< Previous50 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 INIZIATIVE / di Mirella Orsi* «L a scienza non è di nessun Paese e di nessun sesso», con queste parole Joseph Henry introduceva lo studio con cui, per la prima volta nella storia, si dimostrava il collegamento tra innalzamento delle temperatura e concentrazione di CO 2 . Malgrado la straordinarietà della scoperta però, per più di 150 anni, “Circostanze che influenzano il calore dei raggi del Sole” è rimasto sepolto tra le pagine della storia, quasi sicuramente perché questo studio - che provava quello che oggi chiamiamo “Effetto Serra” - era stato realizzato da una donna, la scienziata Eunice Newton Foote. Esattamente un anno fa, scrivendo la sua storia, mi sono chiesta quanto realmente conosciamo il lavoro delle ricercatrici ambientali e da questa domanda nasceva, alcuni mesi dopo, il progetto di “portare alla luce” il lavoro delle ricercatrici ambientali. L’idea era semplice: dare uno spazio alle scienziate per raccontarsi al grande pubblico parlando dei loro progetti di ricerca. Così, nel numero di ottobre 2021 di “L’Ecofuturo Magazine” veniva lanciata la call di “Bringing to light- Scienziate per il Clima” e a febbraio 2022, su queste stesse pagine si parlava di sostenibilità, energia e cambiamenti climatici raccontando la ricerca italiana grazie ai progetti vincitori della prima edizione di Bringing to Light. Scienziate e imprenditrici per il Clima Bringing to LightL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 51 Forti di questa entusiasmante prima edizione, torniamo ora con l’edizione 2023, aprendo le porte al mondo dell’imprenditoria ambientale. Quest’anno alla nostra Call for Project potranno partecipare tutte le ricercatrici e le imprenditrici che lavorano nel settore ambientale in Italia e all’estero. Come spiega Elita Viola del Comitato valutazione patrocini dell'ASviS: «L’iniziativa contribuisce a diffondere la cultura legata allo sviluppo sostenibile nel Paese e rispecchia lo spirito proposto dall’Agenda 2030. Il progetto promuove l’uguaglianza di genere e sensibilizza su temi di particolare rilievo, come perdita di biodiversità e crisi climatica». Come per la prima edizione, tra i progetti pervenuti, ne saranno selezionati al massimo dieci, che saranno protagonisti dello speciale su “L’Ecofuturo Magazine” in uscita a febbraio in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza 2023. Secondo Sveva Avveduto, presidente dell’associazione Donne e Scienza e delegata Italiana del Women20: «Associare i temi della ricerca ambientale a quelli del lavoro delle donne nel mondo della ricerca è quanto mai attuale e importante. Dalle grandi organizzazioni internazionali ai venti Paesi che compongono il G20 nel suo Gruppo di lavoro Women20, si declinano sempre più spesso le due questioni insieme. L’associazione Donne e Scienza è ovviamente sensibile all’argomento, consapevole che le questioni ambientali non devono fare a meno dell’apporto prezioso delle tante scienziate che lavorano nel settore». Per Bringing to Light 2023 abbiamo rinnovato l’importante collaborazione con WikiDonne come sottolinea Camelia Boban, co-fondatrice di WikiDonne e Diversity Ambassador nel movimento Wikimedia: «WikiDonne è impegnata da più di sei anni nella scrittura di biografie di scienziate. Oltre al progetto permanente Donne in STEM, dal 2020, l'impegno si è ampliato con la campagna Donne e Cambiamento Climatico (Women in Climate Change). Far conoscere e rendere più visibili donne straordinarie in ambito scientifico, ci lega fortemente alla campagna ‘Bringing to Light’». Inoltre, nell’ottica di rendere l’iniziativa sempre più innovativa e internazionale, abbiamo creato una nuova e preziosa partnership con UK Confederation by Confassociazioni. «Bringing to Light si focalizza su un tema a noi caro che è non solo attualissimo ma anche