< PreviousLa capsula Pascucci in fibra vegetale, un contenitore rivoluzionario, compostabile per davvero! un caffè biologico che non fa male a nessuno WWW.PASCUCCIFIBRA.COM capsulaprofessional@pascucci.it Stiamo collaborando con Fondazione Cetacea21 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 PERSONAGGI / di Sergio Ferraris Serve una conversione ecologica che coinvolga gli stili di vita e di consumo. E serve, anche, molta comunicazione L ucia Cuffaro è un volto noto della divulgazione delle tematiche ambientali legate ai consumi ed è portavoce del Movimento della Decrescita Felice. Le abbiamo fatto alcune domande sugli stili di vita e la comunicazione ecologica. Come giudichi questo periodo, nel quale stiamo decrescendo dal punto di vista energetico, però in maniera infelice? «L'energia è un problema complesso e in Italia c'è sempre stato un approccio che costruisce un sistema e crea del nuovo, piuttosto che lavorare sull'esistente. Tonnellate e tonnellate di finestre, infissi e ringhiere sono stati gettati via nelle discariche, specialmente oggi con l'Ecobonus 110% che è un provvedimento efficace per l'efficientamento energetico ma che non ha al suo interno meccanismi per il recupero della materia. E così ci ritroviamo con un provvedimento al quale manca una gamba: quella del riciclo dei materiali. Poi c’è la questione cruciale della riduzione dei consumi energetici che deve Conversione con stile22 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 accompagnare la politica di gestione, ristrutturazione e ammodernamento. Per fare ciò deve esserci anche una politica di sensibilizzazione da parte dello Stato e dei Comuni sulla riduzione dei consumi energetici per ridurre l'energia usata. Oggi con il gas lo stiamo facendo perché stanno aumentando in maniera esponenziale i costi, ma tutto ciò deve diventare strutturale e durare nel tempo». Al di là della questione energia, più in generale come si sta sviluppando il pensiero sul consumo critico? «È importantissima la conversione economica all'ecologia. L'economia, l'industria, ma anche la politica devono convergere verso l'ecologia. Non può sussistere alla base il consumismo, ma deve esserci una conversione economica in chiave ecologica. Il punto di vista del consumo critico si sta affermando. I dati di FederBio, rilevano che nel centro Sud c'è stata la più grande riconversione in tutta Europa dell'agricoltura tradizionale, quella fatta di pesticidi e uso intensivo del suolo, verso il biologico. È un dato che rappresenta il cambiamento del mercato che vuole più cibo coltivato in modo naturale. Ciò spinge gli imprenditori a cambiare completamente il focus perché il mercato del naturale in alcuni casi funziona meglio del tradizionale». C'è stata invece una ricaduta in senso negativo riguardo la produzione di rifiuti. Dopo che è passata la legge per abolire completamente l'usa e getta in plastica, c’è stata una serie di deroghe e le persone sono tornate a fare usa e getta, per una questione di igienizzazione, in alcuni casi giusta e corretta, in altri casi eccessiva. Quindi c'è un ritorno d'immense produzioni di plastica e di materiali poliaccoppiati che sono complicati da gestire anche per la scarsità di impianti che gesticono il plasmix. Parallelamente, in Italia, si sono diffusi tanti modelli legati al consumo critico molto interessanti. Faccio parte di una comunità a sostegno dell'agricoltura che ha un modello di produzione del cibo che prevede il prefinanziamento all'agricoltore all’avvio della stagione, condividendo così il rischio. Quindi, se c'è un problema di meteorologia, visto che ciò che si coltiva viene diviso fra 160 famiglie, e c'è meno raccolto, non è il contadino a pagare ma il rischio viene suddiviso sulle 160 famiglie. Al contrario, arriva maggiore prodotto ai destinatari. Con la partecipazione si attiva un processo etico. Il cibo assume un senso politico. Quando si entra in queste dinamiche è probabile che anche i vestiti entrino in un giro legato all'usato e vengano riparati, il che significa non farsi tentare dall'obsolescenza, non solo programmata, ma da quella percepita che induce a pensare che un oggetto in qualche modo non è più di moda. La decrescita felice lo ha sempre detto: non possiamo avere un sistema etico e davvero ecologico se non riduciamo i consumi, non vuol dire austerità ma diminuire la quantità di merci, prodotti, beni e bisogni indotti». Siamo di fronte a quello che sarà un cambio epocale. Cambieremo nel giro di una decina d'anni 40 milioni di autovetture da endotermiche a elettriche. Da cinque anni, in Italia abbiamo una delle migliori leggi al mondo sul retrofit elettrico, ma non decolla, come mai? «Come Decrescita Felice abbiamo approfondito