< Previous30 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 Universi vegetali La storia, degli uomini e delle piante si intreccia lungo un arco temporale che va al di là della specie umana PIANTE RITROVATE / di Antimo Palumbo* P artiamo con un concetto fondamentale: le piante e gli uomini sono condizionati dalla storia. Par- lando di piante dobbiamo considerare non solo quella storia che comprende il complesso delle azioni umane, gli eventi politici, i costumi e le istituzioni nel corso di migliaia di anni ma anche quella più ampia, che riguarda il Pianeta che ci ospita e che abbiamo chiama- to Terra e che ha 4.6 miliardi di anni. Il regno delle piante, che permette la vita sulla Terra grazie alla fotosintesi clorofilliana, comprende almeno 350 mila specie diverse. Le prime piante risalgono a 543 milioni di anni fa e gli alberi a 350 milioni di anni fa , L'uomo, nella specie che ci comprende, quella dell'Homo sapiens è comparso solo 190 mila anni fa. Diverse migliaia di anni dopo, quell'uomo nomade e solitario partendo dall'Africa ha iniziato il suo viaggio a piedi per colonizzare il mon- do, nutrendosi di semi, frutti, radici, foglie ovvero di tutto quello che trovava lungo il cammino. La vera e propria domesticazione delle piante avviene però solo 3 mila anni fa nella zona della mezzaluna fertile. L’uomo, da noma- de inizia a praticare la vita sedentaria. Nasce una società pacifica matriarcale. Da lì la domesticazione delle piante giungerà in Europa. 31 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 Coltivare gli umani È in quel periodo che avviene l'evento che cambierà il corso della storia: alcune piante decidono di “coltivare” l'uomo. Come? Attraverso la chiusura tenace. La deiezio- ne è utile alla natura (un frutto a maturazione libera un seme) la chiusura tenace è utile all’uomo. Le piante possono riprodursi in maniera sessuata, attra- verso i semi, o per via vegetativa, gli uomini solo con la riproduzione sessuata; entrambi, uomini e piante devono riprodursi per non estinguersi. La riproduzione sessuata è quella che meglio garantisce l'adattamento all'evolu- zione dell'ambiente e quindi la sopravvivenza. Grazie a quest’adattamento, quello della chiusura tenace del grano e di altre graminacee che non disperdono i loro semi, alcune piante hanno permesso all'uomo di essere coltiva- te. I primi coltivano le seconde ma sono le seconde che adottano gli uomini che tolgono le concorrenti erbacce e permettono a quelle piante di riprodursi e di evolversi. Da quel momento la storia delle piante e degli uomini diventa comune. E così, dalle piante importate nella fine del Quattrocento con la scoperta dell'America, i pomo- dori, le patate, si passa ai nuovi alberi, frutti, fiori e semi che popolano i nostri giardini, le nostre campagne e i banchi dei mercati. Innovazione costante Globalizzazione vegetale Oggi grazie alla facilità dei trasporti piante di diversi con- tinenti si sono uniformate e sempre più vale il principio della storia che ci condiziona e ci plasma. Piante dimen- ticate si riscoprono e altre vengono importate e coltivate con diversi fini: la fibra, il legno, le foglie, i frutti, i fiori e i semi. Vediamone alcune. Per ciò che riguarda le nuove coltivazioni di piante legnose, nel Tavoliere della Puglie nella provincia di Foggia si sta puntando sulla Paulowni sp., un albero originario del Giappone, dalla crescita rapi- da che ha fiori viola campanulati e porta il nome di Anna Paulowna, prima principessa russa, figlia dello Zar Paolo I e moglie del Re Guglielmo II e regina dei Paesi Bassi dal 1840 al 1849. La Paulownia, pianta alloctona che si comporta come pianta infestante, è coltivata in Puglia con dei cloni sterili per il suo legno leggero e facile da lavorare, stabile nelle dimensioni e con proprietà fonoassorbenti e isolanti. Tra le piante scoperte in Italia, troviamo la Cana- pa, Cannabis sp., che comprende numerose specie e cul- tivar. Una pianta che per le sue foglie digitate è senz'altro tra le più facili da riconoscere. La Cannabis sativa ha