< Previous11 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 *Giornalista ambientale, socio fondatore di Italia che Cambia La prospettiva di interpretazione della Terra deve cambiare se si vuole sul serio la transizione ecologica Occhi di pesce ITALIA CHE CAMBIA a cura di Andrea Degl’Innocenti* S ui social media è girata la mappa del mondo vista da un pesce. Un planisfero al contrario, con i mari al centro mentre ai bordi sono posizionati i lembi di terra che li delimitano. Un esercizio cartografico interessante che ci ricorda l’importanza di cambiare la prospettiva del nostro sguardo sul mondo. Proviamo anche noi prendendo spunto da alcune notizie pubblicate nelle ultime settimane su ItaliacheCambia.org, guardandole con gli occhi di un pesce. Nelle ultime settimane ho osservato - e ne conserverei il timore se solo avessi più memoria - enormi navi da guerra solcare il confine col cielo, sopra di me. Non so cosa abbiano in testa quegli strani animali bipedi, così abbondanti lassù; non presagisco niente di buono. Sono animali strani. Qualche settimana prima avevano celebrato il fatto che un’isola vicino alle terre dei ghiacci, che chiamano Islanda, avesse vietato finalmente la caccia a ogni tipo di balena. È un’ottima notizia, dato che le colleghe balene - lo so, non sono pesci, ma da queste parti non ci facciamo problemi di specie e classi di animali differenti - trasportando nutrienti dai fondali oceanici alla superficie, fanno proliferare la vita e permettono al fitoplancton di assorbire il 40% dell’anidride carbonica che i bipedi producono sulla Terra, stabilizzando il clima del Pianeta, per tutti. Non so sulla Terra ma qui, inizia a fare un po’ caldo. Non ho ben capito che robaccia stiano continuando a buttare in atmosfera, sarebbe ora di smetterla perché non sono un pesce tropicale. Nemmeno a dire che non lo sappiano, poi. Nell’ultimo rapporto dell’Ipcc c’è scritto che le cose non stanno andando proprio benissimo e che gli ecosistemi marini sono fra quelli più a rischio. C’è un intero capitolo dedicato all’impatto nel Mediterraneo, le cui temperature potrebbero aumentare per la fine del secolo, sino a 5,6 °C; non vorrei finire bollito. Per fortuna siamo più resilienti del previsto e sappiamo cavarcela anche in queste condizioni facendoci forza l’un l’altro. Prendete i coralli: dove la biodiversità è più ricca si sviluppano varietà resistenti, dei “super coralli” capaci di tenere testa per lungo tempo alle ondate di calore estremo. E che dire dell’immondizia che buttano in mare. Buste di plastica, bottiglie, bicchieri, stoviglie, mozziconi di sigarette, reti da pesca, cottonfiocc e, di recente, anche delle strane strisce di polipropilene con tanto di elastici acchiappa pesce ai lati. L’altro giorno ho incontrato un’amica testuggine, che stava soffocando con un sacchetto di plastica in bocca; ha bofonchiato di star tranquillo, perché era plastica “bio”. Peccato che da queste parti non produciamo rifiuti, sennò alla prossima mareggiata, altro che conchiglie gli facevamo trovare sotto gli ombrelloni. Qualche tempo vicino alla costa ho visto centinaia di persone, apparentemente felici, impegnate a ripulire una spiaggia dai rifiuti. Mi son detto che strana specie sono questi bipedi, capaci di fare tutto e il contrario di tutto. Ma non facevano prima a non buttarla in mare, quella plastica? Forse sono io che non capisco, col mio cervello striminzito di pesce. ▲13 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 *Giornalista scientifico, caporedattore L’Ecofuturo Magazine L'ostacolo più grande per le comunità energetiche in Italia sarà il superare l'individualismo Comunità al bivio ENERGIA a cura di Sergio Ferraris* C omunità energetiche. Siamo a un bivio. “Energetico". Per la prima volta nella storia recente dell'energia il modello energetico potrebbe cambiare in maniera radicale in direzione delle persone e non solo delle imprese. Da anni, con l'avvento della generazione distribuita, si parla di un cambio di paradigma sotto il profilo energetico che però è un concetto legato ai piccoli e medi impianti a fonti rinnovabili - il confronto è rispetto alle "dimensioni energetiche”, al fattore di capacità produttiva dei sistemi nucleari e fossili e alla figura del singolo prosumer, il produttore/consumatore, sia esso una persona o un'impresa che non ha la produzione