< Previous30 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 utilizzate dall'acquedotto a casa nostra», continua Zen- naro. «Spesso le reti sono vecchie; solo al Nord Italia il 30 per cento dell'acqua è disperso». Migliorare la qualità dell'acqua di casa Nei casi in cui ci si trovi di fronte, in particolare nell’ul- timo tratto di trasporto dell’acqua a possibili contami- nazioni, è possibile intervenire in altro modo. I vecchi impianti possono rilasciare sostanze indesiderate, che ne alterano significativamente la qualità e il gusto. Esi- stono sul mercato numerosi sistemi: dai più semplici ed economici come i filtri a carbone attivo, in grado di intervenire sugli elementi che l’acqua non riesce a scio- gliere - come sassolini, fango, sabbia e capelli, ruggine – fino ai sistemi di naturizzazione®, che riescono a ridurre del 99,99 per cento la presenza di virus e batteri e per- mettono di avere sempre a disposizione un'acqua fresca, sicura e controllata. Abbiamo intervistato Andrea Zennaro di Sidea Italia, per capire come avvenga il processo di na- turizzazione dell'acqua. Il nostro Paese è tra i maggiori consumatori di acqua in bottiglia. Perché piace così tanto? «A causa di campagne mediatiche martellanti, accom- pagnate da notizie spesso infondate sul cattivo lavo- ro degli acquedotti, il cittadino medio crede di fare la scelta corretta, consumando acqua contenuta nel PET. Questo non significa che essa poi piaccia realmente, lo testimonia la statistica sulla preferenza di acqua da primo prezzo. Fortunatamente, grazie alle recenti poli- tiche “plastic free”, si è posto l’accento sul lavoro degli acquedotti e della grande qualità del prodotto erogato, forse anche perché oggi sono partecipati da più Comuni ed è complicato tenere nascosti i problemi. Oggi l'ac- qua è realmente sicura. Una ventina di anni fa c'erano sicuramente meno brand, più controlli e correttezza. Sicuramente nell'ultimo anno e mezzo si è sviluppata una nuova consapevolezza sull'acqua di rubinetto, an- che per ridurre i problemi ambientali legati all'acqua in bottiglia». Proponete un sistema di erogazione dell'acqua sostanzialmente diverso dagli altri in commer- cio. In cosa consiste? «Il nostro sistema si basa sulla naturizzazione dell'ac- qua. I sistemi di filtraggio in commercio sono princi- palmente derivati da quelli per usi industriali, quindi non concepiti per l'acqua potabile. La naturizzazione® è l'unico sistema pensato per questo, riconosciuto dal ministero della Salute e pluripremiato da oltre trent’an- ni. Utilizziamo i carboni attivi di particolare qualità, le cartucce sono realizzate in modo da sfruttare in manie- ra omogenea il contenuto, bloccando il flusso in caso di inefficienza. In aggiunta a questo, esaltiamo l’uso delle lampade UV all’ennesima potenza, per ottenere una de- batterizzazione mai raggiunta da altri. Come? Attraver- so una condotta a spirale che circonda la lampada, que- sto elimina o inattiva il 99,99 per cento di virus e batteri, con un'acqua al gusto estremamente migliore di quella in entrata senza averne minimamente alterato le caratte- ristiche organolettiche». A quale target vi rivolgete? «Il nostro target sono gli hotel, le scuole, i ristoranti ma anche i privati. Abbiamo circa 100 mila clienti in Italia. È un elettrodomestico pensato per migliorare la vita. Ci permette di fare una scelta etica, riducendo l'impatto dell'acqua in bottiglia perché è possibile ave- re sempre a disposizione acqua liscia e gassata di alta qualità e sicura». ▲ *Giornalista ambientale e scientifico, consulente sulla sostenibilità32 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 RISPARMIO IDRICO / di Michele Dotti Q uando si parla di risparmio idrico i consigli vertono quasi sempre sull’uso diretto dell’acqua del consumo domestico, l’acqua che possiamo vedere, che beviamo, che utilizziamo per cucinare, per lavarci, sulla quale possiamo intervenire per ridurre molti sprechi. Se allarghiamo lo sguardo, però, ci accorgiamo che c’è anche molta altra acqua, non visibile, impiegata nei processi produttivi degli oggetti di uso comune. E se lo allarghiamo ulteriormente, scopriamo anche quella