il tema della mobilità per capire chi inquini di più tra una macchina a benzina e una con la batteria elettrica, tenendo conto dello smaltimento e produzione. Abbiamo visto che in realtà c'è un impatto ambientale alto. Il retrofit è interessante ma la 23 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 sensazione è che non sia conosciuto molto. Chi non è del settore ha difficoltà, perché non arrivano informazioni e perché sulla mobilità sostenibile c'è stato un imprinting molto forte, fortunatamente, sull'utilizzo delle biciclette grazie al bonus. Difficilmente ho sentito un programma televisivo o una rivista di grande diffusione e non di settore che ne abbia parlato. Si potrebbe coniugare lo sharing con il retrofit. Vicino a Modena, a Montale c'è Eco Villaggio che è un cohousing dove si utilizzano delle macchine in condivisione che potrebbero essere riconvertite in elettriche facendo un passo aggiuntivo nell'economia circolare». Quindi manca la comunicazione. Come mettere in campo una comunicazione ambientale efficace? «Distinguiamo. Credo molto nella comunicazione ambientale, ma è necessario fare una distinzione perché c'è un grande gap. Da un lato c'è quella social legata al prodotto, alla promozione di un prodotto che è a basso impatto, ma è sempre un prodotto e fa poca sensibilizzazione. Le istituzioni su questo fronte sono non pervenute. E poi c'è per fortuna, la comunicazione ambientale fatta dalle riviste di settore, dai professionisti, dai divulgatori, quelli veri, dagli scienziati che invece è di grandissimo profilo e si riduce a essere banalizzata, come nel caso di Parisi, premio Nobel per la Fisica, del quale - tra le mille cose interessanti che ha detto - viene estrapolata la famosa frase sulla pasta. La sensazione è che in Francia, in Germania, la comunicazione ambientale di profilo alto, quella corretta, quella vera, sia molto più avanti; noi ci stiamo spostando su quella un po' più spiccia dei social e degli influencer. Mi sembra che in questi ci sia un po' più di consapevolezza sul ruolo della comunicazione ambientale anche in tema di consumo critico. In Svizzera, per esempio, c'è un programma che si chiama Patti Chiari, uno dei più visti sulla tv svizzera; parla di consumo critico in una chiave giornalistica interessante. Entrano a casa delle persone e fanno delle piccole competizioni su il buon ecologista e il cattivo ecologista, quello che spreca contro quello che non spreca. Mentre da noi, anche sulla Tv pubblica queste tematiche sono legate all'inchiesta». Per finire. Sul clima c'è un'enorme attenzione, però quando si va verso soluzioni concrete che riguardano anche la questione dei consumi queste non passano tra le persone. Come mai? «C'è ancora un approccio legato alla fatica. Si continua a pensare che avere uno stile di vita legato al consumo critico sia faticoso, non sia gestibile con i figli e con una famiglia. In realtà lo sforzo che ho sempre fatto in questi anni è stato quello di comunicare che non è così difficile avere uno stile di vita ecologista perché prevede una pianificazione, un'ottimizzazione delle risorse, un piano ben chiaro. Fatto tutto questo, in realtà è molto semplice. Bisogna comunicare un metodo oltre che le pratiche ecologiche. La sfida è tutta qui». ▲ www.rivercleaning.com • info@rivercleaning.com • Tel: +39 0424 881323 PLAY VIDEO26 IL CONTESTO La parte “giusta” di Rudi Bressa 29 ECONOMIE Share&Care di Michele Dotti 32 ENERGIE Elettroni in comune di Ivan Manzo 35 CRISI Asfissiati dal gas di Fabio Roggiolani 38 ESPERIENZE In gruppo contro la crisi di Giorgia Marino 40 REALTÀ Cooperare per bene di Tiziana Giacalone 42 ESPERIENZE Cartucce per il clima di Deborah Annolino 44 PRATICHE L’efficienza. Quella buona di Francesco del Conte 46 L’AMBIENTE IN NUMERI Consumi insostenibili di Sergio Ferraris 47 IL PUNTO Il nostro futuro di Livio de Santoli FOCUS Consumi e socialitàL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 26 IL CONTESTO / di Rudi Bressa I l mondo è cambiato. Nel giro di due anni certezze e abitudini sono state messe sottosopra, tanto da minare alcuni dei pilastri che davamo per certi: energia abbondante e più o meno a buon mercato, consumi illimitati, risorse infinite. La verità è ben altra e ce ne siamo accorti all'inizio del 2020. L'arrivo della pandemia ha mostrato la fragilità della nostra società e il profondo impatto che abbiamo sui sistemi naturali alla base della prosperità. A forza di espandere l'areale, homo sapiens ha esposto l'intera specie a contatti sempre più frequenti con gli habitat selvatici, serbatoi naturali di patogeni. Questa pressione continua, sregolata e poco lungimirante, ha portato il virus che oggi tutti conosciamo, a fare quel salto di specie – zoonosi – che in molti addetti ai lavori si aspettavano. A fine 2020 il gruppo La parte "giusta" Davanti all'ennesima crisi in pochi anni, l'imperativo è decidere quale futuro vogliamo per la nostra società. Le soluzioni le abbiamoL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 27 intergovernativo sulla biodiversità (Ipbes) fu piuttosto lapidario spiegando come quella del Covid-19 fosse almeno la sesta pandemia globale dall'influenza che colpì l'umanità nel 1918 e che non ci fossero dubbi sul fatto che sia stata interamente guidata dalle attività umane, sottolineando infine che là fuori ci sono più di 800 mila virus con la capacità di infettare le persone. Sulle cause lo stesso presidente del gruppo di lavoro Peter Daszak fu piuttosto chiaro: «Sono le stesse attività umane che guidano i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità a guidare anche il rischio pandemico attraverso i loro impatti sull’ambiente. Cambiamenti nel modo in cui usiamo la terra, l'espansione e l'intensificazione dell'agricoltura; il commercio, la produzione e il consumo insostenibili che gravano sulla natura e aumentano il contatto tra fauna selvatica, bestiame, agenti patogeni e persone. Questo è il percorso verso le pandemie». Opportunità non colte In piena pandemia sono state molte le voci che indicavano la crisi come un'opportunità: gli aerei fermi, le strade svuotate dal traffico e il lavoro da casa avevano fatto crollare le emissioni di CO 2 , seppur per qualche mese. Insomma si mostrava come una riduzione di alcuni tipi di consumi, non certo uno stop totale, poteva portare verso quella riduzione delle emissioni di cui abbiamo disperatamente bisogno. Sia chiaro, le proposte avanzate da ricercatori, analisti, osservatori, non dicevano di sconvolgere l'economia o la società, ma utilizzare tutte le risorse e le soluzioni che abbiamo a disposizione per invertire la rotta. D'altronde il tema della “sostenibilità” è ormai diventato di uso comune. Secondo alcuni sondaggi, il 69,5% della popolazione italiana la considera un valore al quale non rinunciare, tanto da spingere a un diverso atteggiamento nelle questioni quotidiane: il 90% chiede di limitare il consumo di plastica, l’89% di produrre oggetti o confezioni sostenibili e l’87% di investire nelle rinnovabili. Un cambiamento certamente spinto anche da determinati valori, che ha portato e sta portando le aziende a una maggiore attenzione da una parte e dall'altra ad abbracciare i temi “green” sostanzialmente per vendere di più. Dal “senza” e dal “no”, accezioni troppo negative, si è passati all'”ok”, “con”, “100%”. Ci si è adeguati alle richieste del mercato. Pensiamo al mondo dell'agroalimentare, settore fondamentale, ma anche tra i più impattanti a livello globale su suolo, acqua, qualità dell'aria, tanto per citarne alcuni. Pochi giorni fa Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, diceva che «la crisi climatica è una vera e propria iattura che sta sconvolgendo la vita a milioni di persone, ma il principale responsabile di questo sconquasso è il sistema alimentare globale». Puntando il dito contro quel terzo di cibo perfettamente commestibile che viene buttato via: «un fallimento epocale, perché nel frattempo nel mondo circa 900 milioni di persone soffrono la fame». Le soluzioni esistono e a volte le abbiamo a portata di smartphone; per esempio l'App “To Good to Go” mette in comunicazione esercizi commerciali e clienti per ridurre lo spreco di cibo con offerte legate alle eccedenze: in tre anni di attività in Italia, il servizio ha salvato dal cestino circa 9 milioni di pasti, grazie ai 20 mila esercenti commerciali che hanno aderito all'iniziativa e ai 6 milioni di utenti (1 italiano su 10), che hanno scaricato il servizio anti spreco. L'inverno sta arrivando Prendiamo la crisi energetica che sta colpendo l'Europa in quest'ultimo anno. Iniziata a ottobre del 2021 e peggiorata drasticamente con la guerra in Ucraina, sta mostrando come la dipendenza dai combustibili fossili sia in grado di mettere interi paesi e sistemi economici in grave difficoltà. Si chiede da un lato di ridurre i consumi, di abbassare il riscaldamento o di fare docce più brevi, ma si tratta più di palliativi L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 28 che di risposte sul lungo periodo e lo dimostrano i numeri: chi poteva tagliare l'ha già fatto e questo non farà che acuire la crisi, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. Dall'altro lato il sistema produttivo sarà chiamato a un ulteriore sforzo per ridurre i consumi e questo potrebbe essere anche una leva positiva sul lungo periodo. Parlando con i settori più energivori, si nota come a fronte dell'impennata dei costi, stia spingendo