< Previous11 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 * Giornalista, caporedattore Italia che Cambia Avercela con i ragazzi e le ragazze di Fridays For Future, significa difendere lo status quo fossile Semi per il futuro V enerdì 24 settembre si è tenuto lo sciopero globale per il clima, l'ultimo di una lunga serie che – per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista – proseguirà con tutta probabilità anche nei prossimi mesi e anni. Migliaia di ragazzi e ragazze – ma anche insegnanti, lavoratori, pensionati, genitori, nonni – sono scesi in piazza con cartelli e striscioni per portare l'attenzione sul problema chiave per il futuro del pianeta su cui viviamo: i cambiamenti climatici. Da decenni non si vedeva una mobilitazione della portata di quella innescata dalle migliaia di gruppi locali del movimento Fridays For Future disseminati in giro per il Pianeta, per di più su un tema rispetto al quale le decisioni politiche realmente incisive scarseggiano drammaticamente. Come Italia Che Cambia seguiamo da tempo e da vicino il percorso di crescita del movimento e documentiamo minuziosamente le sue iniziative, con la speranza di diffondere quanto più possibile il seme dell'attivismo. Sono contento che questa marea si stia alzando, ma al contempo sono disgustato dalle reazioni che una fetta consistente di opinione pubblica riserva ai giovani che si mobilitano per l'ambiente. Documentando sui canali social di Italia Che Cambia la manifestazione di venerdì scorso ho letto decine di commenti annichilenti, che andavano da «scioperassero per il ritorno a casa dei loro cervelli» al «sono guidati dall'opposizione controllata», fino all'immancabile «si scrive Greta e si legge Bill». Il mio sconforto è dettato principalmente da due riflessioni. La prima riguarda l'ignoranza di chi commenta. Non voglio essere offensivo e uso questo termine nella sua accezione letterale: moltissimi commentatori infatti ignorano chi siano e cosa facciano i gruppi locali di Fridays For Future. Quasi sempre non sanno che oltre alle grandi battaglie globali portano avanti lotte quotidiane su problemi del territorio, azioni di diffusione delle buone pratiche, attività di lobbying e di pressione sulle amministrazioni cittadine, momenti di formazione ed educazione ambientale, giornate di pulizia di parchi e spiagge e tanto altro. E poi c'è un'altra questione: voi che criticate, che con tanta leggerezza accusate gli stessi giovani che fino a qualche anno fa erano "disimpegnati", "sciatti" e "menefreghisti" di essere solo delle pedine, ebbene, voi che cosa fate di concreto per combattere la crisi climatica? «Se non sei anche tu nell’arena a farti prendere a calci nel sedere, la tua opinione non m'interessa», dice Brené Brown, ricercatrice e formatrice americana. Chi avanza critiche così aspre e spesso superficiali cosa sta facendo per l’ambiente? Piuttosto che cadere italianamente nella critica, nella derisione e nella logica del "gombloddo" preferisco dunque – ben consapevole che anche questa nuova mobilitazione presenta numerosi punti deboli e zone d'ombra – seguire con interesse e, quando possibile, sostenere e incoraggiare questi giovani, che in fondo non stanno facendo nulla di male: cercano semplicemente di salvare il mondo che i loro predecessori – noi – hanno condannato a una lenta agonia. ▲ ITALIA CHE CAMBIA a cura di Francesco Bevilacqua*13 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 *Giornalista scientifico, caporedattore L’Ecofuturo Magazine Il settore energetico è uno dei più conservativi a tutti i livelli. E ciò è un'enorme ipoteca sul clima Inerzia fossile I nerzia. È questa la principale nemica del clima oggi. Edgard Morin diceva che non esiste un solo tempo nelle società. I tempi sociali, secondo il sociologo francese possono essere «infinitamente lunghi o infinitamente brevi», dipende dalla struttura del corpo sociale. Così, in maniera efficace, Morin riesce a spiegare le differenze di comportamento in segmenti diversi della stessa società nello stesso tempo; la coesistenza di segmenti di popolazione radicalmente diversi. E poiché si parla di velocità diverse ecco che entra in gioco il concetto di inerzia nel quale chi va spedito tende a mantenere la velocità, magari aumentandola, mentre chi va lento tende a rallentare ulteriormente. Una dinamica sociale che negli ‘50 anni del secolo scorso ha portato, visto l'effetto trascinamento delle parti più progressiste - in minoranza - a delle conquiste sociali non banali. Dal Dopoguerra a oggi a livello mondiale, è migliorato il reddito procapite - anche delle popolazioni più povere - è diminuita la fame, sono diminuiti i conflitti, è aumentata l'aspettativa