impiegata per produrre il cibo. Andiamo per gradi. Poiché questi diversi livelli sono come centri concentrici, partiamo da quello centrale: l’acqua visibile. Evitiamo gli sprechi diretti Ogni giorno utilizziamo circa 137 litri di acqua: il 5% per lavarci, il 10% per cucinare e bere, il 20% per la lavanderia, il 30% per lo scarico della toilette, il 35% per bagno e doccia. Rispetto a questo possiamo adottare alcune piccole attenzioni: • chiudere i rubinetti mentre si lavano i denti o ci si insapona sotto la doccia; dal rubinetto fuoriescono oltre 10 litri d’acqua al minuto; Invisibile è l'acqua Allargando la nostra visione, è possibile scoprire diversi livelli sui quali intervenire per un risparmio idrico efficace33 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 • avviare lavatrici e lavastoviglie a pieno carico; per ogni lavaggio si consumano fra gli 80 e i 120 litri; • preferire la doccia al bagno che consuma quasi quattro volte più acqua. Ma come dicevo, questa è solo una minima parte del nostro consumo reale di acqua. Proviamo ad allargare un po’ lo sguardo. Acqua “riciclata” e a km zero Nessun prodotto può essere fabbricato senza utilizzare acqua. Si stima che per produrre i nostri oggetti d’uso comune se ne impieghino 167 litri al giorno. E già così il nostro consumo è più che raddoppiato rispetto a quello di acqua visibile. C’è differenza anche in base al tipo di lavorazione. E ancora una volta emerge l’assurdità dell’usa e getta e l’importanza del riuso e del riciclo. Per produrre 1 kg di carta nuova occorrono 440 litri d’acqua, mentre per quella riciclata ne bastano 1,8 litri. Non la metà o un terzo, ma oltre 200 volte di meno. Scegliendo una risma di carta A4 riciclata per la nostra stampante (con 500 fogli da 5 gr ciascuno, per la normale grammatura da 80 gr/m2) possiamo risparmiare 1.095 litri di acqua. L’equivalente di ben 146 docce. E lo stesso vale anche per il riciclaggio di tutti gli altri materiali. Secondo una ricerca della Commissione sui cambiamenti climatici dell’UE, in Italia per produrre un paio di jeans si impiegano 10 mila litri d’acqua; per una maglietta di cotone 2 mila litri. Appare evidente l’importanza di portare rispetto agli oggetti, riusarli e riciclarli il più possibile; oltre a ridurre l’uso di acqua, si abbatte l’impatto ecologico complessivo in termini di consumo di energia e inquinamento prodotto (basti pensare all’assurdità dell’acqua in bottiglia che viaggia per migliaia di km sui camion per arrivare nelle nostre case). E lo stesso vale, ancora una volta, per tutti i prodotti che consumiamo. Per produrre un succo di arancia industriale, equivalente a un bicchiere, occorrono mille litri d’acqua. Per la stessa quantità di spremuta d’arancia naturale ne bastano invece 50. Quindi 20 volte di meno. Quest’ultimo esempio ci introduce al terzo cerchio, quello legato al cibo. “Mangiare” meno acqua Anche la produzione dei nostri alimenti richiede acqua, in misura variabile a seconda che si tratti di frutta, verdura, uova, latticini o carne: se per 1 kg di mele occorrono 822 litri, per 1 kg di mais siamo già a 1.220 litri. Per 1 kg di zucchero 1.780, per 1 kg di riso 2.500 litri. Quando passiamo ai prodotti di origine animale, il discorso cambia notevolmente. Per produrre 1 kg di formaggio si stima un impiego di 3.180 litri di acqua. Per 1 kg di carne di pollo 4.300, per il maiale 6.000, per 1 kg di carne di manzo addirittura 15.400 litri. “Com’è possibile?” Negli allevamenti, oltre all’acqua che l’animale beve, c’è quella impiegata per pulire le stalle e ancor più quella necessaria per produrre il foraggio e i mangimi. E poi c’è lo spreco alimentare: in Italia il 30% del cibo finisce nel pattume, portando con sé anche tutta l’acqua (e l’energia) servita per produrlo. Quindi una dieta che riduca il consumo di carne e lo spreco alimentare, può portare a un risparmio idrico molto maggiore di quanto sarebbe mai possibile ottenere facendo attenzione solo alle scelte relative al primo dei tre livelli citati, quello dell’acqua visibile. Ma come può esaurirsi? A questo punto, qualcuno potrebbe pensare: “Ma come si può pensare di “consumare” l’acqua? Non è forse un ciclo?”