< Previous48 TERRITORI / di Cecilia Bergamasco I l 15 marzo 2019 è stato un grande giorno per l’Italia e il mondo intero. Il pri- mo sciopero globale per il clima, promosso da Greta Thunberg e dal movimen- to Fridays for Future, ha coinvolto 123 Paesi e oltre 2mila città. L’Italia, stra- namente, si è distinta per partecipazione con ben 235 raduni sparsi per la pe- nisola, addirittura più che in Francia, Germania, Stati Uniti, Svezia e Regno Unito. Tra le oltre duecento città c’era anche Bergamo con cinquemila studenti scesi in piaz- za, non pochi per gli standard bergamaschi, e molte scuole coinvolte in un lavoro di sensibilizzazione dei ragazzi sul tema dei cambiamenti climatici, o forse meglio dire crisi climatica, perché è di questo che si tratta. Una settimana di lavori e iniziative cul- minata con la giornata di venerdì che è servita per “svegliare” la città su una questione tanto urgente quanto ignorata fino ad ora. Se è relativamente facile che i ragazzi delle scuole superiori scioperino, non è altret- tanto facile e men che meno probabile che anche gli studenti delle scuole primarie e secondarie decidano di non andare a scuola per manifestare, soprattutto perché im- plicherebbe un’astensione dal lavoro anche dei genitori. Così, una sera mentre la ra- dio stava annunciando la notizia che da lì a meno di un mese ci sarebbe stato lo scio- pero per il clima, è nata l’idea di far entrare il “clima” a scuola. La forza della rete Il segreto del successo dell’iniziativa è stato condividere l’idea e farla diventare un progetto comune per la città, coinvolgendo la rete dei comitati e associazioni ge- nitori di Bergamo e provincia, che hanno creato il progetto e lo hanno proposto alle scuole con una “spinta dal basso”. Sono stati realizzati materiali didattici per gli studenti e gli insegnati e una brochure che grazie allo sponsor Ress Solar il 15 marzo è stata distribuita a 18mila studenti degli Istituti Comprensivi (scuole pri- marie e secondarie di primo grado) di Bergamo. Poi c’è stato il coinvolgimento dell’assessore all’istruzione Loredana Poli che ha proposto il progetto a tutti i dirigenti e ha sostenuto operativamente i genitori. In fine l’adesione de L’Eco di Bergamo, il quotidiano locale, che nelle settimane pre- cedenti al 15 marzo ha realizzato una serie di articoli per culminare con uno spe- ciale di 4 pagine sui cambiamenti climatici dedicato ai giovani, e distribuito in Buon clima a Bergamo A Bergamo, in occasione del primo sciopero globale per il clima, hanno fatto sentire la loro voce non solo gli studenti ma anche i genitori L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 201949 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 tutte le classi grazie al supporto di a2a (fornitore di energia) e di Ascom. La radio e il tam tam cittadino supportato dai social media hanno fatto il resto. In quel ve- nerdì 15 marzo centinaia e centinaia di giovani studenti con l’aiuto degli insenan- ti hanno prodotto lavori per chiedere al mondo di iniziare ad agire contro la crisi climatica. Cartelloni, racconti, disegni e perfino improvvisati flash mob di quar- tiere hanno colorato la città. Incontri ogni venerdì per chiedere che venga dichiarata l’emergenza climatica Intanto che si preparavano le attività nelle scuole, i ragazzi di Fridays for Future Bergamo hanno organizzato la grande manifestazione del primo sciopero per il clima e poi hanno fatto il bis il 24 maggio scorso portando a Bergamo rappresen- tanti dei popoli indigeni che hanno chiesto assieme agli studenti di proteggere questo Pianeta. «Ma non ci siamo fermati al 15 marzo - spiega Francesco Perini uno dei ragazzi di Fridays for Future Bergamo - ogni venerdì ci troviamo davanti al Comune per un sit-in, idealmente insieme a ragazzi e ragazze di altre città, per chiedere che Bergamo dichiari l’emergenza climatica, concetto che abbiamo riba- dito anche nel secondo sciopero, il 24 maggio”. I ragazzi stanno costruendo la loro rete, stringendo alleanze per far sentire in ogni occasione la loro voce. “Ci stiamo muovendo