< PreviousL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 21 PERSONAGGI / di Sergio Ferraris Inerzia politica e climatica fanno presagire nulla di buono sul clima a meno che non ci si metta in moto immediatamente S econdo Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico, oltre a trovare un accordo a livello internazionale e mettere in moto una drastica riduzione delle emissioni è necessario adattarsi ai cambiamenti climatici già in atto che continueranno per parecchio tempo. Lo abbiamo sentito dalla sua nuova abitazione a 1.650 metri d'altezza. Partiamo dalla parte scientifica, che questa volta ha fatto parecchio "rumore". L'ultimo report dell'IPCC di agosto 2021 ha avuto una buona risonanza mediatica. In profondità cosa c'è di nuovo nel report? «Sono passati praticamente sette anni da quello precedente, uscito nel 2013 e in questo sono, purtroppo, ribaditi tutti i concetti dei report precedenti. Tradotto: la colpa sia del cambiamento climatico sia del riscaldamento globale è tutta nostra e gli ultimi anni sono i più caldi almeno degli ultimi due millenni. Non ci sono più dubbi circa il fatto che stiamo PUNTO DI ROTTURAL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 PERSONAGGI22 vivendo nell'epoca più calda della civiltà umana e che la colpa è tutta nostra, ma nel nuovo report c'è un ulteriore allarme: la finestra per intervenire e limitare il riscaldamento entro i 2 °C, l'obiettivo dell'Accordo di Parigi che si definisce come la soglia di sicurezza è, al massimo, di una decina d'anni. In pratica se non si comincia ora a diminuire le emissioni climalteranti le leggi fisiche faranno il loro corso, visto che non ci aspettano. Se non agiamo ora si imbocca la strada dell'irreversibilità e sarà impossibile rimanere sotto i 2 °C. Ciò porterà le generazioni più giovani in condizioni di maggiore rischio, con eventi estremi che diverranno intollerabili. In definitiva il nuovo report dell'IPCC non dice niente di clamorosamente nuovo, ma sancisce come negli ultimi sette anni abbiamo perso del tempo poiché tutto ciò che serviva per darci da fare c'era già nell'edizione del 2013». Per rimanere nell'ambito del rapporto, questa edizione prende in considerazione i tipping point, punti di non ritorno che non erano presenti in quello precedente. Che cosa ne pensi? «I tipping point sono perfettamente noti da tempo, però non è conosciuto il momento nel quale possono scattare. Sono come delle trappole, si sa che ci sono ma non si sa il momento nel quale scatteranno. Direi che da un lato è giusto evidenziarle per aumentare ulteriormente il livello di allarme, però non si possono di fatto includere in una previsione numerica. Se il riscaldamento climatico che aumenta in relazione alla CO 2 è prevedibile, seguendo la modellistica, sapere l'anno nel quale collasseranno i ghiacci della Groenlandia e il mare aumenterà di 50 cm in un solo anno, non è un fenomeno modellizzabile matematicamente, anche se si sa che se l'acqua nei crepacci segue una certa strada e arriva fino al fondo, una superficie di 2 milioni di chilometri quadrati può scivolare nell'Oceano Atlantico tutto in una volta. È già successo in epoche arcaiche, però non si può mettere in un modello matematico. È questo il motivo per cui nel rapporto precedente non erano stati considerati i tipping point». Chiaro. Potrebbero essere stati ignorati in precedenza per evitare reazioni politiche di stampo negazionista prima dell'Accordo di Parigi? «Non lo so. Non ho un'opinione precisa. La situazione, comunque, è già abbastanza drammatica, anche senza i tipping point e se già accettassimo tutto ciò che dice la scienza in materia di clima avremmo comunque una spinta forte per evitare di peggiorare la situazione. Mi spiego meglio con un paragone medico. Se si ha la febbre, dovuta a una malattia che aumenta la temperatura regolarmente di un grado l'anno e sei contemporaneamente a rischio d'infarto ma non sai quando, il medico ti può dire che arrivato a 40 °C la probabilità che tu abbia anche l'infarto aumenta ma non ti può dire quando avverrà. Ecco allora che devo curarmi affinché la temperatura non superi i 40 °C, anche perché non so se l'infarto arriva a 40,1 °C oppure a 41,9 °C. I decisori politici dovrebbero adottare questa logica avvertendo che oltre una certa temperatura c'è il rischio di eventi estremi di grandi proporzioni e nel frattempo far sì che la febbre del Pianeta non salga». Perfetto. Abbiamo solo dieci