno si calcola che l'impronta di carbonio di un singolo lavoratore si avvicina a quella totale di un abitante dell'India. A questo, va aggiunto l'impatto che hanno le piattaforme di streaming e i video in essi caricati. Solo lo streaming video genera il 60% dei flussi di dati a livello mondiale, producendo oltre 300 milioni di tonnellate di CO 2 l'anno. Un dato che rappresenta il 20% delle emissioni di gas serra di tutti i dispositivi digitali (uso e produzione inclusi) e l'1% delle emissioni globali, vale a dire le emissioni totali di un Paese europeo come la Spagna. In una Review pubblicata dall'Agenzia internazionale dell'energia (Iea), le stime sono al ribasso: se alimentato dal mix elettrico medio globale, nel 2019 lo streaming di un programma di 30 minuti su Netflix ha rilasciato circa 18 grammi di CO 2 , circa 90 volte meno la cifra originale di 1,6 kg pubblicata su The Shift Project. Volendo fare un raffronto Per contestualizzare, la stima aggiornata per l'impronta di carbonio media di un video Netflix di mezz'ora equivale a guidare per circa 100 metri un'auto convenzionale. Cifra che dipende molto da come viene prodotta l'elettricità, ovvero se da fonti a basse emissioni come le rinnovabili o da fonti fossili. Cosa stanno facendo i provider Tra i vari fornitori di servizi Google, il gigante di Mountain View, ha da poco reso noto che entro il 2030 utilizzerà energia a zero emissioni di CO 2 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Nel 2020, per il quarto anno consecutivo, Google ha compensato il 100% dell'energia consumata annualmente con l'acquisto di energia rinnovabile, portando nella rete circa 6 gigawatt di nuova energia rinnovabile. Questo risultato ha implicato l'acquisto di un surplus di energia rinnovabile nelle aree geografiche in cui l'energia solare e quella eolica sono abbondanti, per esempio il Midwest degli Stati Uniti, per compensare la mancanza di energia rinnovabile in altre aree, come Taiwan. In alcuni casi viene acquistata ulteriore energia solare durante il giorno per compensare l'utilizzo di energia con maggiori emissioni di CO 2 durante la notte. Per quanto riguarda Facebook, altro colosso del web, pochi mesi fa ha annunciato che le operazioni globali sono alimentate dal 100% di energia rinnovabile e hanno raggiunto emissioni nette pari a zero. Zuckerberg ha inoltre fatto sapere che nel 2030 la società raggiungerà emissioni nette pari a zero anche per l'intera catena del valore, ovvero con i fornitori, nonché con i viaggi d'affari e il pendolarismo dei dipendenti. Oggi Facebook è tra i maggiori finanziatori negli Stati Uniti di progetti di impianti rinnovabili: un investimento stimato di 8 miliardi di dollari ha portato alla realizzazione di 63 nuovi impianti eolici e solari. Anche la concorrente Apple ha annunciato che oltre 110 aziende partner della sua filiera in tutto il mondo useranno esclusivamente energia rinnovabile per la produzione: una volta raggiunto l’obiettivo, si eviterà la produzione di oltre 15 milioni di tonnellate di CO 2 su base annua; come se ogni anno si togliessero più di 3,4 milioni di auto dalle strade. Già oggi tutti gli uffici di Cupertino ma anche nel resto del mondo sono carbon neutral. Microsoft dal canto suo ha annunciato l’intenzione di diventare entro il 2030 un’azienda “carbon negative”, cioè capace di riassorbire più CO 2 di quella immessa nell’atmosfera, con l’obiettivo di azzerare nel 2050 le emissioni prodotte fin dalla sua fondazione nel 1975. Più indietro nella rincorsa Amazon, che solo recentemente ha puntato sulle rinnovabili, arrivando al 65% nel 2020 nelle operazioni globali e sulla mobilità elettrica per la logistica. Un deciso segnale dei tempi e della tendenza in atto, perché quando L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 34 colossi del genere investono in un certo tipo di soluzioni, possono dettare l'agenda al resto del mondo hi-tech, anche a livello finanziario. Ma non basta, perché servizi e prodotti aumentano di anno in anno, così come chi li utilizza. Cosa possiamo fare Indubbiamente anche le nostre scelte quotidiane incidono sui consumi e quindi sull'impronta ecologica della rete. Cosa fare dunque? Innanzitutto puntare a quella che The Shift Project definisce come “sobrietà digitale”: un approccio che mira a ridurre l'impatto ambientale della tecnologia digitale. L'espressione francese “la sobriété numérique” è stata coniata nel 2008 