< Previous30 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 ALIMENTAZIONE / di Fabio Buccolini* Fornello sostenibile Il clima deve essere messo a dieta vista l'importanza dell'a- gricoltura per le emissioni V isto il rischio di ingrassare che questo periodo di qua- rantena porta con sé, scri- vere di diete è un’opportu- nità favorevole, specialmente ai fini della popolarità individuale. Prima di tutto voglio tranquillizzare circa il fatto che non voglio interpretare la parola “dieta” come evocatrice di privazioni e sacrifici. La dieta di cui parleremo, infatti, non è “dimagrante e/o disintossicante” ma è amica dell’ambiente e quindi sostenibile; concetto in netto contrasto con le libagio- ni del periodo appena trascorso. Con la dieta sostenibile a essere “disintossicato” è l’ambiente, e la “cura dimagrante” è a cari- co delle emissioni favorendo (non poco) il rallentamento dei cambiamenti climatici. Proprio i cambiamenti climatici infatti possono essere considerati contempora- neamente vittime e carnefici dei processi agro-industriali connessi all’alimentazio- ne umana in quanto provocano e sempre più provocheranno delle modificazioni a comportamenti e metodi consolidati: dalle scelte individuali ai modelli socio- economici. Il cambiamento climatico im-31 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 patta sulla nostra dieta e sull’agricoltura ed è quindi un concetto consolidato che un’alimentazione umana sostenibile sia la nuova frontiera per “salvarci” degli effetti del riscaldamento globale. La produzione di cibo infatti, secondo Garnett (2014) contribuisce al cambiamento climatico per circa un 20-30%, eguagliando il riscal- damento degli edifici (23,6%) e dei mezzi di trasporto (18,5%), che per altro, sono essi stessi abbondantemente coinvolti nel- la filiera agro-alimentare. Ma in termini pratici che cos’è una dieta sostenibile? In accordo con la definizione della FAO è “una dieta a basso impatto ambientale che contribuisce alla sicurezza alimentare e nutrizionale e alla vita sana per le generazioni presenti e future. È una dieta sostenibile quella che protegge e ri- spetta la biodiversità e gli ecosistemi ed è culturalmente accettabile, accessibile, economicamente equa e conveniente ol- tre che nutrizionalmente adeguata, sicura, sana e in grado di ottimizzare le risorse na- turali e umane”. Questa affermazione, difficilmente con- futabile, ci pone molti interrogativi e sa- rebbe già molto chiederci se sia possibile rispettarla e attuarla quotidianamente nel- le nostre città; forse più semplice in area rurale, ma anche in questo caso dobbiamo registrare dei paradossi. Clima rurale Le aree rurali infatti subiscono un pro- gressivo spopolamento e per prime ven- gono colpite dal cambiamento climatico che in tali luoghi trasforma la vegeta- zione e le colture in “prodotti” non più adatti per l’uomo acuendo ancor di più il processo di spopolamento per motivi socio-economici, giungendo in molti casi a fenomeni migratori di massa. Le aree rurali quindi sono un “laborato- rio” importante se non fondamentale per la dieta sostenibile perché è in tali luoghi che le azioni di inversione di rotta possono e devono avere inizio. Ciò è altresì confer- mato dalle stime ONU che prevedono al 2050 una popolazione mondiale di 9 mi- liardi di persone, le quali saranno residenti nei centri urbani per il 66%. Con città sempre più entropiche quindi, il settore agro-alimentare e la relativa filiera produttiva diviene un settore strategico per poter raggiungere qualsiasi obiettivo di sostenibilità e poter (ri)disegnare un modello di società che dovrebbe interro- garsi sul progresso che genera piuttosto che su uno sviluppo asservito esclusiva- mente al “profitto”. È noto infatti che sviluppo e progresso sono concetti molto diversi e molto spesso confusi alla pari di come avviene per i mezzi e i fini generando, grazie alla “comunicazione”, un gioco spesso scellerato a vantaggio di pochi. Con tali considerazioni la complessità di scenario del sistema alimentare è indubbia