nel territorio, incontrando enti e istituzioni: l’11 maggio abbiamo partecipato alla Giornata della Pace del Sermig, il weekend dopo al Festival dell’Ambiente, poi allo Spirito del Pianeta, dove abbiamo incontrato gruppi indi- geni che hanno partecipato al secondo sciopero. Crediamo che le nostre azioni di protesta siano importanti per ‘risvegliare le coscienze’, facendo capire che siamo in una crisi di proporzioni enormi». Un tavolo cittadino dedicato all’ambiente Il percorso non si è esaurito, ora continua anche con un Tavolo Ambiente pro- mosso dai Comitati e associazioni genitori e dai ragazzi di Fridays for Future Ber- gamo. Un tavolo a cui sono stati invitati a partecipare associazioni ambientaliste, imprese, Confindustria, associazione artigiani e associazione commercianti, la Curia, Fondazione Bergamasca e altri soggetti che operano sul territorio. Obiet- tivo è creare sinergia tra le diverse iniziative legate all’ambiente e fare massa critica per chiedere che anche a Bergamo venga proclamata l’emergenza climatica, ma soprattutto perché si attuino politiche e progetti per contrastare i cambiamenti cimatici e fare di Bergamo una città resiliente. Se nelle recenti elezioni ammini- strative il tema ambientale è entrato fortemente nella campagna, forse è anche grazie al lavoro di sensibilizzazione fatto in questi mesi. ▲ Ragazze e ragazzi di alcune scuole superiori di Bergamo e provincia che hanno cominciato in modo autonomo a organizzare, attraverso i social media e il passaparola, lo sciopero del 15 marzo e del 24 maggio. Ma non solo, oltre agli scioperi il loro impegno continua ogni venerdì quando si ritrovano dopo la scuola per pianificare diverse attività, come la trashtag con la simbolica consegna dei rifiuti al Comune, riunioni e iniziative nelle singole scuole per incrementare la raccolta differenziata, promuovere l’uso della bicicletta, abbandonare l’uso della plastica monouso e l’acqua in bottiglia di plastica. “Stiamo imparando ad avere uno spirito critico, ad andare a fondo nelle cose, anche oltre l’impegno ambientale, partendo da noi stessi per cambiare il mondo”, si legge nel loro sito internet. Chi sono i ragazzi FFF Bergamo Agricoltura bene comune Frutta e verdura dalle comunità che supportano l’agricoltura, una scelta consapevole PRATICHE E PRATICI / a cura di Giambattista Marchetto È possibile avere cibo sano e di qualità (a costi e prezzi equi) anche nei centri urbani? Sì, se contadini e abitanti si alle- ano creando reti locali solidali, fiducia- rie, senza intermediazioni inutili e costo- se, decidendo assieme come, cosa, quan- to coltivare, trasformare e consumare. «Si chiamano politiche locali del cibo – spiega Paolo Cacciari - Coinvolgono le famiglie, le mense scolastiche e azienda- li, le cucine popolari, i catering, la risto- razione collettiva assieme ai produttori agricoli locali e agli enti e alle istituzioni pubbliche. Sono gruppi e comunità ali- mentari di sostegno all’agricoltura. Cre- ano distretti, filiere, reti di economia so- (Articolo redatto con il contributo di Paolo Cacciari, Domenico Maffeo, Marina Salvato, Doriana Giglioli) lidale, riuniti nei Council’s Food che ela- borano Council Plan. Produttori e con- sumatori condividono rischi e benefici, adeguano - rispettivamente - metodi di coltivazione e stili di consumo in modo da liberarsi progressivamente dal giogo della grande distribuzione organizzata che sempre di più decide cosa mangia- mo, a quale prezzo e secondo quali siste- mi produttivi industrializzati». L’esperienza nella Marca Nell’area tra il Sile e il Marzenego, tra Mestre e Treviso, vi sono esperienze im- portanti sia sul versante dell’agroecolo- gia, sia su quello del consumo consape- vole. Esistono gruppi di acquisto, merca- tini contadini, cooperative di produtto- ri, fattorie didattiche, gruppi di volonta- ri che recuperano le eccedenze alimenta- ri. Assieme alle amministrazioni comu- nali di Preganziol e di Mogliano si è cre- ato un tavolo di lavoro per dare corpo all’idea dell’autonomia e della sovranità alimentare. «Nel