una lunga storia in Italia. Fino agli anni Cinquanta eravamo tra i primi produttori mondiali per la produzione di canapa da fibra. Oggi si sta inve- stendo nella coltivazione di piante da semi dalle quali si estrae un olio o da piante da fiore (piante femminili, la canapa è una pianta dioica, porta cioè fiori femminili e maschili su esemplari diversi) la cannabis light a basso contenuto di Thc ovvero quei cannabinoidi che produ- cendo effetti psicotropi hanno reso dagli anni Settanta la Cannabis una pianta illegale. Tra le “new entry”, coltivate per la produzione di semi per fini alimentari abbiamo: l'Amaranto, originaria del Messico (i suoi piccoli semi neri, vengono usati tostati o cotti o per fare una farina) e la Quinoa (con semi ricchi di proteine senza glutine). Per fini cosmetici l'Olivello spinoso, Hippophae rhamnoides, dalle cui drupe si estrae un olio tra i più cari e preziosi richiesti dal mercato.. ▲ * Storico degli alberiSCOPRI LA TECNOLOGIA CHE SCALDA SENZA BRUCIARE NULLA Dall’energia della Terra arriva l’esclusiva tecnologia idrotermica di Teon. Scoprila con Tina, la pompa di calore ad alta temperatura che riscalda come una caldaia, azzera le emissioni e riduce la bolletta fino al 70%. 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Oggi, il 35% del territorio italiano ospita circa 12 miliardi di alberi e una superficie boschiva di oltre 11 milioni di ettari. Grazie all’incremento delle iniziative di forestazione, ogni anno potrebbero essere piantati 500 mila alberi, rafforzando anche la biodiversità e migliorando la qualità dell’aria, dell’acqua e del sottosuolo, oltre che della vita nelle grandi aree metropolitane. Costruire un’Italia più verde: è questa la premessa da cui prende avvio il percorso di Arbolia, società benefit creata su iniziativa di Snam e Fondazione Cassa Depositi e Prestiti, con l’obiettivo di progettare, promuovere e realizzare aree verdi nelle città e nei territori del Paese, contrastando il riscaldamento globale e favorendo sviluppo sociale ed economico. Le attività d’imboschimento e rimboschimento di Arbolia si svolgono su terreni messi a disposizione dalla pubblica amministrazione con il sostegno economico di privati e aziende. Le soluzioni di Arbolia contribuiscono a raggiungere alcuni importanti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile riconosciuti dall’Agenda 2030 dell’Onu: tra tutti, l’Obiettivo 13 legato alla tutela del clima, l’obiettivo 15 connesso al ripristino dell’ecosistema terrestre e l’obiettivo 11, per rendere le città più vivibili e resilienti. L’esordio di Arbolia è stato a Parma: in accordo con il Comune, e grazie al contributo delle aziende locali Max Streicher spa e Impresa Tre Colli spa, la società ha avviato la realizzazione di due boschi urbani da 4 mila alberi nella periferia della città. L’intervento consentirà di assorbire circa 335 tonnellate di CO 2 l’anno, e circa 1.200 kg di PM10. Arbolia ha annunciato il primo accordo anche per il sud dell’Italia: un protocollo d’intesa firmato con il Comune di Taranto per individuare aree verdi destinate a progetti di forestazione. La ricerca di luoghi idonei a nuovi boschi urbani è al centro anche dell’intesa con il Comune di Treviso. In occasione della “Giornata nazionale degli Alberi”, Arbolia ha messo a dimora nella sede Snam di San Donato Milanese un carpino, il primo albero di “Snamwood”, una foresta di oltre 3 mila piante che nascerà nel 2021 e che l’azienda dedicherà a tutte le persone del gruppo. Un leccio, invece, è stato piantato a Genova nella sede di Rina, società internazionale di certificazione che ha avviato una collaborazione con Arbolia nell’ambito del progetto di azzeramento delle proprie emissioni di CO 2 . In occasione del Natale, infine, Arbolia ha donato un abete rosso all’oratorio della parrocchia San Martino di Sergnano, in provincia di Cremona. ▲ Maggiori informazioni su Arbolia.it FRANCESCO DAL CONTE Anche il Sud d'Italia è interessato ai progetti di forestazione: Taranto per prima34 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 