sempre più verso l'efficienza energetica, tagliando ovunque sia possibile. Certo, ne risentirà la produzione ma farà anche da impulso all'applicazione di soluzioni già disponibili sul mercato per ridurre il consumo e lo spreco di energia. Pochi giorni fa l'Ansa riportava che Terna, società che gestisce la rete elettrica italiana, aveva registrato a fine agosto richieste di connessione alla rete pari a 280 GW (Gigawatt), circa quattro volte gli obiettivi che l'Italia si è data al 2030, ovvero realizzare i 70 GW previsti dal piano europeo Fit for 55 che porterebbero a un risparmio di oltre 26 miliardi di metri cubi di gas. Secondo l'amministratore delegato di Terna, Stefano Donnarumma, «È dunque fondamentale accelerare il più possibile i processi di autorizzazione degli impianti eolici e fotovoltaici, considerato anche che il costo effettivo dell'energia prodotta per esempio da un impianto solare è di circa cinque volte più basso del valore registrato nei primi sei mesi dal Pun». In tutto questo i cittadini hanno e avranno un ruolo fondamentale. Prosumer all'attacco A inizio settembre la stessa Agenzia europea dell'ambiente, in un report dedicato, ha dato enorme risalto ai cosiddetti “prosumer”, i produttori- consumatori di energia elettrica da fonti rinnovabili, sottolineandone il ruolo nella transizione energetica. La produzione decentralizzata di energia attraverso le comunità energetiche, è parte della soluzione: l'approvvigionamento su piccola scala offre ai cittadini un percorso per aumentare la propria indipendenza energetica oltre ad avere ricadute e benefici sociali, implementando il senso di comunità e sbloccando fondi privati che altrimenti non sarebbero disponibili per gli investimenti nell'energia rinnovabile. Pensiamo alle cooperative energetiche come énostra o al progetto internazionale Greening the Islands, che sta accompagnando le piccole isole verso la neutralità climatica e l'indipendenza energetica. Nel frattempo la cosiddetta “generazione Z” (i giovani e giovanissimi), ci sta dando una visione di futuro che vorrebbe diventasse realtà. I vari sondaggi che cercano di fotografare i “giovani” ci dicono che questi mettono al primo posto l'ambiente e la sostenibilità e questo li porta naturalmente a fare determinate scelte, come l'attenzione a una dieta più attenta all'ambiente e al benessere animale, alla riduzione dei consumi eccessivi, a una mobilità condivisa, a rinunciare anche a voli o vacanze in luoghi esotici. Basta vedere i circa 80 mila studenti scesi in piazza pochi giorni prima delle elezioni per lo sciopero globale del clima che portavano un messaggio chiaro alla politica: «Non sosterremo alcun partito, perché nonostante le differenze tra i diversi programmi nessuno difende le rivendicazioni che abbiamo portato oggi in piazza». Si mostra così tutta la lontananza di un certo tipo di classe dirigente dalle istanze delle generazioni future, quelle che vorrebbero “proteggere” nel prossimo futuro. Eppure certe scelte e atteggiamenti rimangono difficili da scardinare, nonostante mai come oggi abbiamo a disposizione un'informazione praticamente illimitata, a portata di schermo, oltre a soluzioni tecnologiche già pronte e che spesso richiedono investimenti che si ripagano nel giro di pochi anni. Resta il fatto che il cambiamento è già in atto, che lo si voglia o meno. Basta solo decidere da che parte stare. ▲L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 29 Q uando parliamo di economia pensiamo subito all’economia di mercato, al capitalismo, quasi che questa fosse l’unica forma esistente e occupasse tutto lo spazio possibile. Effettivamente se pensiamo che delle prime 100 entità economiche del Pianeta 71 sono multinazionali e solo 29 sono governi, la sensazione è legittima. Eppure, qualcosa non torna: le grandi e ricchissime imprese multinazionali controllano l’80% del commercio mondiale e il 66% della produzione di beni e servizi, dunque a quante persone dovrebbero offrire lavoro? Considerando che secondo l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sulla terra ci sono 3,3 miliardi di persone che lavorano, verrebbe da dire un numero piuttosto alto. E invece le multinazionali occupano solo 130 milioni di persone, cioè appena il 4% dell'umanità attiva in qualche lavoro. È evidente che non sarà certo questo il sistema in grado di offrire occupazione a tutti. Anzi, in un certo senso potremmo dire che l'occupazione la cancella -dove passa- perché il suo unico obiettivo è massimizzare i profitti e siccome i lavoratori sono un costo, considera opportuno e legittimo ridurli al minimo. Condividere significa prendersi cura. Della natura, delle relazioni e di se stessi Share & Care ECONOMIE / di Michele Dotti Next >