< PreviousL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 32 devono chiaramente indicare che se si composta questo deve avvenire, una vol- ta ritirato dall’ente smaltitore, ricono- sciuto - altra bega gigante - nel sistema di compostaggio industriale cioè in capan- noni all’uopo attrezzati - Dal momento che in inverno esso non biodegrada nep- pure nella campana datagli con enfasi ri- solutiva dall’amministrazione pubblica , scattano il senso di frustrazione e delu- sione; le fake news del web, possono fare il resto. La campana ovviamente non tie- ne conto che le stagioni esistono anche per il cittadino che non si ricorda che in inverno neppure l’immondizia organica fermenta (non puzza infatti) e se la pren- de con il produttore del piatto in biopla- stica. Altro problema è l’idea della biodegra- dazione in mare delle bioplastiche; a parte un particolare e più costoso biopo- limero chiamato pha - tutti gli altri a base “pla” in mare non biodegradano (man- canza di flora batterica adeguata). Quin- di la cassetta del pesce il Pla-spanso non va buttata perchè resta tale. Al limite si frammenta ed essendo acido polittico potrebbe essere digerita prima o poi dai cetacei o uccelli ma mancano gli studi adeguati e soprattutto non va dato per scontato che essendo di origine vegetale debba per forza essere biodegradabile in ogni condizione - neppure in frigorifero si biodegrada ma se invece lasci il for- maggio in frigo muffisce (inizio di una biodegradazione) - ma questo invece non ti stupisce più di tanto. Microplastiche Ultimamente uno studio dell’Università Di Pisa è venuto alla ribalta mediatica perchè ha concluso che la presenza delle bioplastiche nei terreni ne altera l’equili- brio e lo inquina - probabilmente rife- rendosi ai teli di pacciamatura come quelli usati per evitare di far crescere er- bacce intorno alle verdure o alla frutta come le fragole. Lo studio riguardava le bioplastiche base pla, non invece i pesti- cidi e erbicidi che avvelenano anche le falde e minano la salute dell’ecosistema ma tant’è che è sembrata l’ennesima di- sillusione sulle alternative alle plastiche. Ad amici e clienti che mi hanno subissa- to di mail e foto degli articoli serena- mente rispondo: “anche a te se mangi un kg di funghi porcini per alcuni giorni ri- schi di intossicarti gravemente perchè la tua flora intestinale non è abituata al ca- rico di sostanze che i funghi contengono come i metalli pesanti; se mangi patate in quantità per giorni l’organismo si alte- ra, ma anche i pomodori e melanzane contengono troppo nichel tossico per l’intestino quando ne abusi , se mangi il pesce con le microplastiche ti intossichi. Dunque non sarà forse è l’abuso il proble- ma, Immettere un corpo estraneo - la pla- stica la conosciamo da pochi anni - in un ambiente comunque complesso che ri- chiede tempi di adattamento di migliaia di anni e non di ore. L’abuso è il problema e il cervello ci comunica che forse è il caso di smetterla, ma spesso non l’ascoltiamo soprattutto quando siamo in compagnia di altri nel nostro stesso stato. ▲ *Direttore R&S Biotecnologie - GreenEvo29 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 33 Il rifiuto non rifiuto Migliorare la raccolta dei rifiuti per incrementare l’economia circolare. Una ricetta difficile ma necessaria SERVIZI DI RACCOLTA / di Francesco Girardi * 1 973-1986. Erano gli anni in cui si emanavano le prime leg- gi in materia di discariche di ri- fiuti e in cui si cominciò ad av- vertire la necessità di servire adeguata- mente il modello di crescita imbastito a fine ‘800 che accelerò, dopo la seconda guerra mondiale ed ebbe presto impel- lenze nello smaltimento dei suoi scarti. Risultato: grandi buchi fino a 30 metri dove nascondere dalla vista dei consu- matori i loro scarti quotidiani nonché quelli industriali non digeribili nelle prassi antesignane dell’ “end of waste”. In quegli anni nascevano i distretti dello smaltimento dei rifiuti, avi delle moder-30 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 ne ATO e concettualmente legati a una visione dei rifiuti negativa e nefasta, una visione irresponsabile che considerava i