< Previous40 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 ruotano intorno al mondo dell’autoconsumo. Perché un pannello fotovoltaico può fare la differenza: sia in termini di prestazioni e sia in termini di soddisfazione del cliente. È un elemento importante per la crescita di questo mercato. A tal proposito, abbiamo creato la guida "Piccolo manuale delle Comunità Energetiche" facilmente scaricabile dal nostro sito». (https://bit. ly/3efOOwu) Come “autoconsumare” A differenza del passato, dove si guardava a questo genere di operazioni pensando soprattutto al guadagno, oggi la parola d’ordine è quella dell’autoconsumo collettivo. Farsi finanziare un progetto di comunità energetica è piuttosto semplice e si parte da un soggetto referente. Può esserlo, per esempio, un condominio che si rivolge alla banca per accedere al credito necessario per la fase di progettazione, per la realizzazione dell’impianto e, successivamente, per l’acquisto delle componenti elettriche. E un soggetto referente può essere anche un privato che, altro esempio, potrebbe fare da “prosumer”: costruisce l’impianto sulla propria abitazione e immette energia in una comunità (anche piccola, bastano già 2-3 abitazioni). C’è poi il caso, dove interviene una società esterna che può agire come ESCo (Energy Service Company, si tratta di un’impresa in grado di fornire tutti i servizi tecnici, commerciali e finanziari necessari per realizzare un intervento di efficienza energetica) e che provvederà a pagare l’impianto in cambio dell’incentivo erogato dal Gse (Gestore dei servizi energetici). Modalità ben conosciute da Andrea Parrini che con la sua azienda promuove da circa ventidue anni la nascita delle comunità energetiche. «In qualità di distributore specializzato siamo a fianco dei progettisti che sono la chiave per la buona riuscita di una comunità energetica. Facciamo inoltre tanta formazione agli operatori del settore, un aspetto spesso trascurato ma fondamentale – ha continuato Parrini -. Siamo presenti anche presso le amministrazioni comunali che devo dire stanno spingendo molto su questo. Hanno capito che non si tratta infatti di progetti invasivi, e che ci sono dei reali benefici per i cittadini e per l’intero territorio». Benefici che possono arrivare dall’uso di locali e suoli pubblici riconsiderati proprio per produrre energia e distribuirla tra la comunità. Per esempio, si potrebbe pensare di usare il tetto di una scuola per l’installazione dei pannelli fotovoltaici. Se questa venisse poi inserita in una comunità energetica, ecco che si potrebbe utilizzare l’energia autoprodotta per alimentare l’edificio e per cedere la parte in esubero ai cittadini connessi alla stessa rete. Un’operazione fattibile anche nei periodi di chiusura scolastica, come i mesi estivi. In questo modo si contribuirebbe non solo all’autoconsumo, ma anche a quel processo di riqualificazione di cui le scuole italiane, e in generale gli edifici pubblici, hanno un disperato bisogno. ▲Problemi di muffa e umidità? Risolvi definitivamente il problema con DRY UP salubrità naturale dei muri e della tua casa 42 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 N el libro Storia della bellezza, dove procede a una sorta di analisi comparata dei vari ideali di bellezza collezionati dalla storia, Umberto Eco osserva che per secoli «l'arte era un modo di fare bene le cose ma anticamente si chiamavano ars sia quella del pittore sia quella del costruttore di barche o addirittura del barbiere». Concetto ribadito in un discorso all’Università della Calabria: «noi contemporanei identifichiamo quasi sempre la bellezza con la bellezza artistica. Ma per secoli si è parlato di bello soprattutto per la bellezza della natura, degli oggetti, dei Bellezze utili SUGGESTIONI/ di G.B. Zorzoli Le fonti rinnovabili sono accusate di "bruttezza", ma spesso la "bellezza" di cui oggi fruiamo, come il paesaggio toscano, è frutto dell'uomo43 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 corpi umani o di Dio». Nell’organizzare nel 2019 a Firenze un Convegno sulla bellezza delle rinnovabili, come il Borghese Gentiluomo di Molière, anche Fabio Roggiolani non sapeva di parlare in prosa ma questo non gli impedì di recuperare un concetto della bellezza molto più ampio di quello relativo alla bellezza artistica. Qualsiasi oggetto destinato a una specifica utilizzazione