ed è estremamente suscettibile a crisi socio- economiche, politiche, finanziarie e da tem- po anche climatiche in quanto un sistema alimentare va considerato come un “Sistema Adattivo Complesso” poiché in continua evoluzione in risposta alle mutevoli richieste della società (Collona et al., 2013). Occorre una nuova visione e con essa for- se un nuovo “umanesimo”. Le scelte indi- viduali devono andare oltre le canoniche contrapposizioni tra coloro che hanno e coloro che non hanno, applicando il prin- cipio delle tre “E” derivante dalla lingua inglese : Ethical (Etico), Environmental (Ambientale), Economic (Economico). Può sembrare un’affermazione da Enciclica Papale ma già nell’incontro di Davos 2019, anche i capitalisti più convinti pare si siano resi conto della dura realtà, ovvero che livelli di disuguaglianza insostenibili finiranno per condannare l’intero modello e il cambiamento climatico rende ciò ancor più vero, tangibile e rapido. Con approccio molto pragmatico però, facendo il dovuto “zoom” su cibo e gastronomia, ancora una volta il Mediterraneo è protagonista assoluto con la Dieta Mediterranea non a caso patrimonio dell’Umanità e che, dati alla mano, oltre ad essere la più “sana”, è anche la più sostenibile. Salute e clima Interessanti studi (Sáez-Almendros et al 2014 – Dernini et al. 2016) hanno mostrato come oltre ai benefici per la salute, la Dieta Mediterranea sia caratterizzata da un basso impatto ambientale, dalla ricchezza della biodiversità e da alti valori alimentari socioculturali oltre che positivi ritorni economici locali (Tavola 1 MDP = Mediterranean Diet Pattern – SCP= Spanish Diet Pattern – WDP = World Diet Pattern). In agricoltura la combinazione di approcci "orientati al produttore" incentrati su un'intensa produzione volta all'esportazione, unita all'adozione di una dieta sempre più "occidentalizzata", ha avuto e sta avendo un impatto ambientale importante sulla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché sullo stress idrico mondiale. Infatti a livello sanitario e di DMDSSDSCDM Pressione Reale Uso suolo agricolo - 10 3 Ha anno -1 8.36519.87412.34233.16215.400 Consumo di Energia - Tj anno -1 239.042493.829285.968611.314229.178 Consumo d'Acqua - Km 3 anno -1 13,219,713,422,019,4 Emissioni Gas serra - Gg CO 2-eq anno -1 35.510125.91372.758217.12862.389 Impronta ambientale delle diverse diete Dieta Mediterranea (DM), Dieta Spagnola Standard (DSS), Dieta Spagnola da indagine sui consumi (DSC), Dieta Mondiale (DM)32 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 Famose presso i nostri cugini francesi, è bene però ricordare che siamo noi a dar- ne la prima traccia gastronomica perché si codificano ricette con le lumache ai tempi dell’impero romano sul “De Re Coquinaria” di Apicio. Piatti a base di lumache sono presenti nei volumi su cui basa la nostra italica cultura gastronomica come “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” di Pellegrino Artusi, “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” di Olindo Guer- rini o “Il cucchiaio d’argento” perché ogni regione italiana possiede almeno un piatto di lumache. A margine, se poi nel processo di bolli- tura, ricordandoci un po’ di fisica, evi- tassimo anche di continuare a lasciar bollire l’acqua, pensando ai soli effetti della temperatura piuttosto che all’ef- fetto visivo delle bolle, scopriremmo che non solo per le lumache ma anche per un piatto di pasta potremmo usare almeno il 20-30% di gas/energia in meno dive- nendo ancor più sostenibili. Certo ripensando ai pranzi e ai cenoni trascorsi è difficile riflettere su tutto ciò, porsi “domande” o meglio darsi delle ri- sposte. È proprio a partire dai nostri com- portamenti basati su una profonda con- sapevolezza dei nostri tanti piccoli gesti che si generano azioni sistemiche nei confronti del cibo più che in altri settori. Non fatevi spaventare dalla presunta difficoltà perché nei prossimi numeri cercheremo di evidenziare con suggeri- menti pratici, gastronomici e di tecnica di cucina come si possano