di vita, così come la popolazione. Piccolo problema: tutto questo benessere è stato ed è per l'80% ancora oggi, su base fossile ed è costato un aumento della concentrazione di CO 2 passata da 310,6 ppm nel 1946 ai 416,9 ppm nel 2021. Il tutto condito con un aumento di temperatura di un 1 °C. Ma torniamo all'inerzia. Da oltre trent'anni, per quanto riguarda il clima, assistiamo a diversi tipi di inerzia. La prima, è quella energetica, un settore che ha due tipi di inerzia, quella dei cicli energetici dovuta alla durata degli impianti - in media di oltre 25 anni - e quella culturale. La seconda, è quella comportamentale, ossia l'abitudine a consumi "viziati" dall'alta intensità energetica delle fonti fossili, dall'enorme disponibilità a bassi costi - spesso un litro di benzina costa meno di una bibita - e dalla facilità d'utilizzo. La terza, è l'inerzia indotta dalla termodinamica con la quale siamo abituati a considerare un solo flusso energetico - fonti chimiche fossili, calore, energia cinetica, elettricità (con qualche variazione per idroelettrico e nucleare) - che inchioda la concezione stessa dell'energia a un flusso unidirezionale nel quale esistono solo la produzione, la distribuzione e il consumo d'energia - con schemi fissati per i tre principali flussi: l'elettricità, i carburanti e il calore. Questi tre tipi di inerzia, che oltretutto frenano l'innovazione nel settore energetico emarginando a priori qualsiasi pensiero laterale, sono quelli che hanno fossilizzato le fonti fossili nel loro dominio. Nel 1970 la percentuale a livello mondiale di utilizzo delle fonti fossili era l'87%, nel 2020 l'80%. Forse più che d'inerzia si dovrebbe parlare di stallo. E oggi, solo oggi, si lancia l'allarme. Entro il 2030 secondo l'Ipcc si dovrebbero ridurre le emissioni del 45% per rimanere entro gli 1,5 °C. Tutta l'inerzia è ancora presente, compresa quella dell'aumento delle emissioni, visto che l'Agenzia Internazionale dell'Energia prevede per il 2021 un + 5%. E c'è chi dice ancora: «ce la possiamo fare». ▲ ENERGIA a cura di Sergio Ferraris*15 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 * Ecodivulgatrice, scrittrice e conduttrice tv Con un detersivo universale fatto con gli scarti del cibo è possibile fare delle vere eco-pulizie Il pulito è eco S iamo sommersi dagli scarti di cibo. Secondo il rapporto Onu 2021, ogni anno nel mondo vanno sprecate 931 milioni di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto. Questo dato fa emergere un problema ambientale e gestionale non indifferente a causa della grande quantità di umido e organico che ogni giorno, anche in Italia, viene scartato. Spesso gettiamo via parti di cibo ancora utilizzabili, anche in modo funzionale, per esempio per l’autoproduzione di detersivi e detergenti per la casa. Con scarti di ogni tipo di frutta e verdura si può autoprodurre un detersivo efficiente e versatile. Questo procedimento fa riferimento a un’antichissima tecnica tailandese. Il nome orientale è Nam Mak, quello italiano Fervida, o Fermenti di vita: dei fermentati di vegetali, che contengono microrganismi dalle caratteristiche detergenti e purificanti. Si tratta quindi di un concentrato di batteri buoni per l’igiene della casa, che tutelano la nostra salute e quella dell’ambiente. La ricetta prevede soli tre ingredienti da miscelare nelle giuste proporzioni. 5, 3, 1. Cinque parti di acqua, tre di scarti vegetale (anche bucce di qualsiasi tipo, ma senza noccioli) e una di dolcificante, come lo zucchero di canna o un buon miele bio. Una ricetta semplice e di grande utilità. Per prima cosa gli scarti vegetali devono essere lavati con cura e asciugati. In un barattolo di vetro sterilizzato si inseriscono poi tutti gli elementi: 500 ml di acqua demineralizzata (quella usata in genere per il ferro da stiro), 300 g di scarti di frutta e verdura e 100 g di zucchero di canna. Non si deve riempire completamente, per lasciare spazio alla fermentazione. Si appoggia il tappo senza chiudere il barattolo ermeticamente. Per evitare l’ingresso di moscerini e polvere, si protegge l’apertura con una garza o un fazzoletto di stoffa fissato con un elastico. Una volta al giorno si dovrebbe agitare il barattolo per mescolare e attivare gli ingredienti, fino al momento in cui tutti gli scarti di cibo saranno depositati sul fondo. Questo avviene in genere in trenta giorni. Dopo quattro mesi dal procedimento iniziale, il preparato è pronto per essere utilizzato. Si filtra con un imbuto e una garza e si trasferisce in una bottiglia di vetro. Volendo una parte si può travasare direttamente in uno spruzzino pronto all’uso. Si può impiegare per parecchie necessità casalinghe, come sgrassatore