è percepito come “bello”, se lo si giudica adeguato allo scopo per cui è stato concepito. Questa conclusione è confermata dai mulini a vento olandesi. Costruiti per azionare le pompe che drenavano il terreno o per macinare cereali, inizialmente apprezzati per avere trasformato un territorio inagibile in un sistema agro-industriale (i cinque mulini di Schiedam hanno avuto un ruolo importante nella produzione del gin olandese jenever), oggi sono diventati un’attrazione turistica, e il sito di Kinderdijk, con ben diciannove mulini, è stato dichiarato dall'Unesco Patrimonio dell’Umanità. Erano inizialmente belli perché utili e la loro bellezza, benché percepita secondo altri parametri di valutazione, è rimasta tale. Toscana antropica Considerazioni analoghe si applicano al paesaggio della Toscana, che mille anni fa per la maggior parte era coperta da selve oscure, come quella in cui si perde Dante all’inizio della Divina Commedia. Il paesaggio toscano ha cominciato a cambiare con l’introduzione della rotazione delle colture e la comparsa dell’aratro pesante con le ruote, con il collare da spalla rigido che permise di migliorare la forza di trazione del cavallo, che in alcune zone sostituiva il bue. Innovazioni che consentirono l’estensione delle aree coltivabili e risolsero il problema alimentare. Il panorama toscano attuale è dunque un "ambiente costruito" – frutto di realizzazioni umane che hanno trasformato l’ambiente naturale, rimodellandolo secondo le esigenze umane, senza violentare l’ecosistema. Per questo il paesaggio toscano è vissuto come manifestazione di bellezza. L’agricoltura toscana e i mulini a vento olandesi sono entrati nell’estetica del territorio coinvolto, perché a filiera sociale corta. I benefici erano evidenti e riguardavano tutti (o quasi). Oggi le rinnovabili sono tendenzialmente considerate invasive, quando vengono paracadutate in un contesto ambientale e sociale come Minerva che, secondo la leggenda, uscì dalla testa di Giove già adulta e armata di elmo e scudo. Bellezza di comunità Per contro, in Germania sono state censite 1.750 comunità energetiche rinnovabili, 700 in Danimarca, 500 in Olanda, solo per citare i casi più significativi. Spesso anche loro, alla stregua del Borghese Gentiluomo di Molière, non sapevano di avere costituito una comunità energetica rinnovabile. Lo stesso è accaduto anche in Italia, dove già nel 1897 fu fondata la Sem, una società cooperativa, che tuttora produce energia elettrica mediante 9 impianti mini- idroelettrici (per complessivi 11 MW), situati in Valtellina/ Alto Lario, e nel 2002 ha acquisito da Enel la rete locale di distribuzione, diventando così distributore unico per i Comuni di Morbegno, Cosio Valtellino, Bema e Rasura. Analoghe realtà si sono susseguite nel tempo, tutte però nel Centro-nord. Per trovare altrove un esempio comparabile, si deve arrivare a tempi più recenti, quando a Melpignano, piccolo centro con meno di 2.500 abitanti nella provincia di Lecce, grazie alla volontà dei cittadini e della stessa Amministrazione comunale è nata la Cooperativa di Comunità, costituita da soci- cittadini-utenti, con l’obiettivo iniziale di realizzare una rete diffusa di impianti fotovoltaici sui tetti di case, aziende ed edifici pubblici. Le realizzazioni italiane confermano quindi che le rinnovabili diventano belle quando sono fatte bene; condizione che, oltre all’adeguatezza tecnica, deve possedere quella sociale, oggi garantita dalla costituzione di una Comunità energetica rinnovabile, un soggetto giuridico secondo la Direttiva europea sulle Fer «basato sulla partecipazione aperta e volontaria, autonomo ed effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che appartengono e sono sviluppati dal soggetto giuridico in questione». ▲ Bisogna coniugare il principio di bellezza con il concetto di utilità 44 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 I mmaginate di essere uno scolaro danese che il 26 marzo del 1978 si reca a scuola a piedi. È un giorno ventoso a Tvind in Danimarca, nello stato dello Jutland occidentale, ma non è una novità. Il vento da quelle parti soffia incessante per oltre 300 giorni l'anno. La vera novità, invece, è quel rumore strano, diverso dallo stormire delle foglie percosse dal vento. Quel rumore fatto da un sibilo alto di frequenza e un'ondeggiare di frequenza bassa. Un rumore inedito per