< Previous38 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Dalla bottiglia alla borraccia Ecco come liberarsi dalla plastica delle bottiglie, riducendo inquinamento, traffico, risparmiando e guadagnando in salute PROGETTI / di Fabio Roggiolani* S e girate per la Cina scoprirete un popolo con la borraccia ter- mica. Non hanno acqua fresca ma acqua calda, anzi bollente, perché nelle tubature non scorre acqua potabile e per dissetarsi è meglio avere con sé acqua calda o tè, molto più sicuri. Noi occidentali siamo abituati ad avere acqua potabile dal rubinetto ma dal mo- mento che in genere è il cloro che la tiene potabile nelle tubature, a parte eccezioni come Roma, l’acqua del rubinetto ha un sentore vago di varechina che non la ren- de buona e che si sente sempre di più ma- no a mano che passa il tempo in cui la te- niamo in bottiglia o borraccia. Se ag- giungiamo il fatto che le concessioni di acqua minerale nel nostro paese vengo- no sostanzialmente regalate agli imbot- tigliatori, ecco che si crea il più grande consumatore al mondo di bottiglie di ac- qua minerale e di bottiglie o bottigliette di plastica. Qualche numero per capirsi: · 208 litri di acqua a testa, siamo secondi al mondo dopo il Messico (che ha solo il 47% del paese con acqua potabile dal ru- binetto); · Dai 12 ai 24 miliardi di bottiglie/ette di plastica; · Circa 1 miliardo di tonnellate di petro- lio per produrle (2kg di petrolio per un kg di plastica); · Se le bottiglie si consegnano oltre i 200 km si consuma più petrolio per il tra- sporto che per la produzione delle botti- glie; · Solo un terzo della plastica si ricicla davvero e il trasporto dei rifiuti richiede di nuovo carburante ed energia. A noi di Ecofuturo tutto questo è chiaro da sempre, ma il primo movimento che ci ha preso sul serio è Fridays For Future che ha esibito le borracce come segno di identità. Ecco per- ché abbiamo creato il primo mar- chio “Negozio Plastic Free” per identificare gli esercizi che davve- ro rinunciano all’usa e getta par- tendo dalla scelta più banale e po- tente, quella di fornire acqua gas- sata, naturale, fresca o a tempera- tura ambiente naturizzata al bic- chiere o riempiendo la borraccia del cliente. Il logo di Ecofuturo insieme a quello di Sidea, che è la prima società che ha accettato di diffondere la targhetta, ma ovviamente noi siamo pronti a concedere il logo anche altre so- cietà del settore della purificazione cor- retta e ben seguita nella manutenzione dell’acqua. Acqua naturizzata con car- boni attivi e con filtri riciclabili e riutiliz- zabili, la scorciatoia delle brocche di pla- stica ha dimostrato di essere una sciagura peggiore del male sia perché chi fornisce la brocca poi fornisce anche i filtri usa e getta che se non aperti e svuotati finisco- no tutti nell’indifferenziata e sia perché chi non cambia il filtro finisce per bersi acqua con colonie di mi- liardi di batteri. L’unica scelta migliore ecologicamente è bere ac- qua in brocca dal rubinet- to ma, se non ci piace quel retrogusto di cloro, con la naturizzazione si ottengo- no acque gustosissime e molto più salubri di quel- le in bottiglia grazie al fat- to che l’acqua del rubinet- to non ha stazionato su L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 piazzali, non ha viaggiato per strade ed autostrade, non è stata imprigionata per mesi dentro una bottiglia di plastica, in- somma come spesso succede nel diventa- re Eco si beve con più gusto, si spende meno e si sta meglio. Noi certificheremo solo i naturizzatori o i purificatori che non usino l’osmosi in- versa che se pur ottima per la desalinizza- zione rende l’acqua dell’acquedotto, già salubre, troppo povera di nutrienti di- ventando quasi acqua distillata buona per stirare ma non per bere. Come non certificheremo l’uso dei boccioni, un si- stema che consuma molta energia e che è nato per il consumo al bicchiere usa e getta, che ha in più anche alcuni difetti di reale salubrità dell’acqua contenuta quando non se ne consuma molta e rapi- damente avviene il ristagno. Quindi quest’anno regalatevi una buona borraccia che tenga bene termicamente e preparatevi all’invasione dei fontanelli in ogni angolo del paese e in ogni casa o condominio oppure nelle stazioni e