per superfici, detergente per pavimenti, detersivo per piatti, per vetri e specchi e per detergere i sanitari. I dosaggi sono quelli classici di un prodotto eco bio. Il detersivo universale con scarti di ortaggi ha solo un costo di qualche centesimo e si conserva addirittura fino a un anno in un luogo fresco e lontano dalla luce diretta. Questa autoproduzione, che non contiene sostanze di derivazione petrolchimica, inquinanti e con conseguenti problemi per la flora e la fauna, è utile anche per diminuire la produzione di plastica da imballaggio. In tre parole: ecologico, economico e versatile. ▲ AUTOPRODUZIONE a cura di Lucia Cuffaro* Detersivo universale con scarti di ortaggi Occorrente: • 500 ml di acqua demineralizzata • 300 g di scarti di frutta e verdura • 100 g di zucchero di canna naturale • barattolo capiente di vetro con coperchio • bottiglia di vetro • garza o fazzoletto • elastico17 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 * Vicepresidente Ass. Chimica Verde Bionet, R&D manager Green Evolution Non solo CO 2 per il clima ma anche buone pratiche che talvolta riprendono e migliorano, sistemi "antichi" Clima sociale È stata da manuale la sintesi di Greta Thunberg all’incontro “Youth4climate”, tenutosi a Milano alla fine di settembre, sul rispetto degli impegni e delle promesse assunti dai politici, per raggiungere gli obiettivi approvati con il Green Deal europeo per il contenimento del riscaldamento globale: «Bla, bla, bla». Ha riscosso gli applausi di chi le ha stretto la mano parlando di futuro ma non ascolta né il passato, né il presente, perché i dati scientifici non lasciano dubbi. Il cambiamento di rotta promesso e non controllato da chi le norme le fa in nome dei cittadini, ma sembra solo in nome di chi li finanzia, viene nascosto, sommerso da mille scuse come: «la sostenibilità non può essere solo ecologica - si sente spesso dire da influencer in giacca e cravatta - occorre anche considerare la sostenibilità finanziaria, quella economica, quella delle tasche dei pensionati, quella dei lavoratori che perderanno il lavoro se questa avviene troppo in fretta». Confondere le idee è un'arte. Sappiamo tutti che la transizione ecologica porterà nuovi posti lavoro come sempre a scapito dei settori non più adeguati. La sostenibilità, quella vera, quella da raggiungere concretamente, non è un principio economico ma è un principio sociale che include quello economico e non viceversa, perché mette la vita al centro e non solo di una specie (i Sapiens) tra le tante arrivate dall’Evoluzione millenaria, ma di tutte e tutte assieme. L’uomo non potrà parlare solo con se stesso, mangiare pietre, sopravvivere nella arida polvere e vivere del “come eravamo” di noi vecchi o del “come ci siamo potuti ridurre a questo” di cui ci rimprovereranno con astio i nostri figli. Sostenibilità antica La sostenibilità, necessaria per combattere l’evoluzione climatica in corso, quella degli scienziati e ormai percepita anche della nostra pelle, è come il progetto di un visionario che suggerisce soluzioni in grado di ripagarsi solo negli anni ma con la stabilità di chi guida un’auto a quattro ruote motrici senza aver fatto fuoristrada. La sostenibilità è come quella rete per allevamento di pesce nobile in mare aperto, realizzata con materiale antico, un filo in “lega di rame” ideata in Germania, assai costosa se la confrontiamo con quella di plastica e collocata in via sperimentale, grazie a un progetto del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria (CREA) e del Centro di Ricerca in Zootecnia e Acquacoltura (ZA) nell’allevamento di branzini e orate dell’isola di Capraia. Una scelta controcorrente non solo per il materiale impiegato. Essa non si romperà con le correnti e il mare grosso non solo perché è di metallo ma perché sono stati studiati l’area di posa, le correnti, il fondale; non invecchierà perché riciclabile all’infinito; i predatori non la addenteranno per agguantare il succulento pasto a portata di bocca come facevano con le reti di poliammide; le alghe e i mitili non la useranno come base per riprodursi e indebolire la struttura, che richiederebbe un trattamento chimico inquinante. Essa non produrrà tossicità nell’acqua essendo il rame antibatterico, non comporterà il lavoro di manutenzione quotidiano, non richiederà la sostituzione nell’arco degli anni come le tradizionali reti di plastica (poliammide speciale) che, nella migliore delle ipotesi, dovevano essere recuperate, sostituite e smaltite lontano da quell’isola. Infine, consentiranno la produzione di cibo più sano. Tutto questo non significa meno posti di lavoro, non produce meno pesce ma, al contrario, efficienta il lavoro della