anni per agire. Si tratta di un'impresa secondo me improba anche perché oggi produciamo, per dare una sola cifra, l'81% di energia a livello mondiale, da fonti fossili. Possiamo farcela? L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 23 PERSONAGGI«Infatti è veramente una ‘mission impossible’, nel senso che diventa possibile solo se l'umanità fa una rivoluzione culturale totale e immediata. Ci vuole prima di tutto un enorme scatto di consapevolezza, che non vedo. Non c'è un minuto da perdere e invece questa urgenza non la vediamo in alcun Paese del Mondo, anzi c'è grandissimo indugio con l'idea che il problema dei cambiamenti climatici sia addirittura inferiore, come priorità, ad altre cose come i temi economici, la disoccupazione e così via. Mancando questa tensione sociale che dovrebbe appartenere a 8 miliardi di persone è chiaro che la risposta è fortemente sottodimensionata e ciò ci fa perdere anni preziosi. Vedo la situazione difficile ma non sono totalmente disfattista cioè non dico: ‘basta, non ce la possiamo fare’, ma ce la possiamo ancora fare a patto di uno sforzo assolutamente inedito nella storia dell'umanità, tutti insieme in modo incisivo. Dovremmo essere come gli alleati contro il nazismo nella Seconda guerra mondiale, dovremmo avere uno sforzo bellico e civile pari a quello, nel quale non c'erano solo i soldati mandati al fronte ma le signore che facevano la calza per i soldati e i loro mariti anziani che coltivavano le patate nei parchi cittadini per dar da mangiare al Paese. Seconda guerra mondiale e clima sono due momenti paragonabili per la necessità di consapevolezza e di impegno. Se non arriviamo a quel livello, entro uno o due anni, allora potrei diventare definitivamente pessimista dicendo: ‘non ce la possiamo fare’». Oggi, specialmente in Italia, si accusano Cina e India di essere grandi emettitori, mentre si afferma che l'Europa in realtà potrebbe anche non fare grandissimi sforzi visto che emettiamo poco. In realtà, se guardiamo alle serie storiche di emissione, le responsabilità sono opposte e questa diatriba potrebbe "inceppare" la Cop 26 di Glasgow. Che cosa ne pensa? «Qui entriamo in un dominio che è del diritto internazionale, dei regolamenti e della diplomazia quindi un po' fuori dal mio campo. Ciò che posso dire è che esistono le leggi degli uomini e le leggi della fisica. Le leggi degli uomini sono tutte modificabili visto che le abbiamo inventate noi. Sarà difficile, dovremmo discutere e negoziare, forse litigare, ma è possibile. Delle leggi fisiche dobbiamo prendere atto. Dobbiamo modificare le nostre leggi in direzione anche di una maggiore equità visto che siamo tutti sullo stesso Pianeta e converrebbe arrivare a delle soluzioni sul clima perché altrimenti verremo spazzati via tutti». Per finire, parliamo di futuro. Come lo immagini tra dieci anni? «Lo immagino in base a ciò che mi ha portato a fare le mie scelte individuali, cioè programmare la mia resilienza. Nei prossimi dieci anni farà più caldo sia con l'Accordo di Parigi sia senza, perché ormai sappiamo che anche se si facessero ora le scelte migliori la temperatura ha un'inerzia, per cui aumenterà comunque di un altro grado per poi fermarsi, se siamo bravi, se no andrà a 2 °C o 3 °C. Sono andato a vivere a 1.650 metri d'altezza per fuggire dal caldo delle pianure e ho messo a punto il mio programma di sopravvivenza, dotandomi anche di acqua ed energia in maniera autonoma così da evitare di dover trovarmi tra dieci anni a Torino o a Milano con ondate di calore di 50 °C. Ricordiamoci che i 50 °C in Canada hanno stupito tutti così come hanno stupito i 48,8 °C della Sicilia. Il futuro secondo me sarà meno facile e meno vivibile, sarà peggiore, di una misura che non sono in grado di quantificare, quindi ho investito individualmente per essere pronto ad avere il minor danno possibile». ▲FOCUS 26 IL CONTESTO Un clima per il domani di G.B. Zorzoli 29 OCEANI Clima a mare di Giampietro Ravagnan 32 TECNOLOGIA CATTIVO CLIMA IN RETE di Rudi Bressa 36 PROSPETTIVE CO 2 : NON SOLO LEI di Ivan Manzo 38 PROGETTI Diamoci alla macchia di R. Castro, F. Cancellieri,V. Piccione 40 AGRICOLTURA Spighe per il clima di Giorgia Marino 44 ESPERIENZE BIO&CLIMA di Michele Dotti 46 ANALISI IL CLIMA COME IPEROGGETTO di Giorgio Mottironi 50 STORIA Il clima è donna di Mirella Orsi 52 IL PUNTO Clima d’incertezza di Gianni Silvestrini CLIMAL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 26 L