MEMORIA ECOLOGISTA / di Fabio Roggiolani* Q uando si parla di foreste e boschi si pensa ai bei tempi andati, ma ci si sbaglia. I bei tempi sono andati dopo la Seconda guerra mondiale e, a maggior ragione, per le foreste. Nel 1400 in Italia c’era un terzo in più delle foreste del 1850. Un sovrano liberale e moderno, Pietro Leopoldo di Toscana, nel 1780 fece scuola con una riforma che in cinquant'anni portò alla perdita di 130 mila ettari di superficie, pari a 260 mila campi da calcio. In nome dello sviluppo agrario furono stralciate le norme a tutela delle foreste, dal Codice Camaldolese in poi; Codice che nell’anno 1000 recitava così: «dovessi ripiantare per ogni albero abbattuto almeno dieci piantine nuove». La Toscana faceva scuola perché gli alberi maestri si prelevavano dalle foreste casentinesi e fiorentine in virtù di questo Codice che aveva dato luogo a un’industria fiorente delle corderie di canapa (sì, di Marijuana di cui in Toscana si faceva largo uso in tutti i campi compreso il piacere) utilizzata anche per la produzione di vele e quanto necessario alla marineria. Mercato di legno Il liberismo selvaggio stracciò le buone pratiche forestali e, a causa del dissesto idrogeologico de- terminato dalla deforestazione, morirono decine di migliaia di contadini. I Lorena, in Toscana, de- cisero di correre ai ripari con la costruzione delle Leopoldine, ovvero abitazioni a due piani desti- nando il piano terra agli animali; le stragi cessa- rono ma non i disastri, con il declino della pro- duzione di grano. Nel 1948 la superficie boschiva aveva perso quel piccolo incremento determinato dal cambio delle leggi dopo l’Unità d’Italia e du- rante il fascismo. Ecco che un altro toscano pro- Nell'immediato dopoguerra le foreste italiane furono salvate da Amintore Fanfani un insospettabile ambientalista Antica è la tutela35 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 pose l’assunzione di 150 mila persone per piantare alberi. Disse che era un modo per dare lavoro nel dopoguerra. Quella polemica non si è mai sopita fino a quelle contro i forestali vagabondi su cui il leghismo più imbecille e le destre neoliberiste han- no vissuto di rendita. Invece è stata una riforma tra le più avanzate al mondo, al punto di portare l’Italia al secondo posto in Europa per superficie forestale con oltre 11 milioni di ettari, quasi il 40% del Paese. La Toscana ha circa 1,2 milioni di ettari di foreste, nel 1870 erano sotto 600 mila ettari. Amintore Fanfani nato e vissuto in piena foresta dell’alta Valle del Tevere, stessa zona da cui nasce l’Arno, conosceva storie e cultura dei frati Camaldolesi. Si ricorda un altro discorso che fece sobbalzare e sorridere i soliti "idioti" che ci ammorbano la storia tra un Fanfani e un Berlinguer (quello dell’austerity per la crisi del petrolio, che ci fece vivere le meravigliose domeniche a piedi). Ambiente di centro Nel 1970 a San Francisco per il XXV incontro delle Nazioni Unite, Fanfani propose la Strategia della Sopravvivenza per salvare il Pianeta con un discorso che fece epoca. La scelta di fare 150 mila assunzioni in Italia per piantare alberi, ha prodotto un’infinità di effetti collaterali positivi, a livello climatico e turistico, per la rinascita del paesaggio e per la riduzione delle catastrofiestreme, nonostante i cambiamenti climatici le abbiano moltiplicate, ma con effetti meno mortali per il nostro Paese. L’Italia è il secondo esportatore al mondo di manufatti di legno, anche se importa l’80% della materia prima; per il legno di qualità occorrono foreste di oltre cinquant’anni. In prospettiva, potrà approvvigionarsi dall’interno a meno che non prevalga l’idea di un Paese con foreste museo che porterebbe ad un ciclo storico nuovamente liberista selvaggio. Se il bosco all’età giusta non è tagliato e rinnovato, non solo non avremo la materia prima per gli oggetti e per costruire case di legno, sempre più richieste, perché efficienti dal punto di vista energetico, ma l’impoverimento e la perdita di industrie, artigiani, aziende