dall'associazione GreenIT.fr per designare l'approccio che consiste nel progettare servizi digitali più sobri e nel moderare i propri usi digitali quotidiani. Insomma una riduzione di quegli utilizzi spesso compulsivi di servizi e prodotti digitali che non fa altro che aumentare il consumo di energia e risorse. È inoltre possibile adottare altri atteggiamenti, per esempio monitorando i consumi della nostra navigazione in rete: con l'estensione per browser “Carbonalyser” è possibile visualizzarne il consumo e le emissioni di gas serra cui porta la navigazione in Internet; è utile per comprendere che gli impatti delle tecnologie digitali sui cambiamenti climatici e sulle risorse naturali non sono virtuali, sebbene siano nascosti dietro i nostri schermi. Google dal canto suo permette sia su desktop che sul mobile, di usare la versione scura del motore di ricerca. Questo permette di ridurre i consumi energetici dei nostri dispositivi, oltre ad aver benefici per la vista. Esistono poi alternative ai consueti motori di ricerca, come Ecosia. Il motore di ricerca nato nel 2009 con sede a Berlino, dichiara di donare l'80% dei proventi derivanti dalla pubblicità online e alle ricerche effettuate a programmi di riforestazione in varie parti del mondo. In questo caso rimangono sempre dei dubbi sui processi di compensazione, perché molto dipende da dove e cosa si pianta e soprattutto quale tipo di gestione segue questo genere di progetti. Ma questa è un'altra storia. ▲ 5 https://tech.fb.com/renewable-energy/ 6 https://www.apple.com/it/newsroom/2021/03/apple-powers-ahead- in-new-renewable-energy-solutions-with-over-110-suppliers/L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 36 CO 2 : non solo lei PROSPETTIVE / di Ivan Manzo N egli ultimi anni siamo stati “bombardati mediaticamente”, anche attraverso pubblicità che non brillavano certo per trasparenza, dal cattivo ruolo giocato dalla CO 2 di origine antropica per l’equilibrio climatico. Anche se stiamo parlando del gas serra più presente in atmosfera e maggiormente prodotto dall’uomo, non va dimenticato che non è l’unico “nemico” del clima. Di gas climalteranti ne esistono diversi, alcuni addirittura più impattanti. Parliamo del metano e dei fertilizzanti azotati. Come intervenire in questo caso per contenere l’aumento medio della temperatura terrestre? L’aumento delle emissioni di metano Si stima che dal periodo preindustriale (1880) il metano fossile e d'altra origine (CH4) abbia contribuito a circa il 30% di tutto il riscaldamento globale. Una percentuale Nel processo di danneggiamento del clima non esiste solo la CO 2 ma anche altri climalteranti. Ecco come ridurliL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 37 alta che lo fa diventare, dopo la CO 2 , il secondo gas serra responsabile del cambiamento climatico. Gas che ha un potere climalterante di quasi 30 volte superiore all’anidride carbonica. La buona notizia è che il CH4 rispetto alla CO 2 è assorbito prima dagli ecosistemi - una decina di anni contro oltre un secolo - motivo per cui tagliare queste emissioni diventa fondamentale per avere effetti positivi sul clima nel breve periodo. Secondo il “Global Methane Assessment: Benefits and Costs of Mitigating Methane Emissions” (https://bit.ly/2Y9okYn) dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente), dal 1880 la concentrazione del metano in atmosfera (di circa 1,9 parti per miliardo) è più che raddoppiata; trend che non sembra accennare a flessioni. Il metano rilasciato dall’attività antropica proviene da tre categorie: combustibili fossili, rifiuti e agricoltura. Lo studio individua una serie di azioni da avviare, coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che ridurrebbero del 45% queste emissioni entro la fine del decennio, evitando entro il 2045 un aumento medio della temperatura di quasi 0,3 °C. In primis, occorre intervenire sui combustibili fossili ottimizzando i processi di distribuzione e perforazione, settore che è responsabile di circa il 35% di tutto il metano emesso dall’uomo. Il metano deve essere prima trivellato o recuperato attraverso l’attività di “fracking”, poi spostato lungo i gasdotti, convertito in liquido, trasportato su una nave, rimesso in un gasdotto, e così via. Un processo lungo che genera parecchie fuoriuscite incontrollate. Altro aspetto fondamentale riguarda il sistema alimentare. Quest’ultimo rilascia circa il 40% di tutte le