dicembre del 2016 de- cidiamo di partire per la fattoria didatti- ca ARVAIA a Borgo Panigale, vicino a Bologna, per capire come funziona una Comunità di Supporto all’Agricoltura - racconta Domenico Maffeo, architetto con vocazione contadina - Io ero già pro- motore di un Distretto di Economia So- lidale locale (Oltreconfin) che aveva vin- to dei riconoscimenti alla Fiera 4 passi di L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 201951 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Treviso e che promuoveva anche politi- che del cibo verso produttori immigra- ti». Da quella visita è nata la prima gran- de assemblea del trevigiano e veneziano che ha strutturato il piano culturale, ol- tre al budget che sarebbe servito per l’a- sta e ai gruppi di lavoro. Distribuzione equa del raccolto «La redistribuzione del raccolto funzio- na con una modalità particolare, ancora inedita nel nostro paese - prosegue Maf- feo - I soci finanziano con una quota an- nuale la produzione di ortaggi, riceven- do settimanalmente una parte del rac- colto, ovvero ortaggi freschi, stagionali, rigorosamente biologici, che vengono suddivisi in parti uguali tra i soci che par- tecipano al progetto». All’inizio di ogni anno viene calcolato il budget delle spese necessarie alla produzione che viene di- viso fra i soci partecipanti. Si ottiene così la quota media consigliata: se tutti ver- sassero la quota media consigliata, il budget sarebbe coperto. Ma durante l’incontro-asta, i soci hanno la possibili- tà di offrire di più, o di meno, se non rie- scono a sostenere la spesa della quota media. Le offerte si compensano fino al- la copertura delle spese: a fronte della quota offerta ciascun socio riceve la stes- sa parte di verdure, secondo un meccani- smo di solidarietà interna che vuol ren- dere accessibile a tutti le buone verdure biologiche. La parte di verdura che si ri- ceve a fronte della quota varia a seconda delle stagioni e dell’andamento dei rac- colti. Mediamente corrisponde al consu- mo di due/tre persone a settimana. Esperienze consapevole «Dopo tanti anni di lotte ambientaliste, dopo tanto lavoro per praticare la non- violenza partendo da me, dalle scelte di vita e dall’uso corretto, appunto nonvio- lento, della terra per salvaguardare la biodiversità sono approdata nella CSA Veneto - testimonia Doriana Giglioli - Anni di partecipazione a gruppi della Decrescita, a creare giardini naturali e orti sinergici, a costruire la mia casa in base ai dettami della bioedilizia con tan- to di pannelli fotovoltaici per produrmi l’energia necessaria al consumo domesti- co, a valorizzare nel territorio realtà agri- cole che coltivano cibo non avvelenato vendendo i loro prodotti a noi cittadini riuniti nei GAS, hanno fatto sì che di- ventassi davvero co-produttrice di ciò che mangio. Così gli ortaggi che settima- nalmente porto a casa hanno la bella fac- cia di Domenico, che li produce e che da architetto è diventato contadino per do- narci un mondo migliore, hanno la fac- cia di Francesco, giovane assistente uni- versitario che durante le manifestazioni del Friday for Future gira per le calli di Venezia ancora orgogliosamente sporco di terra. Anche la terra ha un nome e si chiama biofattoria Rio Selva che produ- ce gli ortaggi di cui mi cibo, si chiama il campo di Leonardo nel quale abbiamo seminato assieme il mais cinquantino che poi abbiamo sgranato una sera du- rante la nostra mensile riunione del gde (gruppo di elaborazione) della CSA e nelle nostre case con i familiari, confe- rendo il tutto al mulino. Il risultato è sta- to la polenta più buona che abbia mai mangiato perché sapeva davvero di mais, ma anche delle nostre mani e delle no- stre risate». Ma cosa significa partecipare a un CSA con i cambiamenti climatici in corso? «Significa sapere che troverai più insala- ta che zucchine o fagiolini o finocchi nella tua consegna settimanale. - spiega Marina Salvato - Guardi la pioggia che per giorni non smette di cadere e pensi alle piantine che non potranno essere messe a dimora e ti chiedi cosa succederà