. Questa è un'osservazione interessante, che merita un piccolo approfondimento. È vero che nel mondo ci sono circa 1.400 milioni di km3 di acqua che rappresenta oltre il 70% della superficie del Pianeta, ma occorre ricordare che il 97,5 % di essa è salata. E anche della parte dolce, escludendo quella dei ghiacciai, calotte polari e falde sotterranee, solo l’1% è accessibile. A disposizione dell’umanità, alla fine, rimane solo lo 0,01% del totale. Ecco perché è tanto importante averne cura, perché se la inquiniamo – come attraverso i diversi processi produttivi sopra citati – questa quota si riduce ulteriormente. Non è solo una questione di quantità dunque, ma anche di qualità. ▲34 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 Porti sicuri INQUINAMENTO / di Raffaella Bullo D al Dopoguerra la costa italiana ha visto un drammatico aumento dell’urbanizzazione non esente da aspetti speculativi e indiscriminati. Oltre all’urbanizzazione abitativa, la costa oggi ha più di 300 km occupati da circa 800 tra porti commerciali e turistici, ormeggi privati, opere marittime minori e poli industriali di notevoli dimensioni. Le coste sono luoghi determinanti per l’economia del Paese. Sulle coste si trovano ecosistemi delicati e preziosi, soggetti a cambiamenti e pressioni naturali sommati a quelli antropici, come la variazione del livello del mare, eventi climatici estremi, erosione costiera, che ne modificano il sistema idrogeologico e sedimentologico. Tutto questo ha un costo e una necessità gestionale sia ambientale, sia sociale. Da qui è diventato necessario mettere in opera le attività di dragaggio, che consistono nello scavo di materiale da un letto di mare, fiume e il trasferimento dello stesso in altri luoghi. Il dragaggio comporta un impatto ambientale; altera la morfologia costiera e l’habitat con ricadute sulla comunità bentonica. Influisce sul regime delle correnti d’acqua e sul sistema ondoso costiero. La sospensione di materiale si ripercuote sulla qualità dell’acqua a causa del processo di scavo, della perdita di materiale dragato. Per gestioni passate errate, fiumi, canali e porti hanno fondali contaminati da alti livelli di metalli pesanti e composti chimici, tra i quali gli idrocarburi policiclici aromatici. Durante il dragaggio, questi possono essere rilasciati nella colonna d'acqua e quindi entrare nella catena trofica. Il riutilizzo del materiale dragato è caldeggiato ovunque. Il ripascimento delle spiagge per la difesa del mare, la creazione di zone umide e il recupero di santuari naturali, la bonifica di terreni per lo sviluppo commerciale e industriale e il miglioramento dei terreni agricoli sono tra i più comuni. Oggigiorno la gamma di applicazioni è molto più ampia: bonifiche di aree contaminate e il ripristino ambientale sono i più comuni ma esiste anche la creazione di isole artificiali. Le aree portuali sono quelle maggiormente inquinate. La tecnologia per risolvere ciò esiste Ecologica è la draga Abbiamo intervistato Davide Benedetti, Presidente e Ceo della Decomar che con la tecnologia Limpidh2o, ha introdotto il concetto di ecodragaggio, rimediando ai problemi di insabbiamento dei porti e bacini, all'inquinamento derivato dai sistemi tradizionali e recuperando materiale non contaminato per vari usi sostenibili, introducendo nel settore una vera economia circolare. Affrontare l’argomento dragaggi in determinati ambi- ti è difficile e tortuoso, a maggior ragione quando se ne parla in termini di ecosostenibilità. Come si può su- perare questo tabù? «È un tema molto caldo, fangoso e melmoso per rimanere nell’ambito. Le attività di dragaggio sono spesso associate a indagini penali e civili legate a disastri ambientali. Questa brutta nomea si supera, in senso propositivo, evidenziando cosa c'è di nuovo nella visione imprenditoriale e nella tecnologia di Limpidh2o di Decomar. Andiamo a sanare il concetto alla radice, alle caratteristiche virtuose del nostro Paese che si sono trasformate man mano in elementi negativi. L'Italia si è dovuta destreggiare per incapacità tecnologica tra la bellezza e la valenza ambientale delle coste da una parte e lo