rifiuti un problema da occultare. E i rifiu- ti sono un problema nella misura in cui gli stessi sono considerati un prodotto ineluttabile della vita umana, dunque qualcosa che fa parte di noi e intrinseca- mente connesso alla nostra vita sul pia- neta Terra. Nel momento in cui si accet- ta l’ineluttabilità della produzione dei rifiuti stiamo ammettendo la possibilità di proseguire nell’attuale modello eco- nomico irresponsabile, scriteriato e falli- mentare, che sta portando all’estinzione di tante specie viventi, minando la biodi- versità del Pianeta e la permanenza della nostra specie Avremo modo di dilungarci nei prossi- mi numeri ma ci soffermiamo, per ora, su come ci si ponga di fronte alla scelta delle modalità di raccolta differenziata che rappresenta il primo passo contro una vi- sione foriera di sprechi e di nefaste assue- fazioni sociali. I sistemi di raccolta dei rifiuti domi- ciliari nascono a Napoli o meglio, nell’intero Regno delle Due Sicilie a seguito dei primi editti Prefettizi da- tati 1832, anni in cui la raccolta delle “immondezze” e delle “sfabbricine” avveniva “al lato delle rispettive abi- tazioni” per consentire “l’esposizio- ne delle immondizie avendone cura di separarne tutti i frammenti di fer- ro, di cristallo e di vetro ammontic- chiandole al lato delle rispettive abi- tazioni”. Il senso di circolarità dell’e- conomia è leggibile in questi editti e proclami dei regnanti che arricchiva- no le loro disposizioni di sanzioni e le impreziosivano di frasi dense di mo- rale ed etica, volta alla responsabiliz- zazione dei sudditi e alla dedizione per il rispetto del decoro e dei sistemi naturali. È con l’avvento del consu- mismo in piena era plastic trap che le esigenze di raccolta sfuggono alle lo- giche di responsabilizzazione dell’u- tenza sempre più dedita al consumi- smo e all’usa e getta, come religione e scopo vitale: è l’intera economia che impone le discariche lontane dal cuo- re e lontane dagli occhi e i cassonetti diventano in questo contesto l’avam- posto salvifico in cui riporre gli scarti di ieri per far posto a quelli di doma- ni. Questo sistema di raccolta permette- va agevolmente il trasporto fuori cit- tà nella discarica dei rifiuti permet- tendo la continua anche se abnorme produzione degli stessi, favorendo macchine sempre più potenti nelle fasi di compattazione e dunque sem- pre più capaci di “divorare” quanto prodotto dalla società. Erano questi i momenti storici in cui le comunità più sensibili e responsabili, le piccole comunità che sentivano più e prima degli altri il peso dell’insostenibilità dei grandi centri metropolitani av- viarono, non certo per decreto, nuovi modelli di raccolta associati quasi sempre a prassi di produzione dei ri- fiuti più attente, sia per vocazione agricola, sia per capacità manuali e artigiane più spiccate. È senza dub- bio nell’analisi urbanistica, nella co- noscenza dello sviluppo socio-eco- nomico e nelle attitudini all’ecologia che vanno ricercati i modelli più effi- caci di raccolta e gestione industriale degli oggetti dismessi e dei rifiuti. E in questo quadro è senza dubbio im- prescindibile, da parte degli organi- smi deputati alla gestione del servizio di raccolta, l’essere dotati di sensibili- tà e profondo grado di conoscenza di tutto ciò. Ecologia significa “relazio- ni di sistema” e in un contesto urba- no, l’ecologia nei servizi pubblici è tutto: se non si sente e non si vede in modo ecologico, ogni più complesso e articolato modello di raccolta è de- stinato al fallimento. Si badi bene che anche l’impostazio- ne di sistemi di raccolta domiciliari che generano maggiori costi è uno 1 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 degli indicatori che mettono in evi- denza come un sistema possa non es- sere adatto a quella realtà o contesto. Non tutti i porta a porta riescono col buco. È dunque ammissibile un mo- dello di raccolta domiciliare efficien- te ed efficace che possa far funzionare in modo ecologico la collettività ma non è ammissibile la standardizza- zione dei modelli di raccolta che non sono e non saranno mai degli “ogget- ti” omologabili, anche perché sono