quei tempi e quelle latitudini. Il rumore del vento che si trasforma in energia elettrica. Pulita, sicura, ecologica ed equa. Questo fu, ed è ancora oggi il rumore di quella che è stata Vento di comunità ESPERIENZE / di Sergio Ferraris L'industria eolica moderna è nata grazie a una piccola comunità energetica che realizzò da sola oltre quarant’anni fa la pala eolica, all'epoca, più grande del mondoper anni, con i suoi due megawatt di potenza, la pala eolica più potente del mondo, ma soprattutto la prima realizzata per intero da una comunità di cittadini: la pala chiamata Tvindkraft. L'avventura dell'eolico a Tvind era partita, tra lo scetticismo generale, tre anni prima, il 29 maggio 1975 e il progetto era considerato temerario ai limiti della follia. Tutti i maggiori esperti d'energia danesi concordavano in un unico giudizio: impossibile. Dai giornali queste tesi rimbalzano verso l'opinione pubblica prevedendo il crollo dell'enorme, per l'epoca, pala eolica alla prima raffica di vento. I cittadini di Tvind proseguirono nel loro progetto visionario e impossibile supportati anche dal fatto che la costruzione della grande pala eolica era vista con favore dalle persone al punto che oltre 100 mila danesi visitarono il cantiere durante i tre anni della costruzione. E non si trattava solo di curiosi che venivano a vedere come la piccola scuola di Tvind aveva deciso, coinvolgendo la comunità, di scegliere una fonte rinnovabile all'epoca "inesistente" anche e soprattutto per motivi etici e politici. Quegli anni erano caratterizzati da un modello di sviluppo che si pensava infinito e per il quale sarebbe servita una fonte d'energia che all'epoca si pensava sicura, non inquinante e illimitata come il nucleare, mentre il paradigma energetico era quello centralizzato nel quale il ruolo delle persone si riduceva ad essere quello di meri consumatori. È una battaglia che i cittadini di Tvind hanno vinto. Tvindkraft oggi genera ancora energia pulita, riscaldando tra le altre cose la scuola vicina alla quale è stata progettata, mentre la limitrofa centrale nucleare svedese di Barsebäck, entrata in funzione nel 1975, ha chiuso definitivamente la produzione elettrica, lasciando in eredità alle future generazioni tonnellate di scorie radioattive. Oltre a ciò, Tvindkraft è diventata la spinta della rivoluzione enegetica danese. Tra coloro che visitarono il cantiere, ci sono molti che negli anni ’80 divennero i protagonisti della rivoluzione energetica e industriale della Danimarca attraverso l'eolico. Tvindkraft divenne un punto di snodo cruciale nel dibattito sull'energia in tutto il nord dell’Europa e fu con ogni probabilità l'innesco dell'industria eolica danese, oggi la prima al mondo per capacità di produzione degli aerogeneratori. Vedere con i propri occhi che persone, aggregate attorno a una piccola scuola, solo con i propri mezzi, per la verità piuttosto scarsi e utilizzando materiali e conoscenze dell'epoca senza alcun supporto di istituti di ricerca, riuscirono a realizzare la pala eolica all'epoca più grande del mondo producendo l'incredibile quantità di energia -sempre per quei tempi- di 2 MWh, è stata con ogni probabilità una delle vittorie ecologiste della storia più nette sul fronte delle rinnovabili. Da quel giorno di marzo i danesi hanno visto il vento con occhi diversi e si deve anche all'esperienza di Tvind il fatto che dal 46 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 1985 l'energia nucleare in Danimarca sia vietata per legge e che nel 2005 abbiano chiuso anche i tre piccoli reattori nucleari di ricerca del laboratorio scientifico statale per gli studi sull'energia di Risø. Un salto culturale non indifferente per una nazione che ha dato i natali a uno dei padri della fisica nucleare: il premio Nobel Niels Bohr. L'esperienza di Tvind non ebbe effetti solo sull'opinione pubblica, ma anche sull'industria. Nel libro "Renewable Energy in Denmark”, OVE Publishers, 2000, troviamo diverse testimonianze. «Avevo letto di Tvindkraft sulla stampa e durante il Natale del 1976 io e mio padre andammo per la prima volta a Tvind e, come tutti, rimanemmo affascinati da questo gruppo di "dilettanti", che stava costruendo il mulino a vento più grande del mondo. - afferma Henrik Stiesda, già direttore tecnico di Siemens Wind Power - Durante la primavera del 1977 siamo tornati a Tvind diverse volte