nel- le scuole. Vi invitiamo a comunicarci le vostre installazioni nuove, ad esempio basterebbe che un governo mediamente sveglio oltre a fare annunci positivi ob- bligasse tutti coloro che detengono un permesso di distributori automatici ad installare un naturizzatore accanto ad ogni gruppo di distributori per cambiare tutto e rapidamente, a costo zero e con grande risparmio per tutti. Gran parte dei costi che paghiamo per le bottiglie fi- niscono nelle tasche dei petrolieri per tutto quel petrolio in plastica, in viaggi andata e ritorno, in rifiuti e in trattamen- to dei rifiuti. D’ora in poi frequentate so- lo negozi o esercizi “plastic free”, insieme potremo fare la differenza. ▲ *Ecotecnologo, fondatore di Ecofuturo Sondrio, provincia regina della lotta alle bottiglie Con la Secam, azienda pubblica dei rifiuti prima e ora dell’Acqua, a Sondrio ogni comune ha un fontanello naturizzatore, l’azienda dell’acqua in collaborazione con Sidea ha da anni sviluppato, anche grazie alla mia iniziativa (e ne vado fierissimo) ma alla lungimiranza del direttore Andrea Mariani e del Presidente Gildo De Gianni, oltre all’impegno entusiasta dei dipendenti, un esperimento che è divenuto ormai una pratica diffusa negli esercizi pubblici, nelle scuole e negli edifici pubblici. Ultima realizzazione la pista ciclabile della Valtellina di cui abbiamo prodotto un servizio su Ecofuturo TV (a proposito chi se la fosse persa se la vada a godere o su Ecquologia.com o sul Fatto Quotidiano.it) dove sono in via di installazione numerosi fontanelli attrezzati per i ciclisti, che possono ogni pochi km riempire la loro borraccia, caricare il proprio telefonino o comunicare una emergenza, in questo caso si tratta di una collaborazione fondamentale con la Comunità Montana e con il suo presidente. Il risultato è che non solo in Valtellina c’è il porta a porta e i rifiuti sono riciclati a livelli record ma il consumo pro capite di plastica si è finalmente e progressivamente ridotto in controtendenza con il dato nazionale. 4 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Ruote circolari Gli pneumatici sono un prodotto molto diffuso e complesso da riciclare. Ma in Italia ci si sta riuscendo ESPERIENZE/ di Sergio Ferraris S ono molti. Molti milioni. Si tratta degli pneumatici che cambiamo in media ogni due anni, producendo così qualco- sa come oltre 200 milioni di pneumatici fuori uso (Pfu). Una quantità impressio- nante. Una volta lasciati dal gommista i Pfu sono avviati al riciclo dal quale si ot- tengono i tre materiali di cui sono com- posti: l’acciaio, la fibra tessile e la gom- ma. L’acciaio viene inviato in acciaieria per ottenerne di nuovo, la fibra tessile può diventare un buon isolante, mentre per la gomma il destino è diverso. Già perché, a differenza dell’acciaio, l’allu- minio, il vetro e una serie di plastiche, la gomma degli pneumatici non è adatta a ottenere nuovi pneumatici, ma deve tro- vare strade differenti. In pratica oggi è possibile solo fare il downcycling e non l’upcycling. E la strada differente lo pneumatico la trova grazie al sistema di trattamento del riciclo. Il primo proces- so è detto stallonatura e serve per estrarre l’anello d’acciaio, denominato cerchiet- to, che è vicino alla porzione dello pneu- matico che aderisce al cerchione, dopo- diché si passa alla prima frantumazione dalla quale si ottengono frammenti com- presi tra 5 e 40 cm chiamati ciabatte op- pure triturato. Si tratta di materiale che contiene ancora fibre tessili e pezzi di metallo che sono separati definitivamen- te dalla gomma con la seconda frantu- mazione e con la quale si ottengono gra- nuli e polverini, destinati al recupero della materia. «Il riciclo dei PFU in Ita- lia – ricorda Giovanni Corbetta, Diret- tore Generale di Ecopneus, che gestisce circa il 65% dei PFU generati ogni anno in Italia - rappresenta un caso di eccellen- za sullo scenario internazionale. Inoltre, stiamo mettendo massimo impegno e ri- sorse in ricerca e innovazione, informa- zione e sensibilizzazione dei cittadini, per uno sviluppo sempre più ampio degli impieghi della gomma da riciclo, una ri- sorsa preziosa, dalle eccellenti caratteri- stiche e il cui impiego permette il rispar- mio di gomma naturale vergine». Dopo