indissolubilmente legati all’intimità domestica delle utenze servite che meritano rispetto e che gli si tagli un vestito su misura. Ecco dunque che l’evoluzione naturale del porta a por- ta in una visione ecologica ed eco fu- turibile, non può che essere una rac- colta sempre più responsabilizzante, per le nuove economie e le ecologie di scala. Però si pone il problema di come far meglio e con meno esborso economico. Alcune realtà in Europa ma anche in Italia, stanno sperimentando il “ri- torno allo stradale”, quello fatto bene che riesca a ricreare tutte le condizio- ni della percezione ecologica dell’e- conomia circolare e della partecipa- zione a questa rivoluzione dolce chiamata raccolta differenziata. Se non di sola percentuale di raccolta raggiunta si nutre il vero porta a por- ta, non di sola raccolta differenziata si nutre l’economia circolare: essa può esistere e svilupparsi se a monte si innescano spiccate capacità intel- lettive da parte dei produttori dei ri- fiuti ed è importante trovare il modo per muovere queste leve emozionali per l’ambiente e il futuro. Bisogna sa- per coinvolgere gli utenti, l’essenza vera delle comunità. Per magia quan- do si trova il modo più consono, gra- dito e coinvolgente, i rifiuti sparisco- no, non certo smaterializzandosi, non si smaterializzano d’emblé tutti quanti, ma sono elevati al rango di materia prima per nuovi processi produttivi forieri di nuove “ecologie di scala” e risparmio energetico non- ché nell’approvvigionamento di ma- teria prima vergine minerale. Diven- gono “gli oggetti di lavoro”, simili a *ingegnere ambientale, Amministratore unico e responsabile tecnico ASA Tivoli quelli presenti in natura senza inter- vento dell’uomo, di cui parlava Karl Marx. Ecco il modo per consentire all’uomo di ritrovare se stesso rico- noscendo quanta natura c’è negli og- getti dismessi fatti di sostanze mine- rali ed energia, di sostanze biodegra- dabili al pari della sostanza umana. E se l’uomo sente una cosa sua, la sente buona e positiva e sente che può far meglio, già da domani scatta il riuso, magari di una bottiglia di vetro e da qui al vedere “quanto costa l’acqua al supermercato”, oppure al cercare “i pannolini lavabili per il futuro del mio bimbo”, il passo è breve. E così s’innesca un’economia che oltre a es- sere circolare è virtuosa, sia per il Pia- neta, sia per le persone. ▲ Sistema mobile per il recupero degli oli esausti L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 U n mare di plastica ha inva- so i nostri fiumi e i nostri mari. Ma non solo. Molta della plastica che arriva sul mercato è destinata ancora alla disca- rica o viene impiegata nel recupero ener- getico. Secondo le stime dell’Unione eu- ropea nel vecchio continente si ricicla solo il 30 per cento della plastica, mentre poco più di un terzo finisce sottoterra e il 39 per cento se ne va letteralmente in fu- mo. Un costo ambientale stimato in 400 milioni di tonnellate di CO 2 l’anno e una perdita del 95 per cento del valore economico degli imballaggi, spesso uti- lizzati una sola volta. Un’emergenza am- bientale, e uno spreco di risorse. La pla- stica è forse una delle migliori invenzioni di Homo sapiens, ma evidentemente dobbiamo ancora trovare il modo di progettarla, utilizzarla e recuperarla in maniera più efficiente ed efficace. Ma c’è chi ci sta provando e sta tracciando la strada per recuperare questo materiale, tanto prezioso quanto pericoloso se rila- sciato nell’ambiente. Quanta plastica riciclata si usa Oggi la domanda di plastica riciclata è ancora bassa. I problemi principali legati al riciclaggio sono dati sopratutto dalla qualità e dal prezzo del prodotto ricicla- to, spesso non competitivo con la mate- ria prima vergine. Si producono poi og- getti composti da diversi polimeri, diffi- cili e troppo costosi da recuperare, nono- stante la tecnologia sia disponibile. È per questo che in Europa la domanda di ma- terie plastiche riciclate è ferma al 6 per cento della domanda di materia prima totale. Va meglio però in Italia dove, non solo abbiamo uno dei tassi più alti di rac- colta e riciclo degli imballaggi di plastica (67,5 per cento