emissioni antropiche di metano sul Pianeta. Bisognerebbe sia ridurre gli sprechi migliorando la gestione del bestiame e spingendo i consumatori ad adottare diete “più sane” a basso contenuto di carne e latticini, sia sviluppare e mettere a sistema la produzione di biometano a filiera corta, al fine di ridurre la maggior parte delle perdite. Per il settore dei rifiuti sarà importante migliorare i processi che interessano lo smaltimento di quelli solidi aumentando la quota del riciclo e poi sviluppare anche qui la produzione di biometano. Il biometano a filiera corta, se non cortissima, sono oggi disponibili sistemi di distribuzione all'utenza automobilistica che possono essere attivati a pochi metri dagli impianti di produzione, infatti, se viene utilizzato emette in atmosfera quella molecola di carbonio che è stata sequestrata all'orgine. Tradotto: è carbon neutral. Oltre a ciò il biometano può essere utilizzato per la prima fase dell'economia dell'idrogeno visto che la miscela di biometano al 75% e idrogeno al 25% può essere utilizzata e distribuita nei sistemi usati oggi. Infine, si legge nello studio, la riduzione del metano in atmosfera porterebbe benefici anche in altri ambiti, come quello sanitario: «si tratta di un inquinante atmosferico che contribuisce a formare lo ‘smog’. Una riduzione del 45% eviterebbe ogni anno nel mondo 260 mila morti premature, 775 mila visite ospedaliere legate all'asma, 73 miliardi di ore di manodopera persa a causa del caldo estremo, e 25 milioni di tonnellate di raccolti andati a male». N 2 O: una “nuova” minaccia La ricerca “A Comprehensive Quantification of Global Nitrous Oxide Sources and Sinks” (https:// go.nature.com/3F09G6q) , pubblicata su Nature, fa per la prima volta il punto sul ruolo del protossido di azoto (N 2 O) nel riscaldamento globale. Negli ultimi quarant’anni le emissioni di N 2 O sono aumentate di circa il 30% e a essere messo “sotto inchiesta” è ancora una volta il settore alimentare. «Alla crescente domanda di carne e latticini», si legge nella ricerca, «è corrisposto un uso maggiore di fertilizzanti azotati (contenenti N 2 O) in agricoltura». L' N 2 O è un gas serra di lunga durata: è quasi 300 volte più potente della CO 2 in un periodo di cento anni ed è il terzo maggior contributore al cambiamento climatico (dopo CO 2 e metano). I Paesi con le maggiori emissioni antropiche e in rapida crescita, sono Brasile, Cina e India. Dati che rafforzano il fatto che bisogna necessariamente (anche) cambiare modelli di produzione e abitudini alimentari per combattere la crisi climatica. La ricerca ricorda che vanno adottati «modi più efficienti di produrre cibo con minori emissioni di azoto per unità di prodotto». Non c’è dubbio che il passaggio a modelli a base vegetale riduca la quantità di N 2 O, di CO 2 e di CH 4 in atmosfera. Ci apprestiamo a vivere in un mondo che ospiterà circa 10 miliardi di persone entro il 2050. La biocapacità del Pianeta ci ricorda che è possibile sfamare tutti mentre mitighiamo gli impatti dell’attività umana, ma per farlo occorre utilizzare su larga scala le “nature based solutions”: tecniche di gestione del capitale naturale ispirate ai processi naturali, che intendono salvaguardare i preziosi servizi ecosistemici dalla quale dipendiamo. La Natura ci viene dunque ancora in soccorso . Bisogna ascoltarla. ▲ Il biometano, quando è utilizzato, emette in atmosfera quella molecola di carbonio che è stata sequestrata all'origine. Tradotto: è carbon neutralL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 38 Diamoci alla macchia T ra le grandi sfide attuali c’è il contrasto al fenomeno della desertificazione, problema complesso che impatta su aspetti sociali ed economici e che discende da cause legate anche alle attività antropiche. Questi fenomeni si traducono in perdita di fertilità dei suoli, una risorsa non rinnovabile, di recente diventata uno degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile finalizzato al raggiungimento della Land Degradation Neutrality. La desertificazione interessa anche l’Italia, soprattutto le regioni dell'Italia meridionale e le isole; per tale motivo queste ultime sono state studiate e caratterizzate cartograficamente a scala regionale adottando il protocollo Medalus; la Sicilia vanta la maggiore ricchezza di studi https://bit.ly/3BoOaGe e https://bit.ly/3izusAe ultimamente arricchiti dai quaderni dell'IRSSAT https://bit. ly/3AoJIpI. Conoscenze