ciò la materia prima seconda, ossia la gomma è pronta per il recupero, ossia per diventare nuovi oggetti. Vediamo quali. Nuove strade La gomma riciclata può diventare nuovo asfalto che modificato grazie all’aggiun- ta del polverino di gomma diventa più “silenzioso” riducendo la rumorosità fi- no a 7 decibel, più duraturo fino a tre volte rispetto all’asfalto tradizionale, più resistente alle fessurazioni e alle crepe - con minore necessità di manutenzione, con una maggiore capacità di drenaggio dell’acqua - aumentando così la sicurez- za della circolazione. Oltre alla superficie stradale è possibile realizzare anche ele- menti per l’arredo urbano quali cordoli, spartitraffico, rallentatori e delimitatori di corsie che hanno la capacità di resiste- re agli urti senza deformarsi. Cosa ap- prezzata dagli automobilisti e dagli am- ministratori pubblici. Nuovi giochi Con il granulo di gomma è possibile rea- lizzare campi da calcio in erba artificiale che offrono un’ottima giocabilità anche per i calciatori professionisti, mentre è possibile anche creare delle superfici per molti altri sport quali il basket, la palla- volo, il tennis e altri ancora. Oppure usando una miscela di granuli di gomma e resine poliuretaniche è possibile realiz- zare materassini prefabbricati per molte attività sportive. Il granulo di gomma è utile anche per l’equitazione visto che Asfalti modificati41 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 nelle scuderie può contribuire a creare una pavimentazione ideale per i cavalli e le migliora visto che riduce la scivolata ed elimina il materiale a lettiera. Oltre a ciò il suo utilizzo nei campi esterni evita che il calpestio degli zoccoli dei cavalli disperda particelle di silice che possono portare a danni polmonari, come la sili- cosi, per cavalli e cavalieri, cosa che nor- malmente viene evitata bagnando i cam- pi, per cui si risparmia anche acqua. Per i giochi dei più piccoli con i granuli di gomma si realizzano tappeti da gioco e pavimentazioni antitrauma per le aree gioco che sono estremamente versatili, visto che queste superfici possono essere realizzate sia affiancando delle mattonel- le prefabbricate sia posando e stendendo una miscela di granulo di gomma colora- to e resine poliuretaniche, colate in ope- ra per formare un’unica superficie, ma- gari con colori diversi. Si tratta di super- fici che hanno una grande capacità di re- sistere a urti improvvisi e alle avverse condizioni meteo - caldo o freddo - sen- za spezzarsi, cosa che ne garantisce anche una lunga durata nel tempo. Nuovi edifici La gomma proveniente dagli pneumatici fuori uso si può utilizzare per la produ- zione di pannelli isolanti acustici, mate- riali antivibranti e antisismici. Dosando spessori e caratteristiche del materiale fonoassorbente è possibile realizzare in- terventi molto specifici come quelli nelle industrie, nelle scuole e negli ospedali, ottenendo un isolamento di qualità. Nell’Auditorium Toscanini di Parma so- no stati utilizzati 960 metri quadri di iso- lamento con la gomma riciclata per met- tere a punto la sala prove principale. E tra gli utilizzi particolari della gomma da ri- ciclo ci sono le traversine ferroviarie. Ov- viamente non si tratta di traversine tutte in gomma, che difficilmente reggerebbe- ro tonnellate di treno lanciato a 300 km orari, ma di traversine in calcestruzzo precompresso che sono rivestite da un spesso strato di gomma che ne migliora le prestazioni. Con questo rivestimento si migliora la durata della traversina, si rende la linea meno rumorosa e soggetta a vibrazioni - al punto che si possono in- stallare pannelli fotovoltaici e sistemi di controllo digitali - e si utilizzano circa 35 tonnellate di pneumatici fuori uso per ogni chilometro di linea. ▲ Per informazioni Greenrail: http://www.greenrailgroup.com/ Ecopneus: https://www.ecopneus.it Aree gioco in gomma riciclataSuperfici per equitazione in gomma riciclata.Auditorium di Parma Fasi dell'impianto di riciclo L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 PERSONAGGI/ di Sergio Ferraris PARLIAMONE CON / di Giorgia Marino Sofia Mannelli plastiche dalle fattorie Le nuove biplastiche si produrranno con l’agricoltura, senza influire sulla produzione