sviluppo portuale industriale delle stesse dall’altra. Ne è risultato un dualismo al limite dell’equilibrismo. Il Mediterraneo è il mare più ricco al mondo in termini economici perché assomma il 60% del volume totale economico dei traffici su mare. In conseguenza si sono sviluppati molti porti commerciali ed industriali, sviluppo che ha aumentato l'erosione costiera creando un apporto notevole di sedimenti rimasti intrappolati all'interno delle strutture portuali. In assenza di tecnologia per poterli processare, aspirare, trasportare le strutture portuali hanno dovuto sobbarcarsi di costi e iter burocratici lunghissimi, perdendo così competitività. Dall'altro, le normative ambientali e i costi altissimi hanno fatto sì che non si sapesse come liberarsi dei sedimenti, arrivando a portarli in discarica, diventando di fatto una dispersione di materiale in quanto si provoca uno squilibrio costiero creando usura e mancanza di apporto sedimentato nella costa». Come si passa tecnicamente da un vecchio dragaggio impattante a uno ecosostenibile? «Deriviamo da aziende di costruzioni che operavano nel settore dei marmi e nel settore delle costruzioni di porti, di strade e ferrovie. Avevamo visto che c'era un problema grande. E i problemi sono fonte di ispirazione e da qui di opportunità. Nel 2010 abbiamo affrontato il problema portando innovazione tecnologica e strategica, lavorando sulla valenza etica come bussola che indicasse la strada. La pandemia ha attraversato tutte le economie portando l’umanità di fronte a un doppio scenario: scegliere la vita o il PIL; abbiamo scelto la vita. Oggi un'inversione di tendenza economica è un fatto dirimente. Non ne usciremo se non capiamo che il mondo si potrà misurare solo con la qualità della vita, parametro che sta entrando ed entrerà sempre di più nei sistemi di valutazione economici. Ecco perché crediamo che Decomar abbia percorso una strada giusta nella visione di impresa e che risponda solo all'etica e al patrimonio etico delle persone». Che ne pensa del nuovo Ministero della Transizione Ecologica? Non vede delle assenze? «Al di là del titolo, questi luoghi vanno riempiti di contenuti. Da una parte è positivo perché l’Europa destina il 37% del Recovery Plan a creare un modo nuovo di pensare lo sviluppo. Dopo la rivoluzione industriale ci siamo configurati il progresso come un'occasione di benessere che portava con sé un male accettabile, il Rifiuto. In natura non esistono rifiuti. Il rifiuto è una pigrizia umana che per inseguire il PIL non ha fatto un’analisi etica del progresso. Oggi vediamo i problemi del dissesto idrogeologico. L'Italia negli ultimi dieci anni ha pagato danni al patrimonio per 165 miliardi di 36 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 euro, quasi un intero Recovery Plan. A ogni occasione di eventi atmosferici estremi il nostro territorio non è più in grado di sostenere l’apporto idrico. Tanta acqua cade sul suolo, tanta ne viene fuori. La tecnologia Limpidh2o può sfangare dighe, che nel 1930 producevano il 60% del fabbisogno energetico italiano ed era una tecnologia Green. Tecnologia abbandonata a favore delle centrali a carbone per rispetto del Piano Marshall. Speriamo che questo Recovery Plan non segua le strade sbagliate del passato. Lo sfangamento dei bacini ci potrebbe riportare a sviluppare un’energia antica e rinnovabile come quella dell’idroelettrico. In Italia si trovano stivati nei bacini oltre 4 miliardi di metri cubi di sedimenti che occupano spazio alla risorsa idrica e impediscono di fare storage e nel frattempo impediscono anche di calmierare gli effetti delle precipitazioni». Quanto è stato difficile farsi strada in un ambiente come quello Italico? «In Italia è difficile fare innovazione. Sarebbe stupido dire che la tentazione di abbandonare le armi è un pensiero che non ci ha sfiorato. Quando ci ha sfiorato, abbiamo guardato indietro, sapevamo che la strada era quella giusta. Abbiamo subìto resistenze burocratiche del classico ‘si è sempre fatto così’, pur avendone dimostrato gli errori e proponendo cambiamenti. L'innovazione Decomar toglie la gallina dalle uova d’oro a tutto il business delle