fondamentale per il nostro presente ed il futuro delle nuove generazioni - spiega Stefano Potortì, presidente UK Confederation by Confassociazioni- a nome di tutta l’associazione faccio i miei più vivi complimenti a Mirella Orsi e a tutti gli organizzatori e auspico che questa sia la prima di una lunga serie di iniziative». ▲ *Science Writer - Science Communicator Bringing to Light Scienziate e imprenditrici per il Clima Se sei una ricercatrice o un imprenditri- ce e vuoi partecipare “Bringing to Light- Scienziate e imprenditrici per il Clima” presenta il tuo progetto compilando questo form. Tra i progetti pervenuti entro e non oltre il 31 dicembre 2022 ne saranno selezio- nati massimo dieci che saranno prota- gonisti dello speciale su “L’Ecofuturo Magazine” in uscita a febbraio 2023 e di svariate iniziative di divulgazione na- zionale e internazionale. Per maggiori info bringingtolight.ecofuturo@gmail.com Per seguirci o essere parte del progetto utilizza gli hashtag #BringingToLight #scienziateXclima #impreditriciXAmbiente Scopri i progetti selezionati nella prima edizione52 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 RICICLO / di Giorgia Burzachechi A l centro dell’interesse delle questioni ambientali, si pone il tema del fine vita, nodo ancora irrisolto, su cui si sta lavorando per andare verso una gestione circolare dei rifiuti. L’attenzione viene posta sugli imballaggi, da cui non sempre possiamo fare a meno. Se è vero che la regola del less is more è comunque valida, soprattutto in termini di beneficio per il nostro Pianeta, occorre tenere a mente che spesso non è possibile prescindere dagli imballaggi alimentari monouso. Le confezioni non soltanto assicurano integrità e protezione da agenti esterni, garantiscono anche la conservazione e, non da ultimo, rendono possibile il trasporto. Uno Le pratiche per gli imballaggi stanno diventando sempre più sostenibili Message in a brickdei materiali su cui la comunità ambientale si focalizza è sicuramente il Tetra Pak, il cartone in poliaccoppiato, di per sé non inquinante ed anzi importante per tutti gli aspetti legati alla sicurezza alimentare. Il conferimento del Tetra Pak può non essere semplice poiché dipendente dalle gestioni comunali che possono volerlo conferito, nella stragrande maggioranza dei casi, nella carta (grazie all’accordo siglato tra Tetra Pak e Comieco nel 2003) e, altre volte, nella raccolta del multimateriale (plastica e metalli), a seconda dell’operatore territoriale, cosa che può generare confusione. Per sapere come raccogliere correttamente il Tetra Pak nel proprio comune, è possibile consultare il sito www.tiriciclo.it. Tutto ciò che accade dopo il fine “prima vita”, è un altro capitolo: la delaminazione del poliaccoppiato avviene, infatti, tramite un processo ancora piuttosto complesso. Realtà come Cartiere Saci e Lucart stanno facendo con impegno grandi passi in avanti nella separazione degli strati e nell’avvio al riciclo delle materie ricavate. Ci sono esempi interessanti, però, in cui l’utilizzo di brick in poliaccoppiato si sta inserendo con la doppia funzione di alleggerire il peso del consumo di plastica e, al tempo stesso, promuovere la diffusione di cultura ambientale e buone pratiche. È il caso dei brick per l’acqua che sta prendendo piede in diverse campagne di sensibilizzazione volte alla diminuzione dell’utilizzo di PET. Come nel caso del Sassuolo Calcio che recentemente ha stipulato un accordo di partnership con Aqualy, una giovane azienda che, distribuisce acqua in contenitori multistrato e, attraverso un brevetto realizzato in seno a una società satellite deputata alla ricerca e allo sviluppo, è riuscita a delaminare interamente i contenitori in poliaccoppiato. In queste campagne il Tetra Pak, per quanto materiale difficile da separare, concorre alla riduzione delle plastiche prodotte da fonti fossili