dell’immesso al consu- mo, fonte Corepla), ma è in crescita an- che la domanda di plastica riciclata. Cre- sce del 10 per cento per il PET (i settori principali sono i contenitori per alimen- ti); del 5,5 per il PE (polimero impiegato per sacchi, tubi, imballaggi); del 3,5 per il PP (polipropilene usato per cassette, shopper e numerosi altri oggetti) e addi- rittura del 75 per cento per il PS (polisti- rolo), che viene impiegato prevalente- mente nel settore dell’edilizia e nell’iso- lamento termico. Si parla di circa 1 mi- lione di tonnellate di plastiche riciclate provenienti dalla raccolta differenziata. Abiti, borse e scarpe dalle bottiglie. La seconda vita della plastica riciclata Esiste dunque un mercato ed esistono aziende che hanno fatto della plastica ri- ciclata il proprio core business. Non si tratta solo di startup ma di società ben avviate, conosciute in tutto il mondo. Tra queste degna di nota è la spagnola Ecoalf, oggi uno dei leader nel settore dell’abbigliamento, tanto che vanta 400 negozi in tutto il mondo. L’azienda rea- lizza giacche a vento con il PET recupe- rato dalle bottiglie di plastica riciclate: 80 bottiglie fanno una giacca. Il PET, una volta raccolto e pulito viene trattato fino a diventare fibra, che può essere quindi filata. Non solo, con la plastica ri- ciclata produce anche zaini e borse. Ne- Altre vite della plastica Anche se molto timidamente, la plastica riciclata sta trovando sempre più spazio e utilizzi, promettendo di rivoluzionare interi settori. Ma la strada da fare rimane ancora lunga RICICLO / di Rudi Bressa33 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 gli anni l’azienda ha siglato un accordo con alcuni pescherecci che solcano le ac- que del Mediterraneo e collabora con questi ultimi per raccogliere e riutilizza- re la plastica raccolta nel mare: circa 24 tonnellate l’anno. Inoltre recupera molti altri materiali, come le reti da pesca di- smesse, gli pneumatici fuori uso, i fondi di caffè. Sempre nel settore dell’abbigliamento l’americana Primaloft, azienda che pro- duce fibre per l’isolamento impiegate dai più noti brand dell’outdoor, ha svi- luppato speciali processi di riciclo e pro- duzione che hanno portato alla realizza- zione di fibre ad altissime prestazioni, più fini e più morbide del cashmere, tut- te da PET riciclato. Sono necessarie circa nove bottiglie in PET per creare lo strato isolante per una giacca dei marchi più noti. Ma negli anni l’azienda ha conti- nuato a fare ricerca ed è andata oltre: ha infatti lanciato da poco sul mercato una fibra, la PrimaLoft Bio, composta per il 100 per cento da materiale riciclato post- consumo e biodegradabile. La fibra in- fatti, secondo i test effettuati anche da enti terzi che ne hanno certificato la bio- degradabilità, si decompone in maniera relativamente rapida in ambienti specifici come le discariche o nell’acqua oceani- che. Il processo di biodegradazione rila- scia elementi naturali come acqua, meta- no, anidride carbonica e biomassa. Uno dei marchi più importanti dell’ab- bigliamento sportivo ha presentato nel 2016 un’intera collezione di magliette e scarpe realizzate con una fibra plastica ri- cavata dal marine litter (la plastica rac- colta in mare). Così Adidas, in collabo- razione con Parley for the Oceans, ha ve- stito i giocatori del Real Madrid e del Ba- yern Monaco con maglie realizzate con la plastica raccolta nell’oceano Indiano, mentre nel 2017 ha lanciato sul mercato le UltraBOOST Uncaged Parley, dispo- nibili inizialmente in 7mila paia, pro- dotte a partire da una tomaia in Pri- meknit realizzata in Ocean Plastic per il 95 per cento e in poliestere riciclato (5 per cento). L’obiettivo di Adidas era di raccogliere almeno undici milioni di bottiglie nelle aree costiere insieme al Parley Global Clean-up Network e rici- clarle in prodotti sportivi di alta qualità. L’iniziativa ha avuto così successo che il marchio sta pensando di realizzare una linea intera per proporla a un pubblico sempre più ampio. Plastica da fiumi e mari per costruire case rifugio Interessante poi la soluzione proposta dalla Protomax Plastics, di base in In- ghilterra, anche