discariche dei rifiuti e sappiamo che non è illuminato. Siamo arrivati a fare una joint venture con Fincantieri per far ricadere la ricchezza nel Paese. I porti ci vedevano come un avversario perché criticavamo il loro modus operandi. Oggi se accettano di scegliere la strada della sostenibilità vincono loro e non devono chiedere alla politica una scelta difficile quale quella ‘o il porto o la costa’ ma possono diventare il primo attore per la lotta contro l'erosione. In tutta questa situazione era il Ministero dell’Ambiente il grande assente. Non bisogna sempre sottostare al diktat del no. Bisogna avere coraggio di fare la scelta del possibile. Spero che questo nuovo Ministero sia il crocevia per coniugare in condivisione lo sviluppo sostenibile con lo sviluppo portuale futuro». ▲ In ordine: veduta del Porto di Genova veduta aerea del Porto di Calvì, Corsica, Francia Decomar Tecnologia Limpidh2oSCOPRI LA TECNOLOGIA CHE SCALDA SENZA BRUCIARE NULLA Dall’energia della Terra arriva l’esclusiva tecnologia idrotermica di Teon. Scoprila con Tina, la pompa di calore ad alta temperatura che riscalda come una caldaia, azzera le emissioni e riduce la bolletta fino al 70%. Verifica se la tua zona è raggiunta dall’energia idrotermica su teon.it Sostituisce la caldaia senza cambiare l’impianto esistente Massima sicurezza grazie all’eliminazione di metano o gasolio Tecnologia brevettata che permette all’acqua di raggiungere gli 80°C Più valore all’immobile con il guadagno di almeno due classi energetiche38 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 ACQUA E PACE / di Valeria Pagani e Emanuele Bompan S ono migliaia le voci che chiedono giustizia sul tema della sicurezza idrica. Prendiamo due te- stimonianze di quanto accade. L’una dichiara «I fiumi sono la nostra vita», l’altra chiosa «i nostri fiumi stanno morendo». Il primo lemma è proclamato dagli Embera – Katio, popolazione indigena che vive lungo le rive del fiume Sinu in Colombia che da secoli organizza il proprio sistema economico e sociale attor- no alla risorsa idrica. Il secondo, appartiene alla cam- pagna “Rally for Rivers” lanciata da Isha Foundation, che possiede un ruolo consultativo nel Consiglio delle Nazioni Unite, per accrescere la consapevolezza sull’e- saurimento delle risorse idriche, in particolare sui fiumi indiani. Due voci complementari alla base di un proble- ma globale: l’uso smodato di acqua dolce e la sua sempre maggiore carenza. Ismael Serageldin, direttore e fon- datore della Bibliotheca Alexandrina e vice presidente della Banca Mondiale dal 1992 al 2000, in un’intervista al World Policy Journal ha espresso come «La maggior parte delle persone non sembra rendersi conto di quan- ta acqua hanno bisogno gli esseri umani». Se in alcune aree del Pianeta questa risorsa è fortemente banalizzata Le risorse idriche possono diventare un elemento geopolitico fonte di conflitti Insicurezza nell'acqua39 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2021 e incivilmente sprecata, in altre divampano guerre e con- flitti per il suo possesso, andando a costituire il filo che separa la vita dalla morte. Si definiscono Water Wars i conflitti combattuti per l’ac- qua, per il suo possesso o per la sua mancanza. Possono restare latenti, prendere la forma di proteste dal basso o manifestarsi attraverso l’uso della forza e della violenza, sfociando in vere e proprie guerre. Il Pacific Institute, un Think thank globale creato negli anni ‘80 per forni- re ricerche indipendenti e analisi delle politiche su temi riguardanti ambiente e sicurezza, ha stilato il Water Con- flict Chronology, un database open source sulla violenza legata all'acqua. Ha individuato tre forme di conflitto: ac- qua come fattore scatenante, o trigger, per cui alla base della violenza si individuano controversie sul controllo del bene o dei sistemi idrici, tra cui scarsità e mancanza di accesso eco- nomico o fisico al bene; acqua come arma di conflitto; acqua come inci- dente, per cui i sistemi idrici diven- tano vittime intenzionali o costitui- scono obiettivi di accanimento mili- tare. Molto spesso, in una situazione di conflitto, questi tre fattori sono