scientifiche preziose, georiferite e oggetto di ricerca, spinte fino a scala comunale per disporre di informazioni puntuali del territorio siciliano, utili per avviare i primi ragionamenti programmatori degli interventi da porre in essere per rallentare o invertire il fenomeno del degrado del suolo, rendendo i luoghi maggiormente resilienti ai cambiamenti climatici e per sperimentare classificazioni comunali del rischio https://bit.ly/3oK1j9a e https:// bit.ly/3FvPUA3. Ai dati devono seguire strumenti politici, interventi territoriali e attività volte alla sensibilizzazione e divulgazione. La Regione PROGETTI / di Rachele Castro*, Francesco Cancellieri**, Vincenzo Piccione*** *Presidente Consulta Ambiente Irssat e-mail: r.castro@irssat.it **Presidente ASSOCEA Messina APS e-mail: ing.francesco.cancellieri@gmail.com ***Componente Comitato Scientifico Irssat e-mail: vincenzopiccione@yahoo.it L'educazione ambientale passa anche dai boschi. Ecco un'esperienza in SiciliaL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 39 Siciliana si è dotata nel 2020 di una Strategia regionale di azione per la lotta alla desertificazione e di un comitato tecnico scientifico e vanta il grande impegno di due Centri di Educazione Ambientale: il Cea Messina - oggi AssoCEA Messina APS (www.ceamessina.it) presieduto dall’ing. Francesco Cancellieri e il Ramarro (www.ramarrosicilia. com), che sin dal 1990 sono impegnati nel promuovere comportamenti attivi a favore dell'ambiente. Il problema della desertificazione è fra le priorità e si organizzano varie iniziative https://bit.ly/3FkvSbz. L'impegno più entusiasmante è scattato nel 1993 quando il Comune di Caltagirone ha assegnato loro in comodato gratuito un'area boschiva demaniale degradata, estesa su 12 ettari, come base per la didattica ambientale, esempio virtuoso di turismo naturalistico nonché per ripristinare l’antica copertura vegetale a macchia mediterranea https:// youtu.be/3Aq5nOow_2o e https://youtu.be/Gisc1CCc7pw. I volontari, grazie ad alleanze e sponsor e all'assistenza tecnico-scientifica delle principali Università siciliane, sono impegnati nella ricostruzione dell'antico manto forestale che Re Ruggero II Normanno donò alla città di Caltagirone nel 1193, procedendo al ritmo della piantumazione annuale di circa mille essenze tra sugheri, lecci, carrubi, olivastri, roverelle. Ben consapevoli che non basta piantare alberi, occorre ricreare ecosistemi. Dal 1995, annualmente, si festeggia la macchia mediterranea con la messa a dimora di piantine di latifoglie arboree e arbustive tipiche. Finora ne sono state messe a dimora oltre 7 mila. L’iperattivo centro promuove soggiorni internazionali di formazione ambientale in servizio volontario, impegnando giovani di tutta Europa nella difesa dei boschi dal rischio incendi e ripristino di antichi sentieri pubblici. Nel 1997, grazie a un premio in denaro dalla Presidenza della Camera dei Deputati, è stato avviato il recupero del rudere insistente sull’appezzamento in contrada renelle dato in concessione e che oggi, ricostruito da volontari, si presenta così (Fig. 1). Dal 2006 in convenzione prima con la locale Casa Circondariale di Caltagirone e successivamente con la Presidenza del Tribunale di Caltagirone vari detenuti vengono coinvolti in progetti di inclusione sociale finalizzati alla tutela ambientale presso la base sotto la guida instancabile del prof. Renato Carella, padre nobile del Centro (Fig. 2). Dati i successi del ripristino della macchia mediterranea e i risultati positivi in termini di contrasto ai processi di desertificazione, nel 2016 è stata presentata dai suddetti CEA a Caltagirone (primo comune firmatario) la Carta dei Comuni Custodi della Macchia Mediterranea (www. cartamacchiamediterranea.it) (Fig. 4) un impegno d'onore al quale fino ad oggi hanno aderito un centinaio di comuni siciliani e otto capoluoghi di provincia su nove. La Regione Siciliana ha fatto propria l'iniziativa e la Festa Nazionale dell'Albero che in Sicilia è diventata anche quella della Macchia Mediterranea e ha istituito un Comitato Regionale con rappresentanti dei suddetti Cea. L'impegno di cittadini di buona volontà può dare validi frutti per la tutela e il ripristino dell'ambiente (Figg. 3, copertina), un buon esempio che si sta tentando di esportare anche in altre Regione italiane (vedasi adesione del Comune di Pomezia (RM)). ▲ fig. 1 fig. 2 fig. 4 fig. 3Next >