trovare op- portunità e soluzioni per (ri)dare soste- nibilità ambientale all’antica e millena- ria arte culinaria. ▲ Piccoli e dimenticati salubrità nutrizionale è scientificamente sempre più inequivocabile l’aforismo del gastronomo-politico-magistrato e letterato Jean Anthelme Brillat-Savarin “ Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei ” nel suo celebre testo Physiologie du goût (1826). Ovviamente, come già richiamato, queste tendenze insostenibili sono particolarmente forti negli insediamenti urbani perché lo stile di vita della città si basa su alimenti ad alta intensità di acqua come zucchero, carne e grasso animale, tendendo a eludere alimenti più sani e sostenibili come frutta e verdura. Ad esempio, la sola riduzione dei consumi di carne ai livelli della dieta mediterranea (150 grammi settimana circa) porta a riduzioni significative dell’impronta idrica, pari dal 30 al 50% nelle grandi città. In termini di energia invece le differenze tra la produzione in serre e la coltivazione all’aperto oppure l’uso di prodotti in scatola e surgelati rispetto a quelli freschi sono sostanziali. Se nel perdurare il consumo di carne si optasse almeno per le migliori pratiche di gestione del letame animale attraverso l’uso delle attuali tecnologie per biogas, una parte dell’impronta ambientale della filiera carnivora sarebbe attenuata. Sempre in ottica di filiera, il perfezionamento delle tecniche di raccolta e stoccaggio delle ma- terie prime, le infrastrutture, il trasporto, il confezionamento, la vendita al dettaglio e l’istruzione del consumatore possono ridurre le perdite e gli sprechi alimentari lungo l’intera catena di approvvigiona- mento. Anche in questo caso noi consumatori giochiamo un ruolo fondamentale poi- ché (re)imparando a usare gli “scarti” e gli “avanzi” delle nostre cucine riducendo sprechi e rifiuti, oppure (ri)scoprendo in- gredienti (quasi) scomparsi, indirizzerem- mo gli “Stakeholder” ad agire fattivamente nel cambio di rotta come ad esempio acca- duto nel caso dell’Olio di Palma. Proprio su ingredienti e nuovi alimenti, se pensiamo a tutto il dibattito sollevato dagli insetti e dall’urgenza di trovare ali- menti proteici, economici e a basso impat- to ambientale, credo che tutti, ad esempio, stiamo dimenticando piccoli “animali” come le rane, oppure un altro che genera economie in cosmetica piuttosto che in cucina: le lumache. * Ricercatore e project manager gastronomico34 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 F ra dieci anni, secondo le stime dell’Onu, nel mondo ci saranno oltre 8,6 miliardi di persone e il 67% vivrà in città. La domanda di cemento non fa che aumentare e solo negli ultimi vent’anni è cresciuta del 60%. Il settore edile, da solo, consuma più del 40% dell’energia primaria complessiva e il 40% delle materie prime utilizzate globalmente. E ancora, come si legge in un recente report del World Green Building Council, il 39% delle emissioni di CO2 globali provengono dall’ambiente costruito: in parte (il 28%) dalle attività di gestione di case ed edifici, come riscaldamento, raffreddamento e illuminazione; in parte – le cosiddette emissioni “incorporate” - da materiali e processi di costruzione. I dati parlano chiaro: per guardare al futuro pensando al clima, oggi, non si può che cominciare dalle pareti di casa. E non solo per fare la nostra parte risparmiando risorse, ottimizzando i consumi, efficientando l’energia. Abitare con il cambiamento climatico in testa, significa anche essere in grado di proteggersi da quelli che saranno, e sono già in molti casi, gli effetti ormai inevitabili del surriscaldamento globale: eventi meteorologici estremi sempre più frequenti, caldo intenso, incendi boschivi, piogge torrenziali e bombe d’acqua. Le parole d’ordine, allora, sono tre: risparmiare energia, acqua e materiali, per tagliare le emissioni di gas climalteranti e ridurre gli impatti sul clima; ridisegnare gli edifici, le comunità, i processi di costruzione e i sistemi di gestione, così da renderli insieme più efficienti