contemporaneamente presenti, o al- meno due di essi. Conflitti in aumento Secondo il Rapporto dell’Unesco (https://bit.ly/2OCPaTC), si è veri- ficato un aumento significativo dei conflitti legati all’acqua. Tra il 2000 e il 2009, ne sono stati censiti 94. Tra il 2010 e il 2018, si è arrivati a 263. Tra i nuovi casi più importanti vi sono gli attacchi ai sistemi idrici civili nei numerosi conflitti in corso in Medio Oriente, specialmente in Yemen, Siria e Iraq. Notevoli sono anche i crescenti casi di violenza in alcune parti dell'Africa dove i pastori e gli agricoltori tradizionali sono in competizione per le scarse risorse idriche. Anche l’Asia si sta velocemente affacciando a una crisi idrica: con tre quinti della popolazione mondiale e il ritmo di crescita più elevato, è l’area che ha meno acqua dolce pro capite. Quello dell’oro blu è un ciclo chiuso, per cui la massa idrica totale rimane costante nel tempo. Una volta con- taminata e depauperata non esiste sostanza che possa sostituirla per spostare avanti la frontiera del suo esauri- mento. Sempre Serageldin nel 1995 avvertì: «Se le guer- re del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua. Da Israele all’India, passando per la Turchia, sono numerosi i focolai che presto potrebbero sfociare in veri e propri conflitti armati». I cambiamenti climatici che stanno cau- sando siccità, sempre più opprimenti in alcune aree del Pianeta, l’aumento della popolazione, le contaminazioni e il degrado qualitativo della risorsa sono le principali cause per cui questo bene è e sarà sempre più conteso. Le con- seguenze sono scontate: crollo delle derrate alimentari e insicurezza nutrizionale, aumento dei prezzi, migrazioni e quindi conflitti. Nel Sudan del Sud l’acqua è da anni al centro di frequen- ti ondate di disordini. Dal 2013 al 2020 il Paese è stato devastato da una brutale guerra civile che ha ucciso oltre 400 mila persone e ha spinto la sua popolazione sull'orlo della carestia. Oggi quasi l'80% della popolazione non ha accesso all'acqua poiché, negli anni dei combattimenti, gruppi armati hanno preso di mira le infrastrutture idri- che al fine di debilitare e indebolire i nemici. Si registrano sempre più frequentemente morti per disidratazione e per malattie veicolate dalla risorsa idrica come il tifo e il cole- ra, diffuse in modo incontrollato all’interno delle comunità rurali che non hanno accesso ai servizi igienici di base. A ciò si somma- no i furti e le violenze perpetrate nei confronti delle donne addette al riempimento delle taniche e og- getto di agguati durante il tragitto, che a volte sono anche uccise. Le radici idriche dei conflitti Qualcosa di simile accadde an- che fra il 2007 e il 2010 quando la Siria fu colpita da una grave siccità che lasciò senza lavoro un milione di piccoli agricoltori, co- stretti a spostarsi in massa verso le città. Le temperature estre- me che bruciavano i raccolti e l’esaurimento delle falde e dei pozzi d’irrigazione, hanno por- tato allo stremo la popolazione, la cui unica possibilità per vivere era spostarsi altrove. Questa condizione di estrema carenza di risorse idriche ha acuito i disordini sociali, anche attraverso la nascita di nuovi gruppi armati, andando ad aggravare la pree- sistente instabilità politica; le infrastrutture idriche sono diventate il primo obiettivo militare. A complicare ulteriormente il problema all’interno di que- sto quadro segnato dai cambiamenti climatici e dal ran- core umano, è che l’acqua non conosce confini, mentre gli uomini sanno bene dove sono posti. Circa 5 miliardi di persone vivono dove scorrono acque transfrontaliere: il Nilo è condiviso da undici Stati, il Rio delle Amazzoni da nove, il Mekong da sei e il Danubio ne lambisce ben diciassette. Chi gode all’interno del proprio Stato della parte di bacino più alto, detiene il potere di controllo sul- le acque che scendono a valle. La cooperazione tra Paesi e la stesura di un’idro-diplomazia sarebbe auspicabile al fine di evitare dinamiche conflittuali e per assicurare la sopravvivenza della risorsa. La scarsità idrica prodotta anche dai cambiamenti climatici innescherà conflitti e migrazioniNext >