e contribuisce alla diffusione di materiali di origine vegetale. È composto per il 70% da materia prima vegetale, possiede le certificazioni FSC per la gestione sostenibile delle foreste da cui poi produce la carta e Bonsucro per la canna da zucchero con cui ottiene polimeri rinnovabili. La società sportiva emiliana ha voluto lanciare un messaggio, rifiutando di appesantire il consumo di plastica e stipulando una collaborazione per una iniziativa di economia circolare proprio con Aqualy e Gruppo Lucart. Il progetto prevede la fornitura di appositi cestini per il recupero dei materiali, la distribuzione agli sportivi di acqua e, una volta radunata la raccolta di contenitori vuoti, il recupero e l’invio alle cartiere di Lucart dove il tutto viene inserito nella catena del riciclo. I materiali vengono separati, la carta viene riciclata e, con il resto, vengono realizzati dispenser per carta o sapone, con cui si rifornisce la squadra stessa. Ovviamente si tratta più di un’azione di educazione che di valore in termini di riduzione di impatto: per quanto la società calcistica contribuisca al risparmio di 300 mila bottiglie di plastica l’anno, l’impegno a livello italiano deve essere ben maggiore. Ma è un segnale, e che parta proprio da una squadra di calcio, sport nazionale per eccellenza nel nostro Paese, ricopre un ruolo attivo nella promozione di una cultura della sostenibilità. ▲ Alcuni esempi di campagne di comunicazione di Aqualy54 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 TESTIMONIANZE / di Riccardo Pallotta L' azienda Martignani è nata nel 1958 e da allora si è contraddistinta per essere pioniera della sostenibilità. Da pionieri nella meccanica agricola, dopo oltre 60 anni di attività, i nebulizzatori Martignani si sono affermati a livello internazionale come un’eccellenza italiana. Uno dei motori dell’azienda è da sempre la ricerca e lo sviluppo tecnologico che ha portato negli anni a importanti passi avanti. L’azienda è stata fondata da Claudio ora presidente della Martignani, mentre l’attuale Amministratore è il figlio Stefano che abbiamo intervistato. Come è nata l’azienda? «L’azienda è stata fondata da mio padre più di sessant’anni fa. Commerciava in attrezzature agricole d’avanguardia e innovative, tra le macchine che rappresentava c’era un’irroratrice di concezione olandese. In sostanza, si trattava di un macchinario brevettato da due ingegneri fiamminghi che permetteva di effettuare trattamenti e distribuzione di prodotti antiparassitari nelle colture agricole, utilizzando molta meno acqua e con un minore impatto sull’ambiente. Mio padre si innamorò di questa tecnologia e decise di dedicarsi completamente allo sviluppo e alla produzione di queste macchine innovative, in collaborazione con Il risparmio di risorse è in primo luogo il prodotto di ricerca e sviluppo Pionieri della sostenibilitàL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 55 l’azienda madre olandese (KWH System). In questo modo siamo diventati leader, prima nazionali e poi internazionali, specialmente dagli anni ‘90 in poi, quando io entrai in azienda». In che cosa consiste la tecnologia alla base delle vostre macchine e e come si differenzia dalle altre? «Le nostre macchine hanno degli enormi vantaggi e per questo sono state apprezzate col tempo in giro per il mondo. Già negli anni ‘80, mio padre pubblicizzava che alcuni agricoltori romagnoli, grazie a noi, producevano il proprio raccolto senza residui o comunque di gran lunga inferiori rispetto ai limiti consentiti dalla legge. Oggi parlare di residuo zero è una moda, noi ne parlavamo già circa quarant’anni anni fa. Il segreto di questa tecnologia è che nebulizza in maniera corretta ed efficiente il prodotto o l’acqua introdotti all’interno della macchina. Il cuore di tutto è nel tipo di goccia, tale che una volta posata sull’obiettivo non cade