alimentare B ioplastiche dagli scarti delle barbabietole, pelle vegetale per fare scarpe e divani dalla buccia delle mele, cosmetici e fitofarmaci da sfalci e residui di piante da frutto. La vecchia fattoria è ormai un’azienda multifunzionale che crea va- lore e reddito da ciò che un tempo era considerato rifiuto. In un’ottica sempre più circolare e sostenibile. È la rivoluzio- ne della bioeconomia e ne abbiamo par- lato con uno dei suoi volti italiani: Sofia Mannelli, presidente dell’associazione Chimica Verde Bionet. Partiamo dalle basi: cos’è la chimica verde? «Secondo la formulazione classica che si rifà ai 12 principi di Paul Anastas, la chimica verde comprende tutti quei processi, industriali e non, che diminuiscono i danni all’ambiente. È quindi un concetto molto ampio. Per quanto riguarda l’attività dell’associazione Chimica Verde Bionet, nata nel 2006, abbiamo allora scelto di concentrarci sui processi a cicli corti di carbonio, cioè non provenienti da carbonio petrolchimico ma da carbonio di tipo rinnovabile, che aumentano la sostenibilità delle filiere. Partendo da materie prime di solito di origine vegetale, lavoriamo così su innumerevoli filiere». Per esempio? «Si va dai biocompositi e bioplastiche alla bioenergia, dai fitofarmaci alla cosmesi, dai mezzi tecnici per l’agricoltura fino ai beni culturali. Sempre cercando di agire sull’intero ciclo produttivo, compresi il packaging e il fine vita del prodotto, che significa smaltimento, recupero, riciclo». Si può dire che la chimica verde sia il motore della bioeconomia? «È sicuramente uno dei suoi pilastri. La bioeconomia riguarda tutto il mondo dei materiali di origine biologica, mentre si parla nello specifico di bioeconomia circolare quando si chiude il cerchio reimmettendo gli scarti nel ciclo produttivo». È la bioeconomia che sta dentro l’economia circolare o il contrario? «Sono una l’appoggio dell’altra, due strategie che si devono necessariamente integrare per funzionare. L’economia circolare riguarda qualsiasi tipo di prodotto, dai metalli alla plastica ai materiali organici. Quando si parla di prodotti con origini biologiche, allora entra in gioco la bioeconomia». Tornando alla chimica verde, parliamo dello stretto legame con il settore agricolo, che di solito si associa esclusivamente alla produzione Sofia Mannelli con cassette pesce in biofoam per allevamento delle bio orate a Isola di Capraia L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 alimentare. Una visione oggi superata dal concetto di “multifunzionalità”. «La chimica verde entra nell’azienda agricola con almeno due ruoli. Innanzitutto aiuta a sfruttare al massimo i sottoprodotti delle coltivazioni, che diventano preziose materie prime seguendo appunto i principi della bioeconomia circolare. Ad esempio, con gli scarti delle mele per i succhi prodotti a Bolzano, si fabbricano milioni di metri quadri di Pellemela, un tessuto oggi esportato in tutto il mondo per fare divani, borse, scarpe. Ma l’esempio più comune di bioraffineria multifunzionale in azienda agricola è quello del biogas: gli scarti di produzione, integrati da piccole quantità di materia proveniente da colture dedicate, si mettono in un digestore anaerobico, e da lì si ottengono calore, energia, biocarburanti. Non solo: il residuo della produzione di biogas, cioè il digestato, ha un grandissimo valore come ammendante e fertilizzante se opportunamente trattato. Si realizza così un ciclo perfettamente chiuso. Il secondo ruolo è quello di assistenza all’azienda agricola nella produzione di mezzi tecnici più sostenibili, come fertilizzanti e fumiganti naturali, per difendere le colture da agenti patogeni. Ormai le aziende agricole opportunamente dotate si possono fare da sole il fitofarmaco, con un risparmio enorme. E sono sicure di avere un prodotto che non inquina e non intossica gli operatori». Le bioraffinerie sono dunque un’opportunità di sviluppo e reddito per le aziende agricole. Ma non c’è il rischio di una competizione con le colture a scopo alimentare? «No, questa è solo una polemica demagogica. L’equilibrio, ovviamente, sta nella modalità con cui si lavora. Ma è un fatto che le aziende agricole non si reggano più soltanto con la produzione alimentare: se