perché ha un risvolto so- ciale. Il fondatore dell’azienda ha infatti inventato letteralmente un macchinario e un processo capace di creare dei pan- nelli leggeri e durevoli partendo dai ri- fiuti in plastica non selezionati. I pannel- li così composti e disponibili in diversi colori possono essere impiegati per la re- Decreto End of Waste e nuova vita ai pannolini È di maggio il tanto atteso decreto “End of Waste”, a firma del ministro dell’Ambiente Sergio Costa. La legge era attesa da tempo perché apre le porte al riciclo dei pannolini e dei prodotti assorbenti per la persona, frazione che costituisce ben il 4 per cento dei rifiuti urbani. E perché permette di ricavare, attraverso un processo messo a punto da FaterSpa e Contarina, materie prime seconde come plastica, cellulosa e prodotti super assorbenti. A Treviso, dove si trova il primo impianto in grado di gestire in maniera del tutto sicura questo tipo di rifiuti, verrà così avviata la raccolta differenziata anche dei prodotti assorbenti. Da una tonnellata di rifiuti separati, è possibile produrre fino a 150 kg di cellulosa, 75 kg di plastica e 75 kg di polimero super assorbente. Plastica che servirà per realizzare prodotti quali mollette per il bucato, contenitori, cassette e molto altro. L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 alizzazione di staccionate, bagni pubbli- ci, complementi d’arredo, fino a piccole case o rifugi. L’azienda infatti produce una casetta che va a sostituire le tende rifugio in caso di calamità naturale o di emergenza umanitaria. Una singola ca- setta di circa 17 metri quadrati può es- sere trasportata con un singolo pallet, mentre riempendo un autoarticolato si possono trasportare rapidamente ben 20 case, facilmente assemblabili utiliz- zando solo bulloneria. Da questo pro- getto è scaturita una collaborazione tra Corepla, Castalia, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, l’Autorità distret- tuale del bacino del Po, sfociata (è il caso di dirlo) nell’iniziativa “Il Po d’AMare”. La scorsa estate lungo il corso del fiume sono state installate delle dighe mobili in polipropilene capaci di trattenere i rifiuti in maniera selettiva senza disturbare l’e- cosistema fluviale. Nel solo periodo di prova la struttura ha raccolto oltre 250 chilogrammi di plastica tra flaconi, bot- tiglie, tappi. Questi sono stati avviati a ri- ciclo e una volta prodotto il granulo so- no stati trasformati in una casa-rifugio donata a Moria, uno dei maggiori campi profughi d’Europa che si trova in Gre- cia. Oggetti per tutti i giorni Ma con la plastica riciclata si possono produrre molti og- getti di uso comune, che ma- gari prendiamo in mano tut- ti i giorni senza rendercene conto. Nel settore delle be- vande molte aziende come Coca Cola, San Benedetto, Ferrarelle e Parmalat, hanno lanciato sul mercato già da tempo bottiglie in PET rea- lizzate con plastica riciclata (fino al 50 per cento, che è il limite imposto per legge). Quest’ultima, considerando l’LCA (“Life Cycle Assestment”, cioè la Valutazione del Ciclo di Vita) della bot- tiglia, ha calcolato di risparmiare in un anno circa 18 mila metri cubi di acqua, riducendo di quasi 1.700 tonnellate le emissioni di CO 2 prodotte in un anno, oltre al risparmio di 600 tonnellate di materia prima l’anno. Ci sono poi le cas- sette per l’ortofrutta - oltre 400 modelli -realizzate da Conip (Consorzio nazio- nale imballaggi plastica) e prodotte con plastica riciclata certificata e ulterior- mente riciclabile. O le taniche in poli- propilene rigenerato fino al 70 per cento. O ancora, lo spazzolino in plastica rici- clata al 100 per cento. Ci sono poi inizia- tive che durano il tempo di un campio- nato del mondo, ma che lasciano un’im- pronta nel corso degli anni. Budweiser, uno degli sponsor degli ultimi mondiali di calcio giocati in Russia, ha raccolto ol- tre 50mila bicchieri di birra usati duran- te la finale Francia-Croazia (ma non so- lo) recuperandone la plastica. La materia prima seconda è stata poi riutilizzata per realizzare il Budweiser ReCup, un cam- po da calcio aperto al pubblico all’ombra dello stadio di Sochi. Certo, con gli