agroforestali porterebbe all’abbandono totale delle montagne con effetti disastrosi sia economici sia climatici. I cambiamenti climatici con incendi terribili e devastanti stanno minacciando le nostre foreste, i fiumi, come l’Arno, hanno perso in 70 anni la metà della propria portata media e le aree temperate dell’interno sono divenute le più calde d’Italia. La foresta o coltiva, si dirada, si presidia e se ne trae ricchezza oppure rischieremo immense catastrofi naturali. Concludo, ricordando Amintore Fanfani e invitando allo studio del Codice Forestale dei Camaldolesi e dei Vallombrosani (patroni della Forestale) che indicavano di ripiantare dieci alberelli per ogni gigante abbattuto. L’Italia ha bisogno di rimboschire le città e molte aree della campagna, per ricreare ecosistemi agricoli che non abbiano bisogno di fitofarmaci e pesticidi e per ridare ossigeno ai centri urbani dove le piante possano crescere e moltiplicarsi nella loro mutua collaborazione. ▲ * Cofondatore di Ecofuturo Sfoglia online il Codice Forestale Camaldolese36 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 FORESTE URBANE / di Rudi Bressa N ell'immaginario collettivo l'albero rappresenta il simbolo della solidità, della flessibilità, della vita. Le piante, e in particolare gli alberi, sono dei “contenitori” di anidride carbonica (CO 2 ) che viene fissata con la fotosintesi. Gli alberi e le cosiddette foreste urbane, aiutano a creare un microclima capace di resistere in parte alle forti escursioni termiche, filtrano e drenano le precipitazioni più intense, ripuliscono l'aria dalle particelle più inquinanti durante la fase vegetativa. Clima e urbanizzazione Si sente parlare di città intelligenti (smart cities), capaci di inglobare diverse tecnologie, con un'infrastruttura di rete avanzata. La definizione che descrive meglio la città del futuro la fornisce uno degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell'Onu, Sdgs 11, che mira a «rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili». Circa la metà dell'umanità vive nelle città ed entro la metà di questo Secolo, due terzi della popolazione mondiale risiederà nei grandi centri urbani. Le città, espandendosi, strappano terreno fertile e aumentano il fabbisogno alimentare delle famiglie che si troveranno a competere per le risorse naturali (https://bit. ly/3bCtyAg). Anche se occupano solo il 3% della superficie del Pianeta, i grandi centri urbani consumano il 75% delle risorse naturali (https:// Alberi e aree verdi daranno un grande contributo alle città di domani per assorbire CO 2 , per migliorare la qualità dell'aria, fornire cibo e riparo a uomini e fauna Il verde che sanifica37 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 bit.ly/3bBPwU1). Uno scenario che di pari passo con quello tracciato dagli effetti del cambiamento climatico porterebbe le città a dover affrontare ondate di calore sempre più persistenti, eventi meteorologici estremi, nonché consumi energetici e di risorse sempre maggiori. In tutto questo gli alberi e le infrastrutture verdi giocano un ruolo importantissimo nel rendere le città più resilienti, non solo dal punto di vista climatico. Possono ridurre il fabbisogno di aria condizionata del 30% se correttamente collocati attorno agli edifici. Nei climi freddi, possono proteggere le case dal vento e risparmiare energia utilizzata per il riscaldamento del 20-50%. Un albero maturo può assorbire fino a 150 kg di CO 2 l'anno, contribuendo così a mitigare i cambiamenti climatici (https://bit.ly/3bF98Xb). Aria nuova Le città sono dei serbatoi per gli inquinanti atmosferici. Solo nel nostro Paese, secondo quanto riferito dall'Agenzia europea dell'ambiente (https://bit.ly/3sB5hRg), a causa dell'esposizione al particolato atmosferico, al biossido di azoto (NO 2 ) e all'ozono (O 3 ) in un anno sono morte circa 76.200 persone. Di sicuro il lockdown, ha fatto registrare un calo – soprattutto nel Nord Italia – degli ossidi di azoto, ma ciò non è sufficiente a ripulire l'aria che respiriamo. Anche in questo caso le foreste