vogliamo il cibo, dobbiamo anche fare in modo che gli agricoltori si mantengano e guadagnino. A questo serve la diversificazione funzionale delle attività agricole. Distinguere la bioeconomia dal settore food, come si continua a fare in Italia, è pura follia. Quando si utilizza un sottoprodotto per fare, ad esempio, bioplastica, in realtà si usa solo una parte della coltura. Il prodotto principale andrà comunque alla filiera del cibo, ma tutti gli altri si possono sfruttare per aumentare il reddito e produrre beni che in molti casi hanno sul mercato un valore maggiore rispetto ai generi alimentari. La storia della competizione è vecchia ed è esplosa in riferimento al modello che si era sviluppato in Germania, con biogas prodotto da coltivazioni di mais. Il problema denunciato allora era un mercato dei biocarburanti drogato dagli incentivi, che ne rendevano i prodotti troppo remunerativi rispetto al cibo. Oggi però, in Italia, i circa 1.700 impianti agricoli a biogas in funzione utilizzano molto meno le colture dedicate e comunque lo fanno in maniera integrata, alternandole a quelle tradizionali. Il punto è che un’azienda agricola, se ben gestita, non sostituisce una filiera con un’altra, ma utilizza al massimo le sue produzioni». Il segreto è dunque l’integrazione di diverse anime? «Esatto. E non è un ruolo facile, considerato anche che l’età degli imprenditori agricoli italiani è molto alta. Ora si punta sul ricambio generazionale e sulla formazione professionale per poter mandare avanti impianti sempre più complessi. Ma il mondo agricolo ormai è molto evoluto e abbiamo esempi di territori davvero all’avanguardia, come la Puglia o la Sicilia, dove da poco abbiamo istituito un tavolo della chimica verde per le tantissime imprese della regione». Parlavamo del brevetto di Pellemela. Qualche altro esempio di eccellenza italiana? «Restando in Sicilia, nel catanese si coltivano i fichi d’india. Oltre ai frutti, si è cominciato a sfruttare la cosiddetta “pala” o cladodio, per le eccezionali proprietà disinfettanti, cicatrizzanti e antibatteriche, superiori anche a quelle dell’aloe. Dai resti delle potature si ricava un gel richiestissimo per la nutraceutica e la farmaceutica. Si è agli inizi, ma le potenzialità sono straordinarie. Spostandosi al settore ittico, dalla chitina dei crostacei l’università di Pisa ha ricavato un filo utilizzato per le suture interne in chirurgia. E poi naturalmente ci sono le bioplastiche, che si fabbricano a partire da varie fonti zuccherine, come gli scarti della barbabietola, del cardo o della canna da zucchero». A proposito di bioplastiche, cosa risponde agli esperimenti che, periodicamente, ne mettono in dubbio l’effettiva biodegradabilità? Ultimo esempio, quello del team di Richard Thompson dell’Università di Plymouth. «Esistono plastiche bio-based che sono biodegradabili e altre che non lo sono. E la compostabilità di un imballaggio è garantita da un sistema di certificazione internazionale, gestito da organismi Calzature Veerah realizzate in appleskin™ ipoallergenico e traspirante44 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 indipendenti e codificato nella norma EN13432. Chiarito questo, è ovvio che nessun rifiuto, biodegradabile o meno, vada abbandonato nell’ambiente. Certo, se si mangia una mela, il torsolo si può anche lasciare nel terreno. Ma se i torsoli diventano migliaia abbandonati nello stesso posto, allora anche quelli creano un danno. Ci sono luoghi deputati alla raccolta dei rifiuti, e lì vanno messi. Punto». Quali ostacoli ci sono ancora da rimuovere per un pieno sviluppo? «Il primo sicuramente è la mancanza di una fiscalità adeguata e questa è una battaglia portata avanti ormai da anni dalla nostra associazione. Il fatto di utilizzare un prodotto bio-based fa sì che ci siano varie esternalità positive o che si evitino esternalità negative per l’uomo e l’ambiente: ci si ammala meno, si inquina meno. Insomma, tutti costi sociali ed economici evitati per lo Stato. Eppure i prodotti bio-based hanno la stessa Iva dei prodotti che vanno a sostituire. Se fossero riconosciuti i vantaggi economici reali dati dalle esternalità positive si potrebbe avere un’Iva ridotta, e questo già renderebbe più competitivo il