nel pieno dell’estate, quando dovresti avere una consegna strapiena di ogni ben di Dio. La mia quota di ortaggi arriva in ceste al punto di raccolta e ce la dividia- mo. Intanto chiacchieriamo e ci scam- biamo ricette. A casa ripulisco i grandi cespi di insalata croccante e la sistemo in contenitori adatti per la settimana. An- che questo è essere vicini alla terra, man- tenere fresco e pulito il prodot to che è costato sudore al contadino. Lavo e asciugo il resto della verdura e la ripongo nei cassetti del frigo, sciolta e pronta all’uso. Niente imballi di pla- stica né di alluminio». ▲ www.csaveneto.it www.arvaia.itL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 52 Ritessere il tessuto Il passaggio dal rifiuto tessile al nuovo tessuto è uno dei punti cardine del riciclo. Ecco lo stato dell’arte CONSAPEVOLI / di Silvia Zamboni D ieci milioni di tonnellate: questa la massa di mate- riali tessili impiegati per confezionare abbiglia- mento e componenti d’arredamento che nei 28 Paesi dell’UE. Oltre tre milioni di tonnellate di fibre finiscono invece nei rifiuti, uno spreco che pesa su ambiente e famiglie. Trattare i tessuti e l’abbiglia- mento dismessi per rigenerarli e re-im- metterli nel ciclo produttivo non è sem- plice. Per contribuire a mettere l’indu- stria tessile su binari sostenibili dell’eco- nomia circolare con l’eco-design e lo svi-L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 53 luppo del recupero, dai rifiuti tessili, di nuove fibre di qualità, la Ue ha finanzia- to con 8 milioni di euro il progetto Trash-2-Cash. 17 i partner e 10 i paesi coinvolti: Danimarca, Finlandia, Ger- mania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia. Tra le figure professionali in campo: ricer- catori, eco-designer, aziende fornitrici di materie prime e di prodotti tessili fi- niti. «Al momento non disponiamo di tecnologie industriali per estrarre da questa montagna di rifiuti tessili, su lar- ga scala ed economicamente, fibre di qualità. Le pratiche odierne rispondo- no al downcycling più che all’upcycling, poichè si ricavano materiali di qualità inferiore rispetto a quella originaria. - spiega a “L’Ecofuturo” Christian Tubi- to, Project Manager di Material Conne- Xion Italia - Mentre esistono prodotti e modalità per ridurre l’impatto ambien- tale di fasi intermedie della lavorazione dei tessuti manca l’ultimo anello per ri- generare i rifiuti tessili recuperati trami- te la raccolta differenziata restituendo loro la funzione originaria di fibre di qualità». Per la ricerca di nuove materie prime i segnali sono invece positivi: «Dalla cel- lulosa sostenibile è possibile ricavare fi- bre, qualitativamente superiori all’u- suale viscosa, tramite innovative biotec- nologie che abbattono l’impatto am- bientale e sanitario dei processi produt- tivi», puntualizza Tubito. In questo contesto di un’economia circolare an- cora ai blocchi di partenza, il progetto Trash-2-Cash ha implementato tre tec- nologie di rigenerazione dei tessuti. La prima è un processo da inventare di sa- na pianta: la de-polimerizzazione e re- polimerizzazione del poliestere conte- nuto nelle fibre miste cotone-polieste- re. Per farlo «è stato testato un innova- tivo catalizzatore che scioglie il polie- stere contenuto nel tessuto e lo scom- pone in monomeri che vengono poi re- polimerizzati. Un’invenzione, brevet- tata e già ceduta a un’impresa per lo sfruttamento industriale», puntualizza il manager di Material ConneXion. La seconda sperimentazione ha applica- to ai rifiuti tessili un procedimento (Ioncell-F Technology) già in uso sulla polpa di legno, al fine di rigenerare le fi- bre cellulosiche dei rifiuti tessili. Un processo che non arriverà velocemente sul mercato a causa delle impurità che contengono i tessuti di seconda mano, come tinture e residui dei detersivi, im- purità che ostacolano il processo. I test hanno dimostrato che se si sa di che co- sa sono fatti i tessuti e con che cosa sono stati colorati, è possibile applicare la tecnologia. Ma il processo si complica se si deve trattare una