a presentazione del pacchetto “Fit for 55” ha scatenato una valanga di accuse alle proposte della Commissione europea: accuse di vario tipo – dal bagno di sangue a «ci vuole il nucleare, perché le rinnovabili da sole non ce la fanno» – ma alla fine tutte concordi nel suggerire di fare a meno di quanto richiesto da Bruxelles e nel sostenere che si tratterebbe di uno sforzo inutile, visto il ridotto contributo dell’Ue alle emissioni di gas serra. Tutti costoro ignorano però sistematicamente le decisioni prese da un Paese – la Germania – e da un tribunale supremo – la Corte costituzionale tedesca - che sfido chiunque a definire con gli stessi epiteti adottati nei confronti di chi non solo difende le proposte europee, ma in più di un caso - lo sciagurato – propone di fare di più. La Germania non ha infatti avuto bisogno della decisione del Consiglio europeo, che lo scorso aprile approvò l’obiettivo di ridurre, entro il 2030, del 55% le emissioni climalteranti rispetto al 1990. Già il 12 dicembre 2019 il Parlamento tedesco aveva votato la legge nazionale sul clima, che fissava entro la stessa data una riduzione del 55%; con questa scelta certamente influenzando la successiva proposta comunitaria di un Green Deal europeo. Ebbene, senza che nessuno si strappasse le vesti per un possibile bagno Le decisioni sul clima della Germania, positive, stridono rispetto a come affrontiamo l'emergenza climatica in Italia Un clima per il domani IL CONTESTO / di G.B. Zorzoli *L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 27 di sangue, dopo solo sei mesi il governo tedesco presentò a Bruxelles un Pniec strutturato in modo da garantire il rispetto dell’obiettivo di decarbonizzazione stabilito dalla legge sul clima. Una situazione analoga si ripete il 24 marzo 2021, quando una sentenza della Corte costituzionale tedesca accoglie il ricorso presentato da alcune associazioni e movimenti ambientalisti, tra cui Fridays for Future, che ritenevano insufficiente la riduzione del 55% prevista dalla legge nazionale sul clima. La sentenza della Corte ha riconosciuto che «le misure contestate violano le libertà dei ricorrenti, alcuni dei quali sono ancora molto giovani», perché gli adulti non devono rinviare decisioni di cui sarebbero tenuti a sopportare l’onere, scaricando sulle generazioni successive sforzi in futuro così drastici «da esporre le loro vite a permanenti perdite di libertà». Decisioni evidenti La Corte poggia quindi le sue decisioni su concrete evidenze che viceversa i rappresentanti degli interessi colpiti dalle politiche climatiche preferiscono ignorare. La scelta da loro propugnata e che zelanti opinionisti diffondono sui media - contenere i costi della decarbonizzazione nel breve periodo per rendere meno onerosa la trasformazione del sistema economico – aumenta il quantitativo di CO 2 immesso anticipatamente nell’atmosfera (e destinato a restarci per almeno un secolo), riducendone il margine residuo che successivamente si potrà ancora produrre per contenere sotto i due gradi la crescita della temperatura globale. In ultima analisi, rendendo per noi meno oneroso il processo di decarbonizzazione, condanneremmo a lockdown permanenti le prossime generazioni, a partire da coloro che oggi sono ancora molto giovani. La Corte riconosce che le azioni di contrasto al cambiamento climatico devono essere bilanciate con la salvaguardia di altri interessi e dei princìpi costituzionali, ma non a scapito dei diritti delle nuove generazioni. Quindi «nel processo di bilanciamento va riconosciuto ai vincoli richiesti per realizzare gli obiettivi climatici un peso crescente con l’intensificarsi del cambiamento climatico». Occorre pertanto che in via precauzionale venga iniziata «tempestivamente la transizione verso la neutralità climatica». In una sentenza che, secondo la sintesi che ne dà Bernhard Pötter su “Die Tageszeitung”, sostituisce la tradizionale visione della politica come arte del possibile con la politica che fa ciò che è necessario, non è meno importante la posizione assunta sull’altra tesi utilizzata da chi vuole mettere la sordina alle politiche climatiche. «Gli obblighi di azioni climatiche previsti dalla legge sul clima non sono invalidati dal fatto che il riscaldamento globale è un fenomeno che riguarda l’intero pianeta e che i problemi posti dal cambiamento climatico non possono pertanto essere risolti dagli sforzi di mitigazione di un singolo Stato». Lo Stato «non può