oltre 8 milioni di tonnella- te di plastica che finiscono ogni anno ne- gli oceani, di strada ce n’è ancora da fare. Ma da consumatori possiamo, ora, sce- gliere da che parte stare. ▲35 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Pulire il mare I pescatori che raccolgono rifiuti di plastica dal mare sono penalizzati. Serve una nuova legge «Noi da ormai quattro mesi tutte le set- timane raccogliamo in media un grosso sacco da 30-40 chilogrammi ad ogni uscita», ha raccontato Tomas. «Ultima- mente stavamo pescando più plastica che pesce, arrivando anche a rompere un numero elevato di reti. Era necessario fa- re qualcosa, soprattutto sensibilizzare chi di dovere a far trovare al porto dei cassonetti appositi per noi pescatori al- trimenti paradossalmente rischiamo in- vece una multa. Per questo motivo, mol- ti preferiscono ributtare in mare i rifiu- ti che tirano su dalle reti, anche se stiamo cercando di convincere tutti a fare come noi». Massimo Rossi, comandante del moto- peschereccio RIMAS di Cesenatico, è d’accordo con Tomas e aggiunge che «quello che chiediamo non è ricevere rimborsi o compensi per svolgere questo lavoro di pulizia perché lo facciamo an- che nel nostro interesse, ma chiediamo P lastiche, lattine e oggetti di ogni tipo impigliati nelle reti da pesca. È la situazione in cui si ritrovano i pescatori che raccolgono i rifiuti abbandonati sui fondali marini durante le attività di pe- sca. Rifiuti che, a causa di una norma re- strittiva, sono classificati come rifiuti speciali e in quanto tali devono essere smaltiti con particolari accorgimenti (spesso a carico di chi li conferisce a ter- ra) senza i quali si incorre in ammende. La contraddizione è tale che Fondazio- ne Cetacea e Marevivo hanno deciso di lanciare una petizione su Change.org per chiedere al ministro dell’ambiente Sergio Costa di mettere mano alla nor- mativa per consentire ai pescatori di contrastare l’inquinamento da rifiuti so- lidi, diventando a tutti gli effetti “senti- nelle del mare”. La soluzione al problema c’è ed è previ- sta dal disegno di legge “Salvamare”, che pone tra i suoi obiettivi primari quello di eliminare il rischio di incriminazione per i pescatori che riportano a terra i ri- fiuti raccolti e la conseguente gestione dei rifiuti accidentalmente pescati. Una soluzione che è stata accolta e voluta dal- le oltre 200 mila persone che hanno fir- mato la petizione lanciata da Fondazio- ne Cetacea e Marevivo, le quali lo scorso 9 maggio hanno consegnato le firme al Ministero dell’Ambiente per dare anco- ra più forza alla richiesta comune di ap- provare al più presto la legge e compiere un primo importante passo per combat- tere la “marine litter” (i rifiuti marini). Presente alla consegna anche un diretto testimone della situazione che devono affrontare ogni giorno i pescatori in ma- re: Tomas Parenti, 22 anni, è il più gio- vane comandante di peschereccio della marineria di Rimini e già da quattro mesi ha deciso di riportare in porto i suoi ri- fiuti. La sua esperienza parla chiaro: CAMPAGNE / di Assunta Gammardella36 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 La soluzione al problema c’è ed è prevista dal disegno di legge “Salvamare”, che pone tra i suoi obiettivi primari quello di eliminare il rischio di incriminazione per i pescatori che riportano a terra i rifiuti raccolti e la conseguente gestione dei rifiuti accidentalmente pescati. Crediti fotografici Alessandro Mazza Crediti fotografici Alessandro Mazza L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 che ci venga concesso di accedere facil- mente ai servizi di smaltimento». «Da anni collaboriamo con i pescatori dell’Adriatico per la salvaguardia delle tartarughe marine e dei delfini e due an- ni fa, nell’ambito del progetto Europeo Clean Sea Life, abbiamo cominciato ad organizzare azioni di Fishing for Lit- ter», spiega il presidente della Fondazio- ne Cetacea Sauro Pari. «In questa occa- sione abbiamo raccolto lo scoramento dei pescatori, costretti ogni giorno a ri- buttare in mare l’immondizia presa dalle loro reti. Di qui l’appello al Ministro che rinnoviamo affinché la legge Salvamare