tonnellata di ri- fiuti tessili da immettere di nuovo nel ciclo produttivo. Già la raccolta diffe- renziata, che in base alla direttiva euro- pea dovrà partire entro il 2025, pone dei problemi: «Nessuna azienda può farcela da sola, occorre mettere in piedi un sistema organizzato di raccolta. - sottolinea Tubito - Avviata la raccolta, c’è il tema della differenziazione a valle (sorting), che oggi è quasi esclusiva- mente manuale, con le (poche) macchi- ne in uso che, quando analizzano i tes- suti compositi, riconoscono solo la fi- bra dello strato più superficiale. Per ta- cere delle etichette: totalmente inaffi- dabili», conclude. Terzo filone di ricerca di Trash-2-Cash: confezionare abbigliamento sportivo con Pet riciclato, dal quale si possa (ri) ottenere materiale plastico di alta quali- tà da impiegare negli interni delle auto, invertendo così il percorso usuale che vede tali capi post-consumer finire in discarica. Sei i prototipi nati dalla colla- borazione tra i partner. Una maglietta in tessuto idrorepellente ricavata da co- tone rigenerato ideata dalla svedese Aalto University. Una tutina per bam- bino ottenuta da fibre di cellulosa non provenienti da rifiuti tessili bensì create come tali in laboratorio, realizzata dalla finlandese Reima, che ha prodotto an- che un paio di jeans dal blend rigenera- to di poliestere e cotone, e una giacca traspirante antipioggia da plastica rici- clata, a sua volta riciclabile. L’azienda toscana Grado Zero Innovation ha pro- dotto una camicia a impatto (quasi) 0 usando cotone rigenerato non decolo- rato. Alla spagnola Maier si deve infine la realizzazione di materiale da interni per l’industria automotive, di buona qualità estetica grazie al trattamento la- ser. Quando arriveranno sul mercato re- ale? Difficile fare previsioni ▲ Cosa possiamo fare Mentre aspettiamo che la tec- nologia renda disponibile a livello di massa il riciclo delle fibre tessili, qualcosa possia- mo fare anche noi. Prima di tutto scegliamo tessuti natu- rali e non sintetici, prove- nienti da coltivazioni soste- nibili e con colorazioni non aggressive e per fare ciò ci possono aiutare certificazio- ni come Gots per il cotone bio e NewMerino per la lana etica. A ogni lavaggio le fibre sintetiche rilasciano nell’am- biente delle microplastiche che entrano nella catena ali- mentare. Verificare che la so- stenibilità dell’abito sia an- che sociale e non solo am- bientale. Un ottimo riferi- mento è la campagna “Clean Clothes Campaign” che mo- nitora le condizioni di lavoro dei lavoratori del settore. Ci sono ottime linee di abbiglia- mento del commercio equo e solidale, non solo nelle botte- ghe del mondo ma ormai an- che in diversi canali della di- stribuzione tradizionale, ri- conoscibili dal marchio Fair Trade. Ma la vera cosa da fare è il riuso degli abiti, special- mente quelli dei bimbi che diventano obsoleti nel giro i pochi mesi, la cosa consente un allungamento della vita dei vestiti con vantaggi sia per l’ambiente, sia per il por- tafogli. E assieme al riuso c’è la manutenzione dei propri abiti. Sostituire un intero ve- stito per una cerniera rotta o una scucitura è un vero e pro- prio spreco. E la moda, direte voi? La moda è ciclica per cui basta aspettare un paio d’an- ni per vedere riproposte solu- zioni già adottate in prece- denza.La Casa Ecosicura Abbiamo inventato un sistema costruttivo che l’onda sismica Tel.0541.943647 legnosinergia.it legnosinergia@legnosinergia.it ...da un sogno di fratelli e Possibile.it55 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 F ra le tante eccellenze italiane conosciute in questi anni lun- go il percorso di EcoFuturo, ce n’è una che mi ha letteral- mente incantato e alla quale sono legato da profonda amicizia. Si tratta di D’orica Srl Società Benefit un’impresa che si trova a Nove, in pro- vincia di Vicenza. D’orica ha visto la luce nel 1989 grazie alla determinazione e al- le capacità imprenditoriali dei coniugi Giampietro Zonta e Daniela Raccanello. Di recente vi ha fatto ingresso anche la seconda generazione Zonta, rappresen- ESPERIENZE / di Michele Dotti La via della seta. Sogno, qualità, attenzione all’ambiente e alle relazioni Queste le chiavi del successo di D’orica. tata dal figlio Federico. La famiglia Zon- ta ha portato all’interno dell’azienda non soltanto le proprie competenze, ma anche la propria filosofia del lavoro e la propria visione del mondo, fondate sul profondo rispetto per l’ambiente e per le persone e sull’impegno per la costruzio- ne di un benessere sociale condiviso. È per questo che D’orica è anche una so- cietà benefit e, soprattutto, è una B Corp certificata (tale certificazione premia quelle imprese che operano autentica- mente in modo responsabile e sostenibi- le). Grazie a loro mi sono avvicinato a un mondo affascinante, quello della seta, e ho scoperto che quest’ultima – dopo avere rappresentato per secoli una straor- dinaria fonte di ricchezza e di occupazio- ne – era completamente scomparsa in Italia, da oltre cinquant’anni. Sarebbe interessante approfondire il per- ché di questa scomparsa e che cosa avesse significato, per il nostro Paese, perdere questo settore produttivo che a inizi ‘900 rappresentava addirittura un terzo dell’export italiano. Le risposte a queste domande richiederebbero uno spazio Etica56 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 che qui non abbiamo, ma c’è una cosa che possiamo dire con certezza: la seta 100% italiana finalmente è rinata e ciò è successo, sorprendentemente, grazie ad un’azienda orafa. L’origine del sogno Cosa c’entra D’orica con la rinascita del- la seta italiana? Tutto ha avuto inizio quasi cinque anni fa. Sul finire dell’estate del 2014, infatti, Daniela Raccanello (la creativa della famiglia) ebbe l’idea di da- re vita a dei gioielli mai visti prima, una sintesi di bellezza, eleganza e originalità italiane data dall’unione del più prezioso dei metalli, l’oro, con il più pregiato dei filati, la seta. Per Giampietro e Daniela la seta di questi gioielli – chiamati Treesure –doveva essere rigorosamente italiana, per continuare a valorizzare quel Made in Italy che da sempre caratterizza la filo- sofia produttiva dell’azienda. Fu in quel momento che scoprirono che la seta ita- liana non esisteva più da oltre cin- quant’anni. «Per dare vita a Treesure – ci spiega Giampietro Zonta – abbiamo dovuto ri- costruire l’intera filiera serica partendo da zero. Inizialmente ci avevano etichet- tato come dei folli, ma noi non volevamo arrenderci all’idea di dover acquistare dall’estero una materia prima che per se- coli e secoli aveva edificato il nostro Pae- se ed era stata una delle icone della crea- tività e dell’eccellenza italiane. Così pia- no piano la follia è divenuta realtà e la nostra azienda è diventata ancora più in- ternazionale e conosciuta». Nulla infatti è riuscito ad arrestare la loro volontà e il loro sogno e, rimboccatisi le maniche, hanno riorganizzato e riattiva- to l’intera filiera serica da zero (dalla pro- duzione del bozzolo alla trattura del fi- lo), nel territorio veneto, grazie alla col- laborazione con alcuni partner, con al- cune cooperative sociali e agricole che si occupano di gelsibachicoltura e grazie all’acquisto di una filandina degli anni Sessanta, l’unica esistente a tutt’oggi in Europa in grado di compiere il processo di trattura a titolo costante 20/22 denari (il ‘titolo’ è lo spessore del filo di seta). Questa seta 100% italiana è unica al mondo, non soltanto per la qualità ec- celsa (certificata dal Sistema delle Came- re di Commercio Italiane e dal Centro Tessile Serico di Como), ma anche per- ché ha permesso di riscoprire un know- how tecnico a rischio di oblio e un intero tesoro di tradizioni e valori, che hanno costruito il nostro Paese per secoli. Que- sta seta è prodotta mettendo al centro le persone e l’ambiente, secondo i più alti standard di trasparenza e sostenibilità. Ecco perché inizialmente è stata battez- zata con il nome di Seta Etica ® . Oggi pe- rò Seta Etica ha preso un nuovo nome, Filosofare (“Filo-so-fare”, la seta come una volta), e il progetto principe perse- guito con questo