energetica come asset principale. Ciò che manca, o meglio mancava a questo nuovo paradigma energetico è il soggetto collettivo produttore/consumatore d'energia. E ora lo abbiamo: è la comunità energetica. Al 2030 in Italia ci si aspetta che diventino, dalle poche decine di oggi, oltre 35 mila le comunità energetiche e si tratta di un percorso tutt'altro che scontato. Se parliamo di soggetti collettivi composti da almeno una decina di persone, ciò significa il mettere assieme e far dialogare, circa 350 mila soggetti su una materia ostica quale l'energia e i suoi risvolti di mercato. Il tutto in uno scenario che diventa sempre più complesso. Con l'avanzare della transizione energetica s'affacceranno altre rinnovabili che diventeranno sempre più mature, altre metodologie energetiche prima sconosciute - si pensi all'utilizzo delle autovetture elettriche come accumulo che "vendono" servizi di rete - e altre consapevolezze sulle modalità di consumo come il demand&response. Senza contare che la digitalizzazione dell'energia è appena gli inizi e di sicuro non si sa chi utilizzerà e come, i dati relativi ai consumi e alla produzione distribuita, oppure quelli generati dalla mobilità sostenibile che s'incroceranno con i profili di consumo. Insomma se da un alto avremo "esplosioni" e incroci di tecnologie c'è il rischio, reale, che si imbocchi il percorso dell'abbandono della modalità delle comunità energetiche per un deficit per così dire "sociale". Le tecnologie abilitanti per le comunità energetiche soffrono di un deficit d'analisi sociale che potrebbe sopprimere nella culla le nascenti comunità. Nella storia delle tecnologie delle rinnovabili è già successo, basta vedere ciò che è successo con il solare termico. Efficiente, appetibile per l'Italia, vista l'insolazione, molto incentivato, non è mai decollato perché, come le altre rinnovabili di "massa", non è mai stato "carrozzato" per affascinare le persone. Processo che gli industriali dell'auto hanno capito immediatamente dopo la Ford Modello T. Rendere affascinanti le comunità energetiche sarà complesso visto che viviamo in un Paese dove i diritti individuali da decenni sopravanzano di gran lunga quelli collettivi e dove le soluzioni sono pensate, sia dalle persone sia dalla politica, solo ed esclusivamente al singolare. ▲SOLUZIONI INTELLIGENTI PER UN MONDO SOSTENIBILE15 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 * Ecodivulgatrice, scrittrice e conduttrice tv Innaffiare con cura riduce lo spreco di acqua e fa bene a piante e portafogli Acqua nel verde AUTOPRODUZIONE a cura di Lucia Cuffaro* L’ acqua è un bene prezioso, è importante ricordare di non sprecarla anche quando si innaffia. Dalla primavera e soprattutto in estate i bacini sono in sofferenza o addirittura arrivano al secco, per i troppi sprechi. È fondamentale seguire le buone pratiche ecologiche con una serie di trucchi per innaffiare meglio e risparmiare fino al 50% di acqua sulla bolletta. Come prima cosa guardare le previsioni del tempo: se è prevista pioggia meglio non innaffiare. Le innaffiature devono essere frequenti e mai troppo abbondanti; più è piccolo il vaso, più la terra si asciuga rapidamente. Per verificare se serve acqua, appoggiare la mano sulle foglie e sul terriccio sentendo la freschezza della superficie, nel caso di un giardino invece calpestare l’erba (se si piega o si schiaccia è opportuno innaffiare). Innaffiare la sera durante i mesi caldi, le piante vengono meno sollecitate e hanno tutta la notte per assorbire l’acqua. Nei mesi freddi si predilige la mattina per evitare ristagni. In primavera e in autunno, meglio a metà giornata. È meglio non bagnare le radici, i fiori e le foglie: si eviteranno shock termici, la bruciatura delle foglie o dei fiori per il sole e la formazione di funghi. Si deve innaffiare con un sistema a pioggia e in prossimità dei bordi del terreno, trucco che aiuta ad allungare le radici che andranno a cercare l’acqua. Per evitare l’escursione termica si possono mettere foglie, erbacce secche, fieno o paglia attorno a una pianta, un fiore o un ortaggio. Questo trucco, chiamato tecnicamente “pacciamatura”, riduce fino al 30% i consumi perché diminuisce l’evaporazione dal terreno, arricchendolo al contempo grazie ai nutrienti delle erbe. Si può fare nei vasi, nei giardini e negli orti. Un consiglio antispreco