al suolo. Non c’è gocciolamento. Secondo molti studi, con le macchine ritenute ‘convenzionali’ solamente il 30% cento del prodotto nebulizzato rimane sulla pianta. Con la macchina Martignani, proprio perché non c’è gocciolamento al suolo, si riesce ad utilizzare sulla pianta almeno il doppio (60/70%). Inoltre questo porta anche a un miglioramento dell’ambiente e della biodiversità circostanti. Alcuni nostri clienti ci hanno raccontato che nei loro terreni sono ricomparsi i lombrichi». Oltre alla sostenibilità le vostre macchine permettono anche un effettivo risparmio? «Le Martignani permettono un minor utilizzo di acqua, una maggior copertura di terreno perché con la stessa quantità di liquido possono ricoprire più terreno e anche, non meno importante specialmente oggigiorno, un risparmio in carburante. Il liquido inserito dura maggiormente e si deve tornare a ricaricare la macchina meno spesso; questo comporta meno carburante ma anche minor tempo impiegato nello svolgimento del lavoro. Se consideriamo l’utilizzo dei composti chimici al posto dell’acqua, bisogna considerare anche il risparmio del prodotto stesso. Siamo molto attenti a questo aspetto. Qualche mese fa, una grande azienda cilena produttrice di ciliegie, nostra cliente, ci ha comunicato che è arrivata a risparmiare oltre 4 mila dollari a ettaro, grazie alle macchine Martignani. Considerato che hanno oltre 140 ettari di terreno, possiamo dire che la macchina acquistata viene ammortizzata nel giro di pochi mesi, se l’azienda è grande». Quale è il vostro target di clienti? A chi vi rivolgete? «Tutti i vantaggi delle macchine Martignani hanno ovviamente un costo di acquisto superiore. In realtà vendiamo una tecnologia che è altamente configurabile, basata sulle esigenze del cliente. Il nostro target principale di un nuovo mercato è il grande esportatore di ortofrutta o l’azienda vinicola di un certo livello, le grandi aziende. Bisogna però aggiungere che in un Paese come il nostro, dove continuiamo a puntare fortemente, con il 45% del nostro fatturato, abbiamo tante piccole aziende. Specialmente bio e biodinamiche che praticano un tipo di agricoltura particolare e accorta e, pur avendo pochi ettari, apprezzano la nostra tecnologia e sono disposti a pagare per averla. In generale posso dire che il nostro target iniziale è la grande azienda, ma quando ci conoscono, anche le aziende più piccole ci apprezzano e decidono di acquistare la nostra tecnologia». Puntate allo sviluppo di nuove tecnologie o al miglioramento di quelle esistenti? «Il nostro mantra nello sviluppo tecnologico è ‘migliorare ciò che è esistente’. Dai primi anni ‘90 a oggi la Martignani ha depositato ben 29 brevetti. Per esempio, nel periodo del Covid, ovvero negli ultimi due anni, abbiamo sviluppato due nuove macchine e depositato quattro nuovi brevetti. Siamo un’azienda altamente innovativa e innovatrice. Questo perché lavoriamo molto a configurazioni di macchine diverse in base alle esigenze dei clienti, il che ci porta a sviluppare costantemente delle nuove macchine in base alle richieste del mercato».▲L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 57 LA RIVOLUZIONE DELL’ORTO / di Andrea Battiata* U no dei punti centrali del sistema organico- rigenerativo dell’Ortobioattivo è l’uso in quantità elevate di sostanza organica che simula il funzionamento biochimico delle foreste; negli ultimi 50-70 anni nei suoli italiani abbiamo perso il 2-3% di sostanza organica. I terreni agricoli possono avere un ruolo importante nel contrasto ai cambiamenti climatici. Ma come? Quando sono biologicamente sani e fertili sono in grado di trattenere alte quantità di CO 2 . Si tratta di un’opportunità poco conosciuta e che coinvolge le pratiche agricole, in gran parte responsabili dell’impoverimento della terra. La possibilità di stoccaggio del carbonio nel suolo andrebbe sfruttata