prodotto. Poi ci sono le problematiche normative. Ancora adesso, a seconda dei soggetti della pubblica amministrazione con cui ci si rapporta (Asl, Forestale, Arpa), cambia la suddivisione fra sottoprodotti e rifiuti. Per chi lavora nella chimica verde è una questione fondamentale: se un materiale finisce nella categoria “rifiuto”, si è obbligati a spostarne la lavorazione in area industriale e a fare un serie di certificazioni, mentre un sottoprodotto si può tranquillamente lavorare in ambiente agricolo. La distinzione tra le due categorie è davvero una delle faccende più complicate da risolvere. Bisogna anche dire che la creatività propria di noi italiani fa sì che la ricerca nel settore vada avanti molto velocemente. E la legislazione non riesce a tenere il passo». È una questione di diverse velocità allora? «Sì, ma non solo. Il mondo della petrolchimica fa comunque una gran paura ed è ancora molto più forte e influente di quello della bioeconomia. Eppure stiamo parlando di un fiore all’occhiello per l’Italia, un settore che esporta brevetti in tutto il mondo. Non servono incentivi a pioggia, basterebbe un giusto riconoscimento a dare una spinta decisiva e chimica verde e bioeconomia sarebbero poi in grado di correre sulle proprie gambe».. ▲ La poltrona AMVC per musico terapia rivestita in Appleskin™ poichè altamente microporosa per facilitare il passaggio delle onde sonore zona lombare, sacrale e gambe A destra, scatole e bicchieri isotermici in biofoam™ per alimenti come gelato, mozzarelle, pesce ecc e bicchieri per bevande calde e fredde Quanto vale il settore della bioeconomia oggi in Italia? «L’ultimo report di Intesa San Paolo, uscito quest’anno, parla di un settore con due milioni di occupati che vale più del 10% del Pil italiano. Siamo in piena ascesa e già il fatto che le banche se ne interessino significa che è un settore in cui investire. Per i posti di lavoro, le prospettive di sviluppo sono enormi: agronomi, geologi, tecnici, ingegneri chimici ed energetici, naturalisti». Impianto di produzione biogas e compost da biomassa45 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 L'AMBIENTE IN NUMERI / A cura di Sergio Ferraris La plastica in numeri La plastica ha dei numeri impressionanti. Vediamo la produzio- ne. Nel 1950 nel mondo furono prodotte 2 milioni di tonnella- te di plastica (0,8 in Europa) che divennero 245 (60 in Europa) nel 2008 e 348 nel 2017 (64 in Europa) . La plastica al contrario di ciò che si pensa utilizza solo il 4% di tutto il petrolio estratto. Dal 1950 al 2017 sono state prodotte cumulativamente 8,3 mi- liardi di tonnellate di plastica e nel 2017 il 54% della plastica è finito in discarica, il 25% incenerito e il 21% riciclato. Mentre sono 6 le categorie di plastica riciclabile (nella la categoria 7 ci sono tutte le altre). Per quanto riguarda i rifiuti procapite al giorno di plastica in te- sta c'è la Germania, seguita dagli Stati Uniti. Il totale della pla- stica che galleggia sulla superficie marina è di 268.950 tonnella- te, mentre la grandezza dell'isola di plastica nel Nord Pacifico è di 1,6 milioni di chilometri quadrati, tre volte la Spagna ed è composta da 1,8 miliardi di pezzi di plastica che pesano 79.000 tonnellate, il 29% del totale presente sulla superficie di tutti ma- ri. Ma se calcoliamo la densità della plastica (quantità totale/su- perficie) ci accorgiamo che il Mar Mediterraneo è il più inqui- nato con 9.260 tonnellate per milioni di km quadri. L'ingestione della plastica è stata documentata in ben 233 specie marine, tra le quali il 100% delle tartarughe e il 92% delle specie dei pesci. Rifiuti in plastica generati al giorno procapite 2017. Kg/ giorno procapite Germania0,48 Stati Uniti 0,34 Spagna 0,28 Norvegia 0,28 Uk 0,21 Francia 0,19 Italia0,13 Cina0,12 Australia0,11 Svezia0,05 India0,01 "4 per cento è il tasso di petrolio usato per fare la plastica" Produzione di plastica per anno (milioni di tonnellate) AnnoMondoEuropa 19502 0,8 200824560 201734864 Plastica che galleggia sulla superficie marina (tonnellate) Oceano pacifico117.450 Oceano indiano59.100 Oceano Atlantico69.250 Mar Mediterraneo23.150 Totale 268.950 Densità della plastica cheW galleggia sulla superficie marina (ton/mln di km quadri) Oceano