e a costo zero è di recuperare sia l’acqua di lavaggio di frutta e verdura sia l’acqua di cottura delle verdure, senza sale ovviamente e a temperatura ambiente. Se si parte per un fine settimana innaffiare abbondantemente, spostare le piante nella zona più ombreggiata e raggruppare quelle piccole sotto le alte. Nei sottovasi, si può aggiungere dell’argilla espansa che aiuta a mantenere l’umidità. Per un’assenza da quattro a nove giorni si riempiono delle bottiglie di vetro con acqua. Se ne inserisce più di una capovolta nel terreno (senza tappo) in ogni vaso o in giardino. In alternativa c’è il metodo del sifone comunicante. Si posiziona una bacinella con l’acqua più in alto di almeno 10 cm dai vasi. Con della lana si realizzano tante trecce quante sono le piante da innaffiare. In alternativa si usano le strisce di stuoia filtrante dei vivaisti. Si bagnano le trecce con l’acqua, dopo si pone un capo nel fondo del secchio e l'altro inserito circa 2-3 cm nella terra del vaso per fare in modo che ci sia un vero e proprio collegamento di acqua. Un piccolo trucco che fa bene alle piante di casa, riducendo gli sprechi. ▲17 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 * Vicepresidente Ass. Chimica Verde Bionet, R&D manager Green Evolution Spesso si considera il mare come una risorsa solo per il suo utilizzo "superficiale". Non è così Mare circolare S e le plastiche in mare sono nell’occhio del ciclone - ce ne saranno fino a 600 miliardi di kg - queste tuttavia non sono il mare (né il male) dimenticato del focus a cui è dedicato questo numero, quanto lo sono piuttosto le azioni perpetrate dall’uomo senza pensare alle conseguenze. Riportiamo un paio di esempi: gli impianti di desalinizzazione e gli ancoraggi di barche da diporto. I primi, un toccasana per molte isole minori, una risposta alla desertificazione incombente causa di cambiamenti climatici e incremento della popolazione da sfamare. I secondi, un’economia in cui l’Italia soddisfa un istinto primario dell’uomo: la convivenza con il mare. Ne fanno le spese le foreste di Posidonia sul fondo del mare. Piante inutili per molti, che amministrazioni delle zone balneari rimuovono in fretta, che case cosmetiche cercano di trasformare in creme tonificanti, industrie in carta ecc. Le foreste di Posidonia sono un bene prezioso per la sostenibilità dell’ecosistema marino; da preservare dopo la scomparsa di molte di queste dalle nostre coste, con effetti sulla biodiversità: la riduzione di colonie di pesci e molluschi, fonte di economia per la piccola pesca costiera e protezione dall’erosione delle spiagge balneabili e delle loro economie ecc. Chi ha contribuito a questa scomparsa? Non solo la pesca illegale a strascico ma le più apparentemente innocue attività: - la desalizzazione dell’acqua marina per la produzione di acqua da bere e preservare l’economia del proprio territorio come all’isola d’Elba, dove si produce una salamoia che viene rigettata in mare a pochi metri dalla costa (dove vive la posidonia), talmente concentrata che precipita sul fondo, desertificandolo; - gli ancoraggi delle barche da diporto, che non lontano dalla costa si agganciano alle asperità del fondale danneggiandolo, togliendo protezione a molluschi e pesci o arando pezzi di fondale sabbioso sospinti da moto ondoso e correnti. Se una barca procura poco danno, le crescenti quantità di barche ancorate nelle baie più suggestive, procurano invece danni gravi. La domanda che in genere sorge è: perché le autorità non hanno pensato alle conseguenze delle loro scelte? Questo modo di pensare è una scorciatoia. La domanda più importante va rivolta a noi che amiamo il mare, che ci indigniamo se un peschereccio uccide e disperde 100 mila pesci ma che evidentemente non ci fa sentire quella goccia che, seppur piccola, contribuisce a quella risorsa di vita e bellezza indispensabile, quella nota poetica dei tramonti, quella riserva di cibo che adoriamo, quel bene cristallino dove vogliamo nuotare, quel brodo primordiale da cui sappiamo di provenire, la Pachamama da proteggere. L’Università di Pisa sta sperimentando reti da ancorare sul fondo in bioplastica biodegradabili che torneranno materiale per restituire vita, secondo schema di economia circolare. Senza una presa di coscienza che richiede ogni azione, anche banale, le cose non sono destinate a cambiare. ▲ BIOECONOMIA a cura di Marco Benedetti*ENERGIA ANCHE IN CAPO AL MONDO www.offgridsun.com OffgridSun è l’azienda leader in Italia nella distribuzione di moduli e sistemi fotovoltaici a 12 V, ideali per la pubblica illuminazione, la segnaletica stradale, nei mercati della camperistica, nautica e in tutte le aree non connesse alla rete elettrica. OffgridSun non è solo progettazione e fornitura di dispositivi di alta qualità. In parallelo all’offerta di prodotti e di kit standard e su misura siamo lieti di offrire servizi individualizzati di: • Consulenza per il dimensionamento del vostro impianto fotovoltaico • Assistenza pre e post-vendita • Installazione e assistenza anche on-site da parte di tecnici specialisti con lunga esperienza di impianti off-grid • Supporto per la partecipazione a bandi internazionali • Consulenza su revamping di vecchi impianti stand-alone19 L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 *Division Director, Green Innovation Division – Zucchetti Centro Sistemi ll mero calcolo economico dei danni climatici non è il metro giusto per le politiche sul clima Clima costoso L’ estate 2021 è stata estremamente critica a causa dei fenomeni ambientali estremi direttamente riconducibili agli effetti del riscaldamento ambientale. Gli incendi negli USA, in Canada, in Italia e in Siberia, le alluvioni torrenziali in Germania, Belgio, Olanda e Cina, i picchi di caldo in generale sull’intera area all’interno del circolo polare artico hanno focalizzato l’attenzione mondiale su un problema ormai decisamente fuori controllo. Chi continua a negarlo lo fa in evidente malafede. Nel 2018 l’americano William Nordhaus ha vinto il premio Nobel per l’Economia per i modelli che permettono un’analisi dettagliata e accurata della reciproca influenza fra le diverse attività economiche (imprese industriali ma anche agricole e di servizi, come il turismo) e le emissioni di anidride carbonica. Moltissime delle previsioni utilizzate nei summit politici dedicati all’ambiente si basano sui modelli di Nordhaus. Ciò porta a una prima riflessione: se un accademico del livello di Nordhaus ha messo a punto modelli matematici, dimostrabili e ripetibili che dimostrano l’interdipendenza fra attività economiche e cambiamenti climatici, perché abbiamo dei politici che negano queste evidenze? È possibile che si arrivi a questi livelli di superficialità e di scorrettezza ideologica? Una seconda riflessione riguarda i sistemi sociali ed economici impattati dai cambiamenti climatici: in primis, agricoltura e turismo che si trascinano dietro anche moda e alimentare, tutte industrie che rivestono un’importanza economica molto elevata, se non decisiva, per le sorti del nostro Paese. Se fino a qualche anno fa qualsiasi economista era cauto nel calcolare l’impatto economico-sociale dei cambiamenti climatici e rispondeva con un laconico «lo valuteremo fra 30 o 50 anni», oggi quasi tutti gli economisti che non siano ideologicamente legati a schemi negazionisti, valutano una media di 400 dollari per tonnellata di CO 2 emessa, con un range che può variare da 180 a 800 dollari, a seconda del Paese e della classe sociale di appartenenza. Nel mondo si producono ogni anno 33 miliardi di tonnellate di CO 2 ; questo sembra essere l’unico parametro considerato, più della salute e della qualità di vita delle generazioni future o del destino del Pianeta. Si dirà che un costo di 13.200 miliardi di dollari l’anno per produrre beni e servizi a livello mondiale è tutto sommato ragionevole. A parte che la ripartizione di quei costi non è lineare in funzione dei consumi di ogni Stato, ma grava in maniera assai più pesante sui paesi poveri, il problema vero è che non è più sostenibile. Se la stessa cifra fosse utilizzata per lo sviluppo e l’adozione di tecnologie pulite, avremmo qualche speranza di superare il riscaldamento globale in tempi ragionevoli. È stato confermato da un recente studio delle Nazioni Unite e da alcuni senatori e parlamentari conservatori americani che hanno sposato la causa green, spinti dalla “necessità” di non perdere voti, sempre più sensibili a tematiche ambientali e sempre più stanchi di fenomeni estremi che mettono in ginocchio le loro comunità. Il momento è adesso e mai come adesso non potrà esserci sviluppo senza sostenibilità. ▲ IMPRESA E SOSTENIBILITÀ a cura di Averaldo Farri*Next >