e più resilienti; riqualificare l’esistente, per non rubare altro suolo all’ambiente naturale e preservare gli ecosistemi, ma anche per conservare il valore storico-culturale del patrimonio architettonico e non sprecare il lavoro (e l’energia) già investiti per crearlo . Isolare e ottimizzare per risparmiare «Il settore delle costruzioni è il più gran- de consumatore di energia e di materie prime al mondo e anche il maggior pro- duttore di rifiuti e di emissioni di CO 2 . A differenza di tanti altri settori, però, in edilizia abbiamo a disposizione già oggi tutte le risposte per decarbonizza- re il comparto in modo non solo effica- ce, ma anche economico». Così spiega a Ecofuturo Ulrich Santa, di- rettore dell’agenzia CasaClima, l’ente alto- atesino per la certificazione energetica de- ABITARE / di Giorgia Marino Abitare pensando al clima Ripensare l'edilizia significa non solo ridurre le emissioni, ma anche adattarsi al clima che cambia 35 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 gli edifici. In occasione di Klimahouse, la fiera internazionale sull’efficienza energe- tica in edilizia che ogni anno porta a Bol- zano le avanguardie del settore, Santa ri- flette sui traguardi già raggiunti: «Una mo- derna CasaClima consuma solo il 10% dell’energia di un edificio medio esistente e copre buona parte del suo fabbisogno energetico da fonti rinnovabili». Impianti fotovoltaici, pavimenti radianti, caldaie a condensazione o stufe a pellet di ultima generazione, pulite ed efficienti, sono alcuni dei sistemi adottati per ridurre i consumi energetici per la climatizzazione della casa. Il primo passo, però, è sempre un buon isolamento termico. Se si tratta di costruire da zero, il legno è oggi considerato uno dei materiali più performanti da questo punto di vista: con un buon progetto, riducendo le dispersioni termiche in inverno e il passaggio di calore in estate, si può arrivare a un risparmio del 60% di energia rispetto alle normali costruzioni in muratura. Un sistema costruttivo come LinaHAUS, premiato come miglior prodotto emergente all’ultima edizione di Klimahouse, permette ad esempio di realizzare edifici in legno massiccio senza coibentazione o strati di rivestimento aggiuntivi, semplificando dunque la posa ed evitando l’utilizzo di materiali derivati dal petrolio. Per chi, invece, la casa l’ha già (e non di legno) la soluzione è farle un cappotto. Quello esterno è in genere un intervento piuttosto costoso e che richiede l’allestimento di un vero e proprio cantiere, ma si stanno oggi diffondendo innovativi sistemi rapidi come il Rhinoceros Wall di Woodbeton: un esoscheletro multifunzionale che, applicato come un guscio sulle facciate degli edifici, permette di isolarli termicamente e nello stesso tempo renderli antisismici; il tutto senza far uscire i proprietari da casa e senza produrre macerie. Altra soluzione veloce e decisamente economica è l’applicazione di un “cappotto invisibile” attraverso l’insufflaggio di materiale isolante (ottenuto da carta da macero) nelle intercapedini dei muri: un’operazione che potrebbe riguardare dieci milioni di abitazioni in Italia, tutte quelle dotate di intercapedine, e che consentirebbe un miglioramento dell’efficienza energetica del 25%. In campo di efficienza e taglio dei consumi vengono infine in aiuto anche le nuove tecnologie, con le varie applicazioni domestiche di Intelligenza Artificiale e Internet of Things. “Grazie all’IoT e alla crescente diffusione della domotica – spiega Ulrich Santa - diventa possibile ottimizzare consumi e livelli di comfort, collegandosi a servizi web per la previsione meteo o l’approvvigionamento energetico. Così i nostri edifici diventano sempre più efficienti, confortevoli, funzionali e smart. Allo stesso tempo, però, tecnologie molto spinte tendono a introdurre un’ulteriore complessità e con questo un ulteriore probabilità di errore e necessità di manutenzione, che non vanno dimenticati”. Progettare per la resilienza Risparmio energetico e ottimizzazione dei consumi sono un