urbane potrebbero essere utili per fissare e “catturare” alcuni inquinanti: esistono specie arboree, la betulla, il bagolaro, il tiglio, l'acero (https://bit. ly/3qqjEpF), che si prestano alla riduzione degli inquinanti atmosferici come il Pm10. Per dare un nuovo impulso alla forestazione urbana, lo scorso ottobre il ministero dell'Ambiente ha dato il via libera ad un fondo di 30 milioni di euro per la rinaturalizzazione e per la realizzazione di aree verdi in quei contesti urbani dove gli sforamenti dei livelli di inquinanti sono più preoccupanti. A misura d'albero Nel 2018 a Mantova, durante il primo Forum mondiale sulle foreste urbane, si è lanciato il programma “Tree city of the world”, con lo scopo di stimolare i grandi e medi centri urbani a realizzare un piano dettagliato per la forestazione urbana. A due anni dal lancio, la Fao e la Arbor Day Foundation, hanno annunciato le prime città premiate ed entrate a far parte dell'iniziativa: tra queste Lubiana, Quito, Parigi, Erevan, metropoli come New York, San Francisco e Toronto, una serie di centri più piccoli come Bradford nel Regno Unito, Thunder Bay in Canada, Tempe in Arizona. Degna di nota è l'iniziativa avviata nell'area del Parco Nord di Milano. Da fine maggio si sono messe a dimora circa 1.500 nuove piante, tra arbusti e alberi autoctoni, provenienti dalle attività di compensazione e di responsabilità sociale di aziende del territorio. L’iniziativa, che va ad inserirsi nel più ampio progetto ForestaMi, ha l’obiettivo di piantare tre milioni di alberi entro il 2030 ed è stata lanciata lo scorso autunno dall’architetto Stefano Boeri del Politecnico di Milano. Non solo, nell'ambito della stessa rinaturalizzazione del parco, lo scorso ottobre è stato lanciato il progetto “Food Forest”: 2 mila piante tra alberi e arbusti da frutto, da legno e medicinali saranno adottate dai cittadini che potranno godere dei frutti e delle bacche che cresceranno. All’adozione delle piante possono partecipare tutti attraverso il portale Wownature, progetto di riforestazione di Etifor, spin-off dell’università di Padova impegnata nella valorizzazione del patrimonio forestale e delle aree montane colpite da Vaia, oltre che in un grande progetto di forestazione urbana che cambierà il volto e la qualità dell’aria della città di Padova. ▲38 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 BIODIVERSITÀ MARINA / di Raffaella Bullo U na notizia trasmessa durante il periodo più drammatico della seconda ondata del Covid-19 mi ha lasciata perplessa, non tanto per la riso- luzione momentanea, quanto per un’analisi a lungo termine. Gli ospedali scarseggiavano di bombole di ossigeno da fornire alle terapie intensive. In futuro dove troveremo le bombole ma soprattutto l’ossigeno per l’inte- ra umanità e per la vita di tutta la terra? E soprattutto, chi lo produrrà? Una molecola di ossigeno su due è frutto della fotosintesi vegetale di origine terrestre. L’altro 50% chi lo produce? Non si vede a occhio nudo e pertanto non riceve l’atten- zione pari a quella che riserviamo per le foreste. Questa ca- renza di interesse si chiama tecnicamente Ocean Blindness (cecità marina) e per risolverla bisogna immergersi tra le onde del mare e dotarsi di microscopi. Parliamo del fito- placton mondiale, piccoli e microscopici organismi che producono l’altra metà dell’ossigeno, o almeno dovrebbero fornirci l’altra metà. Dall’inizio del 1900 questa quota è di- minuita del 30% circa, perché il fitoplancton, la primissima base su cui poggiamo i nostri piedi e su cui si regge tutto Le nostre vite sono basate sulle attività degli oceani, ma non riusciamo a percepire il valore per la biosfera di ciò che questi producono Ciechi all'oceano39 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2021 il sistema mare e non solo, non riesce più a perpetuare la propria vita e, a cascata, si porta dietro tutta la rete trofica e quindi tutta la ricca biodiversità marina. Zone morte Oggi purtroppo le dead zones (aree morte) marine stan- no crescendo numericamente; intere superfici