quindi sfuggire alle proprie responsabilità puntando il dito contro le emissioni climalteranti di altri Paesi. Al contrario, la fiducia nella comunità internazionale crea l’obbligo costituzionale di realizzare le misure climatiche a livello nazionale e di non creare per altri stati incentivi a minare la necessaria cooperazione». Clima italico Possiamo facilmente immaginare cosa sarebbe successo in Italia se la nostra Corte costituzionale avesse emesso una sentenza analoga. Quasi certamente, come sta avvenendo per le ripetute richieste di modificare la legge che vieta l’eutanasia, il Parlamento continuerebbe a fare orecchie da Occorre che in via precauzionale venga iniziata tempestivamente la transizione verso la neutralità climaticaL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 28 mercante, mentre in meno di tre mesi (il 15 giugno scorso) quello tedesco ha approvato un emendamento alla legge nazionale sul clima, che innalza al 65% la riduzione delle emissioni entro il 2030. Salvo eccezioni, i mezzi di comunicazione italiani hanno dato scarso rilievo alla sentenza della Corte costituzionale tedesca, stando bene attenti a non mettere in evidenza i passaggi che ho riportato, come se si trattasse di dettagli insignificanti. A ben vedere, potremmo considerarlo un peccato veniale a confronto dell’olimpica indifferenza manifestata dai decisori politici. A ogni buon conto, la notizia che, per ottemperare alla sentenza della Corte, il Parlamento aveva tempestivamente innalzato il livello della decarbonizzazione, ha trovato riscontri trascurabili sui media italiani, passando praticamente inosservata. D’altronde, nel pieno di una polemica sulle esagerate pretese di “Fit for 55”, sarebbe stato imbarazzante spiegare perché, nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del Bundestag non siano emersi sostanziali timori per il futuro dell’economia tedesca, impegnata a ridurre più di tre volte in un decennio le emissioni rispetto a quanto fatto nel 2010-2020. Se l’aggiornamento sarà rapido come la volta precedente (sei mesi), tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo dovrebbe essere reso noto il Pniec tedesco con le misure per realizzare il nuovo obiettivo di decarbonizzazione. Ed è altrettanto probabile che si replichi la pressione di Berlino per allinearvi quello europeo. In un Paese, l'Italia, che è già in drammatico ritardo rispetto ai target di fine 2001 per attuare le indicazioni del vecchio Pniec ed è ancora privo del Pniec aggiornato al 55% (che Cingolani si era impegnato a rendere noto prima dell’estate appena trascorsa), continueranno a prevalere le attuali denunce di un futuro nero, oppure il Governo si impegnerà come ha fatto col Covid-19, valorizzando le competenze, le capacità imprenditoriali e le abbondanti risorse finanziarie disponibili, che consentirebbero di mettere l’Italia sulla giusta rotta? Ma il tempo stringe e non c’è posto per altri rinvii. L’impegno di Draghi con Greta sull’emergenza climatica («al G20 chiederò di agire rapidamente») deve essere immediatamente attuato a casa nostra. ▲ *Presidente onorario Coordinamento FREEL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 29 Clima a mare M ario Draghi, Onu - Climate Moment, New York, 20 settembre 2021. «Gli investimenti pubblici dedicati alla ricerca e sviluppo devono diventare priorità per ambiti strategici come elettrificazione, idrogeno, bioenergia, cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio e oggi ricevono solo circa un terzo del finanziamento pubblico. La fissazione del prezzo del carbonio può essere uno degli strumenti per accelerare la transizione verde». Sorge spontanea la domanda: dove e come si può catturare e stoccare il carbonio? Non si dice e non esistono proposte attendibili e verificabili in termine di tempi di processo, quantità e siti di stoccaggio e le proposte che circolano, quali iniettare CO 2 in pozzi di metano esausti, non hanno ancora alcuna valutazione in termini di efficacia e costi sia ambientali sia economici. La fissazione della CO 2 avviene con un collaudato processo naturale attraverso la fotosintesi delle piante che trasforma il carbonio fissato in materiali più stabili – il legno- che nel tempo può ritornare in circolazione con la sua decomposizione, incendi e, quando sequestrato Per affrontare al meglio i cambiamenti climatici è necessario occuparsi a fondo anche e soprattutto del mare OCEANI / di Giampietro Ravagnan*Next >