al meglio, invece è limitata dallo scarso livello generale di fertilità della terra, in Italia come in Europa. Come migliorare lo stato di salute dei terreni per renderli più attivi in questa funzione così utile? Il carbonio organico dei suoli, una componente costituita da residui vegetali decomposti, fermentati e trasformati nel tempo dai microrganismi viventi presenti, oltre a contribuire alla qualità e alla ricchezza del terreno ha la capacità di trattenere anidride carbonica dall’atmosfera. La coltivazione intensiva, con le colture e le arature ripetute negli anni, riduce drasticamente la sostanza organica del suolo (SOM). Inserire colture specifiche (cover crops) in sistemi di rotazione colturali contribuisce a rinnovare i suoli degradati aumentandone la sostanza organica e il sequestro di carbonio nel terreno e, in certi casi, a incrementare i nutrienti utili alle piante. Questi sistemi, adattati alle realtà aziendali possono migliorare e mantenere la qualità e la fertilità nel breve e nel lungo periodo, oltre a prevenire le perdite di terreno fertile (erosione) o quelle dovute a fitopatie o malattie del terreno. Mentre perdiamo sostanza organica però nel suolo si modifica la struttura della comunità microbica, con una situazione più favorevole ai microrganismi con strategia cosiddetta r, quelli voraci, che impediscono alla sostanza organica introdotta di diventare sostanze umiche. La presenza della copertura vegetale è fondamentale. L’Italia ha il 35% di territorio coperto da foreste e il 55% di territorio impiegato a fini agricoli. L’agricoltura ha una enorme responsabilità sul processo erosivo e l’uso di cover crops è una soluzione sito-specifica. All’erosione sono collegati problemi quali alluvioni e inquinamento delle acque interne e del mare. Al fenomeno dei cambiamenti climatici, abbiamo collegato il fenomeno dell’aridizzazione ovvero il totale dei giorni dell’anno in cui non piove. La sostanza organica influenza la capacità di ritenzione idrica, perché aumenta la porosità e migliora la struttura del suolo ed è in grado di trattenere grandi quantitativi di acqua. Pratiche agricole mirate a reintegrare la struttura dei terreni possono apportare materiali organici funzionali e disponibili per l’attività dei microrganismi. Nell’Ortobioattivo abbiamo approfondito questo sistema di cura della terra conveniente e redditizio dal punto di vista ecologico ed economico.▲ L'ortobioattivo è un argine attivo al cambiamento climatico *Agronomo e contadino urbano a Firenze L'orto che è foresta58 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 IL MONDO CHE CAMMINA / di Riccardo Bottazzo S elva Lacandona, Messico. Una decina di anni fa. Sullo sterrato che porta al paese di San Juan, poco più di dodici case a fianco di un rigagnolo che hanno avuto il coraggio di chiamare Rio Bravo, si è radunato un gruppo di campesinos. Hanno le camicie e i pantaloni stracciati e uno non ha le scarpe. Tengono la testa bassa mentre trascinano sulla carretera una decina di grossi e pesanti sacchi di juta per mostrarli ai coyoteros. Stanno trattando la vendita del raccolto di caffè del villaggio. I coyoteros sono in tutto una mezza dozzina. Sono arrivati a San Juan rombando a bordo di due pick-up. Il loro capo discute animatamente con i campesinos sul prezzo e sulla qualità del caffè. Gli altri si limitano a osservare la scena con la faccia da duri. Sono armati. Dalla tasca di uno di loro spunta il calcio di una pistola. Un altro ha un fucile appoggiato sul sedile vicino e ne accarezza la canna. Il capo coyote urla il suo ultimo prezzo: 40 pesetas al chilo. Non un centavo di più, altrimenti se lo tengano, il loro sudicio caffè. È un prezzo da infami. Rivendendolo a una qualsiasi azienda di caffè a Tuxtla Gutiérrez, i coyoteros incasseranno almeno dieci volte tanto. I campesinos si consultano timidamente tra di