mantra che è ormai entrato nella nostra quotidianità. Si pensa meno, invece, a come dovranno essere le abitazioni del prossimo futuro per proteggerci dagli effetti più vicini del cambiamento climatico. Nelle aree temperate, come l’Europa, il problema maggiore è, e sarà sempre più, l’aumento delle temperature nelle stagioni calde. “Se da un lato diminuisce il fabbisogno d’energia per il riscaldamento invernale, aumentano dall’altra parte i giorni di discomfort a causa del surriscaldamento estivo. - osserva Ulrich Santa - La domanda energetica degli edifici si sposterà dunque verso il raffrescamento estivo, se non si sfruttano le possibilità Il settore delle costruzioni è il più grande consumatore di energia e di materie prime al mondo e anche il maggior produttore di rifiuti e di emissioni di CO 236 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 di rendere l’edificio più resiliente attraverso l’impiego di soluzioni per il raffrescamento passivo”. Tra le soluzioni possibili c’è, ad esempio, la ventilazione meccanica controllata, che favorisce il ricambio d’aria e migliora anche la salubrità degli ambienti interni, al contrario dei classici ed energivori impianti per l’aria condizionata. Fondamentali sono poi le schermature solari, i sistemi di ombreggiamento e, ancora meglio, le coperture a verde, i giardini pensili e i tetti vegetali, utili sia per la regimazione dell’acqua piovana che per il raffrescamento, interno ed esterno: la temperatura della soletta si può ridurre anche di 20 gradi, mentre nell’intorno si arriva ad abbassamenti di calore di 2 gradi. Il verde urbano in generale andrebbe valorizzato proprio per combattere il fenomeno delle “isole di calore”, che diventerà sempre più intenso rendendo invivibili le città in estate. “In combinazione con altre misure, come il passaggio da colori scuri a colori chiari dell’asfalto e dei tetti e una riduzione del traffico convenzionale, si può arrivare a un abbassamento di temperatura di diversi gradi”, precisa Santa. Recuperare l’esistente Due metri quadrati al secondo: è il suolo consumato in Italia secondo l’ultimo rapporto Ispra. L’edilizia continua a mangiare terreno fertile, e questo nonostante la popolazione italiana diminuisca e ci siano su tutto il territorio nazionale ben 7 milioni di abitazioni vuote o abbandonate. Pensare al clima significa anche conservare il suolo, proteggere gli ecosistemi e non sprecare risorse: insomma, recuperare invece di costruire da zero. E già che si recupera, farlo bene, seguendo i criteri della sostenibilità e dell’efficienza. Principio che non vale solo per le case abbandonate, ma per tutti gli asset immobiliari vetusti, che consumano come un colabrodo. Thomas Miorin, presidente e fondatore di Rebuild, la piattaforma che raccoglie le avanguardie del settore delle costruzioni e ristrutturazioni in Italia, ha fatto i conti: “Il patrimonio edilizio italiano è il più vecchio al mondo dopo quello della Germania, con 17 milioni di unità immobiliari da riqualificare”. C’è tanto lavoro da fare, eppure il mercato della deep renovation rimane ancora troppo ristretto: colpa dei costi degli interventi di riqualificazione, spesso proibitivi per le famiglie. Ma se il mercato non si allarga, i costi non potranno scendere. A sbloccare l’impasse ci stanno provando, ad esempio, in Olanda con un’iniziativa “di cordata” di recente approdata anche in Italia attraverso Habitech. “Energiesprong – si legge sul sito - è un team di sviluppo no profit indipendente, incaricato dal governo nazionale olandese di sviluppare soluzioni per l’efficientamento energetico per gli edifici destinati al mercato immobiliare”. Non quindi una compagnia di costruzioni, ma un gruppo di esperti in varie materie che si occupa di negoziare condizioni collettive favorevoli per la riqualificazione delle abitazioni. Il progetto più importante è al momento la conversione in case a consumo zero di oltre 100mila alloggi, che si realizzerà grazie a un accordo tra società di social housing e costruttori. L’idea è di replicare