cooperativa. Significa economia più florida e prodotti sani, un bene per la salute di tutti e del Pianeta, riduce la caccia illegale agli stock ittici in netta diminuzione. Tuttavia se il costo iniziale è del 300% superiore a una normale rete da pesca in poliammide, è ripagabile in soli tre anni (con sette di utili) per la banca che lo deve finanziare se diventerà partner del progetto, come accade in altri Paesi e poco in Italia. Un business plan efficace è la soluzione che serve; i contratti di fornitura con un grande distributore nazionale che sa comunicare, una sicurezza. In altre parole, oltre agli gli aspetti tecnici occorre la visione degli imprenditori e attori di tutta la filiera collegata, una cosa non facile per gli italiani: il dialogo tra i partner della filiera, l’unica vera economia circolare. Se non sarà la politica a regolarla, da questa sarà travolta, guidata proprio da quei ragazzi che l’hanno ben sintetizzata in quel "Bla, bla, bla", che è una presa d’atto con delle conseguenze certe. Prima o poi voteranno anche loro. ▲ BIOECONOMIA a cura di Marco Benedetti*19 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 *Division Director, Green Innovation Division – Zucchetti Centro Sistemi L'Italia ha posizioni ambigue anche circa il Green New Deal Europeo, cosa che può rallentare il percorso verso un'economia sostenibile Contraddizioni lungo lo Stivale I l 13 luglio 2021 Ursula Von der Leyen, Presidente del Parlamento Europeo, annuncia una vera e propria rivoluzione che l’Europa si appresta ad avviare e si dice sicura che gli altri Paesi seguiranno. Illustrando il grande piano strategico a sostegno del Green New Deal Europeo che prevede l'azzeramento delle emissioni di CO 2 entro il 2050 e la riduzione del 55% entro il 2030, annuncia: «I settori che emettono CO 2 devono pagare, per questo costruiremo un secondo sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) per il trasporto su strada e il riscaldamento degli edifici»; ancora: «dal 2035 stop alla vendita di auto a benzina» e infine: «quanto alle ripercussioni sociali, un fondo apposito servirà a sostenere le famiglie a basso reddito». Questa è la politica: c’è tutto quello che serve: ci sono gli obiettivi, c’è la strategia per raggiungerli e c’è la considerazione per quelle fasce di popolazione che potrebbero non sostenere questo sforzo dal punto di vista finanziario. La strada è tracciata. Alle imprese europee o che vogliono fare business con l’Europa, sono concessi quindici anni per adeguarsi. Il 18 luglio 2021, Roberto Cingolani, Ministro per la transizione energetica ha commentato questa posizione sostenendo che creerà seri problemi alla Motor Valley italiana fino a rischiare cinquantamila posti di lavoro in aziende come Ferrari, Maserati e Lamborghini. Il 22 luglio 2021, aprendo i lavori del G20 di Napoli il Ministro ha sottolineato: «la transizione ecologica non è più rinviabile». Ho elencato questi avvenimenti per evidenziare come la politica in Italia si ponga in maniera conflittuale anche nei confronti di se stessa. La sostenibilità economica d’impresa parte principalmente dall’aver individuato un percorso strategico che la conduca da A a B a C in un percorso virtuoso. Dalla sua capacità di portarlo a compimento dipende il buon andamento dell’azienda stessa nel tempo. Se la confusione sulla strategia a medio termine è indotta dal Governo, il fallimento della strategia sarà certo perché chiunque non abbia forze o risorse o voglia di affrontare il cambiamento si sentirà legittimato a non farlo. In America dicono «one can’t be half pregnant», cioè non si può essere incinta a metà. Le aziende che hanno il lusso di quindici anni per programmarsi, devono sapere qual è il futuro che le aspetta. La Cina ha vietato motorette con il motore a scoppio in tutte le città da oltre dieci anni e da cinque non si possono acquistare nuovi taxi con motore endotermico. Aziende come Porsche e BMW hanno già nel loro portafogli una gamma di auto elettriche o ibride che vendono bene. Per non parlare di Tesla che ha puntato sulla macchina elettrica quando nessuno ci pensava, ha prodotto perdite per diversi anni ma ha sempre avuto il supporto degli investitori ed è fra le aziende più capitalizzate del mondo. Ecco quindi il conflitto: se l’Italia non sposa la strategia dell’Europa con convinzione, con il supporto attivo dei suoi governi e delle sue aziende, il problema per la Motor Valley non saranno le regole europee ma la concorrenza delle aziende che sono già tecnicamente avanti e che hanno messo a punto la loro nuova filiera di acquisto, produzione e vendita per affrontare la sfida e vincerla. ▲ IMPRESA E SOSTENIBILITÀ a cura di Averaldo Farri*Next >