loro. Qualcuno fa cenno di sì con la testa. Una donna dice qualcosa con rabbia ma senza alzare la voce. Il capo coyote sembra soddisfatto. Uno degli uomini sul pick-up abbassa lo sportello posteriore per prepararsi a Ribellarsi alle mafie che costringono alla povertà è possibile. Anche bevendo un caffè Café RebeldeL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2022 59 caricare i sacchi. È proprio in questo istante che dal fitto della selva escono gli zapatisti. Sono tutti a cavallo: quattro uomini e una donna col volto coperto dal passamontagna nero. Sembra di stare dentro la scena finale di “Mezzogiorno di Fuoco”. «Quando arriveranno i compas non metterti tra loro e i coyoteros» aveva raccomandato Miguel, l’amico insurgente che mi aveva accompagnato a San Juan. «Di solito non succede niente, nessuno ha voglia di mettersi a sparare, ma non si sa mai» aveva aggiunto per tranquillizzarmi. Mi aveva salutato due ore prima dicendo che lo spettacolo stava per andare in onda ed era sparito nella selva. «Tu che sei giornalista, raccontalo quanto torni in Germania (in realtà io sono italiano ma Miguel non ci ha mai visto troppa differenza) che cosa fanno gli zapatisti». Ora Miguel ricompariva dietro al passamontagna nero. L’ho riconosciuto subito per la maglietta con la pubblicità di una bibita, l’unica che gli ho sempre visto indossare. L’arrivo dei cavalieri spaventa i coyoteros che mettono le mani sulle armi, pur senza puntarle. Il loro capo urla insulti ai campesinos definendoli complici dei banditi. Gli zapatisti rimangono calmi. Uno di loro si fa avanti e si offre di comperare il caffè a nome della rebeldia. Alza il prezzo a 50 pesetas. È ancora un prezzo da regalo. Il capo coyote offre 60 pesetas. «Noi allora paghiamo 70 al chilo» ribatte lo zapatista. L’asta va avanti per 15 minuti, tra gli insulti del coyote e gli sguardi di odio dei suoi accoliti ricambiati da quelli determinati degli zapatisti. Quando il prezzo arriva a 140 pesetas, l’incappucciato tace. I coyoteros caricano il caffè, pagano il dovuto e se ne vanno per la loro strada mentre i cavalieri col passamontagna spariscono nel folto della Lacandona. «Vedi, è per questo che abbiamo bisogno di voi tedeschi» mi spiega un’ora dopo il ricomparso Miguel che proprio non vuole capire che sono italiano. Ha il passamontagna in tasca ed è venuto e riprendermi per riportarmi al caracol de La Realidad. «Qualche volta succede che i coyoteros rinuncino ad alzare l’offerta e ci sfidino a pagare il prezzo che abbiamo dichiarato. Allora dobbiamo mettere mano al portafogli. Ma noi soldi non ne abbiamo. E che cosa ce ne facciamo di tutto quel caffè? Così lo diamo a voi che lo vendete in Europa». Il progetto “Café Rebelde” è nato così, pochi anni dopo l’inizio della Rebeldia zapatista annunciata da quel “Ya Basta!” urlato dal subcomandante Marcos dalla finestra del Comune di San Cristobal, in quella notte del primo gennaio ’94. L’Italia è uno dei Paesi europei che ne commercia di più. Il progetto fa capo a Casa Loca di Milano e si avvale della rete delle tante associazioni “Ya Basta” presenti nelle nostre città. Daniele di Stefano è il coordinatore: «Difficoltà ne abbiamo avute tante. Lo sdoganamento per esempio, che abbiamo risolto tramite una cooperativa di camalli genovesi nostri amici. Grazie agli sforzi di tutti e alla cooperazione oggi il progetto è consolidato. L’intervento diretto dei milites incappucciati dell’Enzl adesso è meno frequente perché i contadini si sono costituiti nell’associazione Yachil che provvede alla raccolta del prodotto evitando l’ingerenza dei coyoteros e spedendo i chicchi direttamente in Europa dove lo mettiamo in commercio. Le comunità autonome indigene ci garantiscono un prodotto biologico di qualità respingendo le pressioni dei latifondisti che vorrebbero convertire le loro terre in produzioni di caffè Ogm».▲ Next >