il sistema nel resto d’Europa e ad oggi il team è al lavoro per farlo in Inghilterra, Francia e Italia. ▲ LINK: Report World GBC https://bit.ly/2QU5GwZ Klimahouse fierabolzano.it/it/klimahouse/home Agenzia CasaClima agenziacasaclima.it/it/home-1.html LinaHaus linahaus.com/ ReBuild rebuilditalia.it/it/ Energiesprong energiesprong.org/ VIDEO Rhinoceros Wall youtube.com/watch?v=_IBym_0aGO8 Tetti verdi in città youtube.com/watch?v=FlJoBhLnqko VIDEO Modello Genano 350 I tradizionali sistemi di depurazione dell’aria utilizzano filtri che trattengono le particelle senza debellarle, diventando così ricettacolo di germi. La differenza della tecnologia Genano rispetto alle altre consiste proprio nella capacità di uccidere e trattenere particelle nanometriche fino a 3 nanometri (= 0,003 micrometri = 3 milionesimi di millimetro) senza alcun utilizzo di filtri Hepa o Ulpa. All’interno delle strutture sanitarie, delle case di cura e di riabilitazione, degli uffici aperti al pubblico, delle scuole, dei centri commerciali e delle abitazioni private la qualità dell’aria è un fattore fondamentale per prevenire epidemie e garantire la salute della popolazione. La Tecnologia brevettata da Genano, già utilizzata per le stanze di isolamento degli ospedali, è la medesima dei depuratori concepiti per gli alloggi. Aria pura, nient’altro I depuratori d’aria certificati Genano® permettono il completo trattamento dell’aria in maniera economica debellando virus, batteri, spore di muffa, COV e odori, cioè tutte le nano- particelle aeree che possono nuocere alla salute, al fine di garantire un trattamento efficace dell’aria indoor non solo in ambienti ospedalieri. Tutelate la vostra salute e quella delle persone che amate! Nessun’altra tecnologia può competere con l’efficienza raggiunta da Genano… …chiedeteci perché Per informazioni scientifiche e per il distributore di zona scrivere direttamente a: info@genano-italia.com Referenze su www.genano.com/it/referenze 38 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 fonti fossili per far circolare quintali di acciaio, plastica e componenti varie non produce solo anidride carbonica, ma an- che parte del cosiddetto “particolato”, le micro particelle che rendono ogni in- verno l’aria di parte d’Italia irrespirabile, se non altamente nociva. Solfuri, ossidi d’azoto, particolato fine sono gli ultimi e più pericolosi residui prodotti dallo spo- stamento di persone e merci. Ve ne sarete accorti guardando la tele- visione, ascoltando la radio o leggendo qualche quotidiano. Ormai tutte le case automobilistiche propongono all’interno della propria gamma l’alternativa elet- trica o ibrida, sia essa una semplice city car o l’ultimo modello di Suv. Complice Trasporti futuri: basse emissioni e condivisi L'intero settore dei trasporti sta cambiando profondamente, puntando decisamente sull'elettrico. Ma per proteggere il clima dovremo ripensare al nostro modo di muoverci MOBILITÀ / di Rudi Bressa A uto, mezzi pesanti, treni, aerei. Oggi solo in Euro- pa il settore dei trasporti contribuisce per circa il 27 per cento delle emissioni totali di CO 2 dell’Unione, con le automobili che rap- presentano da sole il 45 per cento. I tra- sporti sono anche l’unico settore in cui le emissioni sono cresciute dal 1990, determinando un aumento delle emis- sioni complessive registrate nel 2017. Se l’Europa vorrà raggiungere gli obietti- vi dell’accordo di Parigi e perseguire gli sforzi per limitare l’aumento della tem- peratura globale a 1,5°C, le emissioni dei trasporti dovranno essere ridotte a zero entro metà secolo. Ma la combustione di 39 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 sicuramente l’aumento della domanda, ma determinanti anche le nuove diret- tive europee che impongono alle case automobilistiche di ridurre le emissioni di CO 2 dell’intero listino presente sul mercato ad almeno 95 g/km. È tanto? È poco? Attualmente gli ultimi model- li di ibrida sul mercato emettono cir- ca 90 g/km, mentre i recenti Euro 6d Standard dovranno stare sotto gli 85 