abbia un iter veloce ed affronti anche il nodo del reperimento fondi per lo smal- timento dei rifiuti marini. Occorre evita- re quanto accaduto con la 472 del 2013». Venerdì 7 giugno, durante l’ulti- ma giornata di fishing for litter organiz- zata da Fondazione Cetacea, a Rimini 11 motopescherecci hanno conferito circa 1250 chili di rifiuti, recuperati in un’uni- ca uscita durata alcuni giorni. Una prima risposta positiva all’impegno delle due associazioni si è avuta lo scorso 27 maggio, quando il Consiglio dei Mi- nistri ha dato il suo via libera al ddl. L’i- ter è fermo da allora, ma non si può dire lo stesso sul movimento che lotta per la sua approvazione immediata. «Nono- stante il ddl sia passato al Consiglio dei Ministri è necessario che la legge sia ap- provata al più presto, come richiesto dal- la associazioni e dagli stessi cittadini ita- liani», ha affermato la presidente di Ma- revivo Rosalba Giugni. «Si tratta di un primo traguardo per contrastare l’inqui- namento, ma occorre che non ci siano ri- tardi normativi per liberare al più presto il mare dai rifiuti». Per Marevivo, la legge “Salvamare” non solo è «sempre più urgente», ma va an- che integrata al più presto con le retine dei mitilicoltori che vanno recuperate e riciclate. Secondi dei dati recentemente diffusi ieri dall’ Ispra sul progetto Fi- shing for Litter (FFL) a Chioggia, il 28% dei rifiuti analizzati dai ricercatori è co- stituito da oggetti riconducibili ad atti- vità di mitilicoltura, in particolare retine per l’allevamento delle cozze. Una per- centuale che supera quella dei rifiuti pro- venienti da attività di pesca commerciale (22% in peso dei rifiuti pescati dal fondo). Ma gran parte dei rifiuti abbandonati in mare e sui fondali rimane composta dalle plastiche, il che non sorprende. Di 300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno, negli oceani ne finiscono 13 milioni di tonnellate. I numeri sono così alti che risultano difficili da visualizzare: è come se trovassimo sedici buste colme di spazzatura per ogni metro delle nostre coste. Solo il 9% dei 9 miliardi di tonnel- late di plastica prodotte nel mondo, a partire dal 1950, è stato riciclato. Il resto è finito o nell’inceneritore, nelle discari- che o nell’ambiente. Non solo: l’attuazione del ddl Salvamare è resa ancora più necessaria in seguito all’approvazione in via definitiva da par- te dell’Unione Europea della Direttiva che mette al bando la plastica monouso nei Paesi membri entro il 2021. Al ban- do cotton fioc, posate, piatti, cannucce, pa- lette per mescolare bevande, bastoncini per i palloncini. In tal senso, la Salvamare diventa per l’Italia uno strumento impor- tante per recepire al più presto la Direttiva e conformarsi alle norme europee. ▲ Per approfondire Video River Claening River Cleaning: come ripulire i fiumi dalla plastica Spesso l’efficacia dei nuovi sistemi si basa sulla semplicità delle idee. A confermare questo principio la passione, le idee e le risorse di quattro giovani amici di Bassano del Grappa che hanno dato vita a una startup dal nome eloquente di “River Cleaning” e ispirandosi al più antico sistema per lo sfruttamento di acqua e vento - il mulino - hanno realizzato un dispositivo che rimuove i corpi superficiali dai fiumi, costituiti prevalentemente da plastica, prima che questi raggiungano il mare. La semplicità della nuova soluzione risiede nel fatto che i nuovi micro mulini, autoalimentati dal movimento dell’acqua, eliminano gli scarti superficiali dai torrenti senza interferire con la vita del fiume a ogni livello. “River Cleaning” è come un piccolo mulino galleggiante, prodotto in plastica riciclata e protetto da una cupola trasparente, allineabile in serie e con una spazzola rotante sui bordi che raccoglie i rifiuti galleggianti convogliandoli verso un contenitore, senza necessità di alimentazione né di manodopera dedicata. La serie di mulini viene ancorata al fondo, in modo che questi restino sulla superficie dell’acqua, senza costituire un ostacolo sia per i natanti che per la fauna ittica. Per maggiori info: https://rivercleaning.com/ Approfondimento a cura di Sauro SecciNext >