pacifico725,8 Oceano indiano837,5 Oceano Atlantico650,2 Mar Mediterraneo9260,0 Ingestione della plastica nelle specie animali (%)* Tartarughe100% Pesci92% Uccelli marini59% Balene59% Foche35% *Riscontrata in 233 specie Il destino dei rifiuti in della plastica nel Mondo Discarica54% Inceneritori25% Riciclo21% (Dati 2017) "4 per cento è il tasso di petrolio usato per fare la plastica" Produzione di plastica per anno (milioni di tonnellate) AnnoMondoEuropa 19502 0,8 200824560 20173486446 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Partiamo dal divieto dell'usa e getta Per risolvere il problema della plastica serve un'attenzione politica IL PUNTO / A cura di G.B. Zorzoli L a Direttiva europea concer- nente il divieto della plastica “usa e getta” rappresenta sol- tanto il punto di partenza di una battaglia ancora lunga e difficile: il Focus sulla plastica non lascia alcun dubbio in proposito. Per quanto riguarda il futuro, la Direttiva, a parte i tempi di recepimento a livello dei singoli Stati membri, in più di un caso per gli adempimenti prevede scadenze che li vedranno pienamente realizzati tra un decennio. Ad esempio, solo dopo il 2025 le bottiglie per bevande dovranno contenere il 25% di plastica riciclata, ma come valore medio per ogni stato, non per il singolo produttore, mentre sarà necessario attendere il 2030 perché il materiale riciclato arrivi in tutte le bottiglie al 30%. Analogamente, nel 2025 andrà raggiunta la raccolta organizzata del 77% delle bottiglie monouso, percentuale destinata a salire al 90% soltanto nel 2029. In più, potrebbero verificarsi ritardi o interpretazioni restrittive della nuova normativa, derivanti dall’opposizione al provvedimento da parte dei produttori di beni realizzati con polimeri plastici da petrolio e, in Italia, si dovrà soprattutto fare i conti con la diffusa presenza dell’ecomafia: una sfida di cui è difficile prevedere tempi e risultati. Va inoltre sottolineato che solo la partecipazione consapevole dei cittadini potrà garantire la completa messa in pratica delle norme sulle plastiche; consapevolezza destinata a crescere più rapidamente, se anche le Direttive europee sull’economia circolare riusciranno a modificare in misura significativa l’attuale linearità del ciclo produzione-consumo. Infatti, la chiusura del ciclo è primariamente garantita offrendo al consumatore un servizio e non la vendita di un prodotto, quindi abituandolo alla sua restituzione a fine utilizzo. Infine, la Direttiva riguarda soltanto l’Europa e non è limitazione di poco conto. Anche sotto questo profilo siamo soltanto all’inizio. L’Unione europea, forte della decisione presa, dovrà impegnarsi in tutte le sedi internazionali, perché impegni analoghi vengano assunti anche altrove, in questo aiutata dalla chiusura dei confini cinesi alla montagna di plastica proveniente dai paesi più sviluppati, cui più recentemente si sono aggiunti respingimenti da parte della Malaysia e delle Filippine. Vi è poi da risolvere il problema del pregresso. Le preziose statistiche fornite da Sergio Ferraris ci informano che nel 2017 a fine uso il 25% della plastica è stato bruciato negli inceneritori e il 21% è stato riciclato. mentre il restante 54% è finito in discarica. Grazie all’attenzione che vi hanno dedicato i media, oggi è sufficientemente noto quale sia uno dei siti privilegiati per lo smaltimento, ma non altrettanto conosciuta è la spaventosa dimensione assunta dal fenomeno: attualmente sono circa 270.000 le tonnellate di plastica che galleggiano sulle acque marine e 233 le specie animali che le ingeriscono. Quanta volontà politica, quanti investimenti, quanto tempo saranno necessari per porre fine a questo scempio? Non meno importante, e decisivo, sarà l’impegno nella ricerca e nell’innovazione per la messa a punto di nuovi bioprodotti, in grado di sostituire le plastiche da petrolio e quelle biologiche non riciclabili. In questo caso a remare contro saranno i petrolieri. Non inganni che soltanto il 4 % del barile è destinato a fungere da materia prima per la produzione di plastiche. Una drastica diminuzione di questa domanda obbligherebbe a costose riconversioni del processo di raffinazione, che gli interessanti faranno di tutto per evitare. Unica