g/km. Non solo, ma la tabella di mar- cia di riduzione delle emissioni per i veicoli decisa dall’Unione europea pas- sa attraverso gli 80 g/km previsti nel 2025 per giungere ai 59 g/km nel 2030. Il flighskam e il rilancio dei treni Ovviamente non si tratta solo di auto- mobili. Tutto il settore dei trasporti an- drà ripensato. A partire dall’aviazione civile. Con la nascita del “flygskam”, che tradotto dallo svedese suona più o meno “vergogna di volare”, l’attenzione si è spostata verso l’uso più o meno sensato dell’aereo come mezzo di trasporto. È l’effetto Greta, che sta portando molti a rinunciare all’aereo per ridurre le proprie emissioni. Una con- sapevolezza che ha portato alcune società ferroviarie a rispolverare i treni notturni. Dallo scorso gennaio infatti sia le ferrovie austriache Obb, che la Tra- fikverket svedese (l’azienda pubblica che gestisce i trasporti su rotaia), hanno atti- vato nuove linee notturne che collegano Vienna a Bruxelles e la tratta Malmo- Londra, passando per Colonia. La ten- denza è sottolineata anche da un recente sondaggio condotto dalla Banca europea degli investimenti (Bei) che mostra come la maggior parte dei cittadini cinesi, eu- ropei e statunitensi abbia in programma di volare di meno per le vacanze. Deci- sione dettata dalla volontà di limitare le proprie emissioni di CO 2 . Sarà anche per questo che alcune compagnie stan- no dando un forte impulso per la ricerca di soluzioni alternative per i velivoli del futuro. E non si esclude potranno essere alimentati anch’essi dall’elettricità. Il settore ferroviario resta comunque la soluzione a minor impatto ambientale e di più facile applicazione in tempi rapidi. Ha infatti una delle più basse percentua- li di emissioni ed è anche l’unico le cui emissioni complessive sono in calo, nonostante l’aumento dei volumi di trasporto. Secondo Pascal Mangin, consiglie- re regionale del Grand Est e mem- bro del Comitato europeo del- le regioni (CdR): “Le ferrovie offrono una buona combinazione di velocità, sicurezza, comfort, efficienza e prestazioni ambientali. Il trasporto ferroviario, tuttavia, rap- presenta ancora solo il 12 per cento del trasporto merci e meno del 10 per cento del trasporto di passeggeri”. Per questo motivo sarà necessario investi- re sull’infrastruttura regionale in modo tale che questa “non solo collegherà meglio città, aree periurbane e zone rurali, ma ri- durrà anche le disparità economi- che e sociali tra di esse, rafforzerà il mercato interno e migliorerà la libera circolazione delle persone e delle merci”. Elettrico diffuso Secondo l’associazione Transport & En- viroment questo sarebbe l’unico modo per raggiungere la neutralità in fatto di emissioni entro il 2050. Ma per arriva- re a questo, spiega la stessa associazione nella roadmap per “Decarbonizzare le automobili in Europa”, sarà necessaria un’intera flotta di veicoli a emissioni zero (Zev). Ciò richie- derà la ven- dita di nuo- vi veicoli elettrici entro i primi anni del 2030 o al più tardi dal 2035. Tuttavia, ciò non sarebbe an- cora sufficiente per raggiungere le emissioni zero nel 2050 e significa che l’uso dei veicoli a combustione interna (benzina, diesel e a gas) venduti prima del 2035 dovrebbe essere limitato e infi- ne vietato. Ed è ciò che sta già accaden- do in molti paesi europei. A partire dalla Norvegia, forse la nazione più avanzata per quanto riguarda la mobilità elettrica, che già a partire dal 2025 vieterà la vendi- ta di nuove auto alimentate da fonti fos- sili. Seguiranno i Paesi Bassi, nel 2030, il Regno Unito (2035) e la Francia (2040). Anche il settore del trasporto pesante sta lavorando all’elettrico e molti produttori stanno testando nuovi modelli da affian- care ai classici motori diesel. Scania, ad esempio, ha in corso dei test in Svezia e Germania di “austostrade elettriche”, dove i camion vengono alimentati ad elettricità tramite pantografo. Inoltre sta lavorando per introdurre veicoli com- pletamente elettrici a batteria per la di- stribuzione in ambito urbano. Con la Next >