improdut- tive e aride non sono in grado di attuare la produzione primaria fotosintetica, il primo atto della vita. Si sono esaurite le semplici condizioni per gli altri esseri viventi: alghe, pesci e le loro uova, nutrienti per sostenere il ciclo biogeochimico e così via. Considerando gli spazi enormi e tridimensionali degli oceani è come se avessimo intere na- zioni completamente deserte. Fare network è un modo di dire molto in voga, apprez- zando il valore aggiunto della rete delle conoscenze, delle competenze e delle capacità. È quello che dovrebbe fare tutta quella serie intrecciata di reti e connessioni della vita marina. Più è fitta, più è soli- da, più è fruttuosa. Se allentiamo gli intrecci e al- larghiamo le maglie, il sistema collassa. Ed è quello che sta succedendo. Stiamo intaccando le pro- prietà fondamentali della biodiversità marina, nella sua struttura ossia nelle sue com- ponenti, che vanno dai geni, alle specie, alla popolazione, agli ecosistemi e al complesso ambientale, alle varie forme di vita, dal piccolo procario- ta al più grande mammifero, diversità che sembra essere di gran lunga superiore a quella terrestre e, ancora in parte, sconosciuta. Ne stiamo in- taccando la funzionalità nel tempo e nello spazio, quella complessità di relazioni interspecifiche e intraspecifiche, processi fisiologici, relazioni preda-predatore, reti trofi- che, competizione e mutualismo, bioturbazione e ripar- tizione delle risorse. Sconvolgendo questi legami si sta compromettendo tutta quella serie di servizi ecosistemici forniti dal mare e queste perturbazioni possono portare a cambiamenti irreversibili. Servizi d'acqua Fra i tanti servizi che gli oceani e la biodiversità ci forni- scono, quelli fondamentali, essenziali alla vita fin dal suo primo apparire, ci dimentichiamo -oltre all’approvvigio- namento dell’ossigeno prima detto- il grande lavoro di se- questro dell’anidride carbonica. Questa complessità vitale ci fornisce un grandissimo servizio, quello d' assorbire il 29% dei gas serra dell’atmosfera. Non lo fa senza effetti a cascata. Effetti che stanno compromettendo i cicli bio- geochimici strutturanti e funzionali senza i quali la vita stessa non si potrebbe rigenerare in continuo. I fattori perturbanti che stanno rompendo la rete della vita mari- na e le sue maglie intercomplesse sono numerosi. Vale la pena soffermarsi su quelli principali. Negli ultimi secoli la pesca è stata il principale motore di cambiamento globale nel mare, ha portato all'esau- rimento degli stock sfruttati, al degrado dei fondali, alla variazione della struttura delle popolazioni con conseguente abbassamento dell’età media del pescato e alle modifica- zioni degli assemblaggi delle specie e della rete trofica. Inoltre, il cambiamento cli- matico porta al riscaldamento globale delle acque, all’acidi- ficazione, alla deossigenazio- ne e ai cambiamenti oceano- grafici come l’aumento della stratificazione di vaste aree dell'oceano. Gli effetti del cambiamento climatico sulla struttura e sul funzionamento degli ecosi- stemi marini sono molteplici e, purtroppo, già registrati. La migrazione verso i poli degli organismi marini è do- cumentata in tutto il Pianeta. Il riscaldamento influisce sul- la produzione primaria degli oceani e di conseguenza altera le potenziali attività di rigene- razione di molteplici organi- smi, inclusi quelli d’interesse commerciale. L'acidificazione e la deossigenazione degli oceani influenzeranno la produttività, l’abbondanza e la distribuzione delle specie marine. Per combattere la cecità marina siamo chiamati a educare la vista. L’Unesco, dopo un lungo percorso, ha lanciato a gennaio del 2021 la Oce- an Decade, un programma finalizzato all’alfabetizzazione marina, all’educazione al mare. La cittadinanza globale ha bisogno di comprendere gli impatti ambientali e sociali del degrado dei nostri mari e soprattutto l’urgenza delle azioni e come le nostre vite siano influenzate dal mare e come noi influenziamo il mare. La soluzione della vita futura è nel mare. ▲Next >