filato pregiato 100% Made in Italy è dato proprio dai gioielli Treesure. Dai gioielli alla moda «Treesure per noi è qualcosa di davvero emozionante - sottolinea Daniela Racca- nello - qualcosa che, grazie a creatività, tecnologia e a una combinazione esclusi- va di oro e seta, porta il DNA di D’orica e il DNA italiano in tutto il mondo». Ovviamente D’orica Srl Società Benefit, azienda certificata B Corp, per realizzare i propri gioielli, compresa la collezione Treesure, usa oro proveniente da filiera certificata (in Treesure, pertanto, tutto è certificato, sia la seta che l’oro), come ha attestato il processo di valutazione delle B Corp, conclusosi con successo il 14 febbraio 2019. Le meticolose e appro- fondite analisi B Corp documentano che l’oro di D’orica e di Treesure è trac- ciato ed eticamente certificato dal RJC (Responsible Jewellery Council) e dal LBMA Responsible Gold Guidance. D’orica ha dato vita anche a due abiti in- teramente realizzati con seta italiana do- po oltre cinquant’anni, collaborando con lo stilista Alberto Zambelli: un abi- to-tunica in seta e oro 18 carati dallo stile Decò, nel quale seta e oro si uniscono in una fusione di materie pure per una nuo -57 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2019 Attenzione all’ambiente… -45% Energia da fonti rinnovabili -25% Energia da impianti fotovoltaici -124t CO2 risparmiata grazie all’approvvigionamento da fonti rinnovabili (6.200 alberi) -57% Rifiuti riciclati ...e alle persone Un piccolo aneddoto è indicativo dell’attenzione alla qualità di vita dei lavoratori nell’impresa: quando - alcuni anni fa - si dovette trasferire l’azienda in un nuovo capannone, i titolari chiesero a tutti i dipendenti dove abitassero e una volta segnati i punti sulla mappa, andarono a calcolare il baricentro. È lì che ora sorge la nuova sede, nel punto più vicino possibile a casa, per tutti. Un cartello appeso all’interno dell’azienda. va filosofia dell’eleganza e del lusso italia- ni; un secondo abito essenziale ed ele- gante realizzato appositamente per unire armoniosamente tradizione, innovazio- ne e sostenibilità. Il primo abito ha go- duto di un’esposizione temporanea al museo Martes di Calvagese della Riviera (BS), dal 19 marzo al 10 dicembre 2018. Il secondo abito ha sfilato in due impor- tanti passerelle della moda internaziona- le, alla Milano Fashion Week FW 2018/19 e alla successiva Shenzhen Fashion Week. Cultura e arte Straordinario è anche l’impegno per l’e- ducazione e la cultura da parte di D’ori- ca. Sono tante le collaborazioni con il mondo della scuola e più in generale del- la formazione, a tutti i livelli, da quella con il Liceo Artistico Canova di Vicenza -in alternanza scuola-lavoro- per la di- pintura artistica dei pannelli fonoassor- benti per il soffitto della sala di produ- zione, alla testimonianza d’eccellenza all’Università Ca’ Foscari in occasione dello Strategy Innovation Forum, per parlare di responsabilità sociale d’impre- sa; o ancora alla collaborazione con la cantante lirica Jessica Pratt (testimonial d’eccezione dei gioielli); o a quella con il Teatro Donizetti come Ambasciatori Donizetti (durante il Festival Donizetti Opera 2018). Infine, la collezione Treesure ha ispirato la nascita di una produzione artistica as- solutamente inedita: la DNA Silk Mu- sic. Si tratta di un’opera scientifica e mu- sicale curata da Stuart Mitchell e Nicho- las Caposiena, realizzata partendo dal codice genetico del baco da seta e arran- giata sulla frequenza sonora dei 432 Hz, una frequenza sonora virtuosa in grado di apportare benefici all’equilibrio psi- cofisico dell’essere umano. Un lavoro unico al mondo, un messag- gio di incontro e di comunione tra il “ve- ro” della scienza e il “bello” dell’arte, le- gati insieme da quel filo di seta che espri- me perfettamente il legame alle fonda- menta del sogno visionario di D’orica. È tutto questo che racchiudono i gioielli Treesure ed è per questo che noi rimania- mo fin dal primo sguardo, inspiegabil- mente, legati a loro. . ▲ www.dorica.com www.treesure.comNext >