e qui ho acquistato diversi libri sul "potere del vento"». Stiesda non è un manager qualsiasi. In Danimarca è considerato l'inventore del "concetto danese dell'eolico" uno standard che ha reso il design danese degli aerogeneratori primo al mondo, ha progettato la prima pala eolica che ha ripreso questo concetto nel 1978 - l'anno d'entrata in funzione di Tvindkraft - e ha collezionato 175 invenzioni e 650 brevetti nel settore. Sempre nello stesso volume Iben Østergaard uno dei realizzatori di Tvindkraft cita Birger T. Madsen , ex manager di Vestas, la più grande azienda al mondo dell'eolico: «Durante il progetto si svolsero molte discussioni e ciò ha coinvolto un gran numero di persone qualificate e ha permesso di discutere delle possibili soluzioni a problemi concreti, magari anche solo teorizzando, per generare elettricità, per gestire il vento e quali materiali usare. Alcune volte si è arrivati a vicoli ciechi, ma in altre occasioni si sono trovati dei princìpi impiegabili subito. Sia le esperienze positive sia le negative sono state importanti». E sempre lo stesso Østergaard racconta nel libro del gruppo di giovani ingegneri dei laboratori eolici di Risø che: «da Tvindkraft loro ebbero non solo la fiducia nella propria attività, ma anche la prova che l'energia eolica era una possibilità nonostante i fallimenti in materia delle grandi industrie e delle compagnie elettriche che non vedevano l'ora di introdurre il nucleare in Danimarca». Anche il rapporto con la scuola nella realizzazione Tvindkraft è stato positivo. Il capo saldatore della squadra era Henning Jønsson, insegnante di saldatura a Tvind che ricorda: «Tutti eravamo molto motivati, specialmente gli studenti che hanno svolto il difficile lavoro di saldatura in maniera accurata rispettando tutte le normative tecniche e probabilmente per questo motivo il mozzo della pala, realizzato con le saldature è durato oltre trent'anni». Questa soluzione nelle pale eoliche industriali non è adottata, è utilizzata la fusione, perché in linea di principio è difficile calcolare in sede di progettazione le caratteristiche dei mozzi saldati 48 L'ECOFUTURO MAGAZINE maggio/giugno 2021 che saranno soggetti a carichi potenti e variabili. E la pragmaticità dei realizzatori di Tvindkraft sta tutta in due questioni. La prima, è che durante la realizzazione di Tvindkraft misero in opera una copia più piccola da 18 kW dell'esemplare più grande per avere la possibilità rendersi conto di eventuali problemi e trovare soluzioni in corso d'opera. La seconda, risiede nello studio accurato che fu fatto dalla comunità per realizzare quello che è l'elemento più critico degli aerogeneratori: le pale. All'epoca diverse aziende ne stavano studiando il design, perché sono elementi che devono sfruttare tutto il vento possibile, resistere per anni a condizioni e sollecitazioni critiche, facendo meno rumore possibile. Nel 1976 alcune di esse si consorziarno per mettere a punto la realizzazione di pale da otto metri, nel frattempo quelle da 4,5 metri dell'aerogeneratore da 18 kW di Tvind già erano al lavoro. Il design delle pale di Tvindkraft fu adottato da uno dei primi produttori di aerogeneratori danesi e da lì divenne, con le opportune modifiche, lo standard vincente per l'industria danese dell'eolico. Nessuno a Tvind è diventato ricco. Per scelta. I cittadini hanno fatto propri i concetti del movimento cooperativo danese alla fine dell'Ottocento che con l'approvazione della prima legge sui brevetti del 1895 si assicurò che i processi e le tecnologie agricole non potessero essere brevettati. E hanno ceduto le tecnologie messe a punto a titolo gratuito a chiunque potesse svilupparle. Per anni, anzi decenni, le pale di Tvindkraft hanno continuato a girare nell'ombra e non illuminate dai riflettori, a causa dell'ostilità del mondo energetico che probabilmente sopporta poco un'esperienza "dal basso" di questa portata, fino a quando nel 2008, al compimento del trentesimo anno d'attività l'esperienza della scuola Tvind non è stata premiata all'European Solar Prize per il valore comunicativo verso la comunità locale dell'esperienza. E oggi Tvindkraft ancora funziona ed è l'aerogeneratore in funzione più "antico" al mondo, fornendo i due terzi dell'energia necessaria alla scuola Tvind che nel frattempo è diventato un campus internazionale sui cambiamenti climatici. ▲Next >