certezza, non potremo dormire sugli allori.L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 4 Il clima cambia l'orto È necessario adattare pratiche e metodologie del proprio orto ai cambiamenti climatici LA RIVOLUZIONE DELL'ORTO / di Andrea Battiata* temperatura, che diventa più fresca man mano che ci si sposta verso i poli e lontano dall’Equatore. Una regola precisa è difficile da ottenere, a causa del numero di fattori di interazione, ma in generale uno spostamento di 300 km equivale a una variazione di circa 1°C della temperatura media. Ciò significa che a causa del riscalda- mento nel corso dell’ultimo secolo ci sono molte zone agricole, nel nostro emisfero, che hanno una temperatura che prima era 250 – 300 km più a sud. Con le attuali stime sui cambiamenti climatici, questi cambiamenti sono de- stinati a continuare e ad accelerare. Il clima mutevole e l’orto I coltivatori possono, in genere, mi- gliorare alcune delle influenze più estreme del riscaldamento globale. Ad esempio, possono fornire acqua sup- plementare o ombra extra nei giorni estremamente caldi. Tali strategie pos- sono consentire alle piante di prospe- rare ben al di fuori del loro involucro climatico naturale, e sono state pratica- te da coltivatori in tutto il mondo per secoli. Con l’aumento delle bollette dell’acqua dovuto ai costi dell’energia in crescita, e la necessità di diventare più sostenibili, dovremmo pensare più attentamente ai semi e alle piantine che utilizziamo nei nostri orti. Lo sce- nario climatico, di cui abbiamo parlato prima, sta cambiando rapidamente. Avremo bisogno di iniziare a utilizzare semi più adatti a far fronte a condizio- ni più calde e, in molti casi, più asciut- te. In genere, queste piante hanno fo- glie più sottili o meno pori. Ciò richie- de maggiori informazioni sulla posi- zione e le proprietà dell’origine dei se- mi e una corrispondenza più dettaglia- ta delle diverse fonti di semi alla posi- zione dei coltivatori. Poiché il clima continua a cambiare, avremo anche bisogno di introdurre specie non precedentemente coltivate, utilizzando quelle che si adattano me- glio alle condizioni climatiche sempre più mutevoli. Sono ora disponibili nu- merosi strumenti per aiutare a guidare la raccolta delle sementi e la selezione delle specie per la semina. Queste ri- sorse sono spesso rivolte a un pubblico esperto o scientifico e devono essere re- se più accessibili per guidare i principi della coltivazione e la selezione delle piante per le persone comuni. L’infor- mazione deve essere intuitiva e facile da capire. Per esempio, dovremmo produrre elenchi di specie che proba- bilmente diminuiranno o trarranno beneficio nelle future condizioni cli- matiche nelle principali aree di coltiva- zione, insieme alla ricerca di future aree adatte ad alcune delle nostre spe- cie orticole più popolari. Tutte le atti- vità agricole devono tenere conto del clima mutevole e della necessità di cambiare le pratiche per stare al passo con il clima. ▲ D al 1880, la tempera- tura media globale è aumentata di 0,8°C, con grandi cambia- menti nella ridistribuzione delle precipitazioni. Con queste mutevo- li condizioni, gli agricoltori dovran- no modificare il modo in cui coltiva- no. Poiché il clima determina in lar- ga misura la distribuzione di piante e animali - il loro “involucro climati- co” - un rapido cambiamento in queste condizioni costringe le pian- te e gli animali selvatici ad adattarsi, migrare o morire. I coltivatori af- frontano le stesse condizioni mute- voli. Se guardiamo le indicazioni poste in un pacchetto di semi, c’è spesso una mappa che mostra le re- gioni in cui le piante derivate da quei semi prosperano meglio. Ma con un clima in rapida evoluzione, queste regioni stanno cambiando. In futuro dovremo essere più attenti a ciò che pianifichiamo nelle colti- vazioni dell’orto. Ciò richiederà in- formazioni più dinamiche e racco- mandazioni per i coltivatori. Clima mutevole I cambiamenti di altitudine influi- scono significativamente sulla temperatura. Mentre si sale su una collina o montagna, per ogni 100 metri di altitudine, la temperatura scende di una media di 0,8°C. I cambiamenti di latitudine influi- scono ovviamente anche sulla *Agronomo Orto bioattivoNext >