< Previouswww.isolare.it Risparmia fino al 50% sulla spesa per il riscaldamento/raffreddamento STARE BENE COSTA POCO, CON ISOLARE ® A partire dal primo giorno, per sempre. La coibentazione della vostra casa con fiocchi di cellulosa o lana di vetro mineralizzata vi permette di risparmiare fino al 50% sulle spese di riscaldamento. Isolare è semplice e veloce: basta un giorno per un risultato definitivo, senza sporcare o mettervi la casa sottosopra. Per qualsiasi informazione non esitate a chiamarci direttamente +3° D’INVERNO -3° D’ESTATE Non ci credete? Calcolate quanto potete riparmiare con il programma gratuito che trovate su www.isolare.it . Isolamento del sottotetto e pareti con fiocchi di cellulosa o di lana di vetro mineralizzata IL CAPPOTTO INVISIBILE! APPROFITTA delgli incentivi e detrazioni fiscali per il 2023L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2023 21 PERSONAGGI / di Giorgia Burzachechi Le fonti rinnovabili sono un’occasione per creare nuove reti. Non solo energetiche I l cammino verso la transizione energetica è ormai inarrestabile e, seppur con molti ritardi e grandi contraddizioni, ha tracciato un sentiero portato avanti dall’imperativo dello sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni: economica, sociale e ambientale. In questo quadro sempre più importanza assumono le reti, siano esse fisiche (elettriche, di green gas, smart) o sociali. Un esempio di rete di promozione della sostenibilità è costituito dal Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica (FREE), l’associazione nata nel 2013 con lo scopo di diffondere la cultura dell’efficienza energetica avviando azioni coordinate dei soci nei confronti delle Istituzioni. Abbiamo intervistato il neo eletto presidente dell’Associazione, Attilio Piattelli, ingegnere nucleare e vicepresidente di Italia Solare. Piattelli succede alla presidenza di Livio De Santoli, che ha guidato il Coordinamento negli anni che hanno visto da un lato, il rafforzamento delle rinnovabili a livello mondiale e, dall’altro, l’incertezza a livello nazionale sugli obiettivi climatici. Abbiamo iniziato la nostra conversazione a partire dalle proposte progettuali della nuova conduzione.L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2023 22 Quali sono gli obiettivi in agenda per questo mandato? «Ho suggerito, innanzitutto, di allargare la base associativa anche alle associazioni dei consumatori, degli agricoltori e alle rappresentanze del mondo del lavoro, tutte realtà che oggi sono poco o per nulla rappresentate in FREE. A livello operativo abbiamo da poco presentato una proposta per superare i problemi generati dal blocco del Superbonus e della cessione dei crediti. La proposta intende facilitare gli interventi sugli immobili ed evitare che si abbiano cali di richieste a partire dal 2024, con ripercussioni su un settore che attualmente dà lavoro a moltissime piccole e medie imprese. C’è poi tutta l’attività di revisione e commento delle bozze dei decreti attuativi della 199 del 2021. In particolare, siamo impegnati nella revisione della bozza di decreto sulle Aree Idonee e sul documento di consultazione del cosiddetto FERX, il decreto che dovrebbe disciplinare le modalità di assegnazione delle risorse stanziate per le fonti energetiche rinnovabili (FER) nel periodo 2024- 2028, che sostituirà il FER1. Da non trascurare anche l’attività che vorremmo portare avanti con il MASE per suggerire modifiche alla prima versione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e che ci occuperà fino a giugno 2024. Ci occuperemo anche di promozione della formazione scolastica, universitaria e tecnica su transizione e sostenibilità per attrarre l’interesse dei giovani e far sì che i settori coinvolti possano facilmente trovare le giuste professionalità di cui hanno bisogno». A proposito di PNIEC, che cosa si aspetta dal nuovo Piano? «Stiamo per far uscire un documento di commento alla prima versione. La principale criticità riscontrata è relativa al contributo ancora consistente al 2030 che si dà alla generazione elettrica da gas, con ricorso alla cattura della CO2. Questa, infatti, è una tecnologia studiata da parecchi anni ma che non ha ancora dato i risultati attesi, sia in termini di costo sia di affidabilità. Chiederemo quindi che siano previste più fasi di verifica intermedie, con step di avanzamento sull’implementazione dei progetti di cattura che, se non raggiunti, dovranno immediatamente portare a un piano B che preveda maggiore ricorso alle rinnovabili e conseguente riduzione del contributo atteso dal gas». Quali sono le prospettive per le rinnovabili in Italia? «Estremamente interessanti sulla carta, ma nella realtà dipendono da una corretta impostazione politica. Le rinnovabili, in quanto generazione distribuita, hanno una capacità di implementazione impressionante, ma la velocità di crescita dipende da quanto il contesto normativo sia favorevole al loro sviluppo. Il potenziale dell’Italia per lo sviluppo delle FER è enorme: tra fotovoltaico, eolico (on e off-shore), biogas e biometano, geotermico e idroelettrico abbiamo praticamente la possibilità di far ricorso a tutte le tecnologie mature e potremmo raggiungere l’autonomia energetica molto prima del 2050. Potremmo essere tra le nazioni leader nel mondo per la transizione energetica ed esportare competenze anche all’estero, ma dipende da noi se vogliamo giocare questo ruolo». È possibile ridurre il gap tecnologico nella produzione di impianti per rinnovabili in generale? «Abbiamo commesso il grosso errore, soprattutto per la produzione di moduli fotovoltaici, di lasciare tutto in mano alla Cina e solo ora ci accorgiamo che forse potevamo agire in modo differente e non delocalizzare la produzione di tecnologie strategiche per il nostro futuro. Il gap è certamente recuperabile perché a livello tecnologico in Europa abbiamo ancora tutte le competenze. Si tratta però di favorire grandi investimenti: non si può pensare di essere L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2023 23 competitivi senza impianti di produzione molto grandi e che coinvolgano investimenti di centinaia di milioni di euro, soprattutto se pensiamo a produzione integrata di moduli, di Gigafactory di batterie o di impianti di produzione di macchine eoliche». Nell’ultimo anno sono quasi raddoppiati gli italiani in condizione di povertà energetica. Quali sono gli strumenti da mettere in campo per far fronte a questa situazione? «Efficienza energetica, FER e autonomia energetica nel più breve tempo possibile. È l’unico modo per poter avere una stabilità dei prezzi a lungo termine senza fluttuazioni, anche pesantissime, dipendenti da situazioni di carattere geopolitico. Poi ci sono anche strumenti di supporto dedicati alla riduzione della povertà energetica come quello della diffusione delle comunità energetiche (CER), di iniziative specifiche di comuni per riservare finanzia- menti a chi ne ha più bisogno o anche per esempio la possibilità di favorire la diffusione del riuso dei moduli provenienti da revamping e repowering». Energie rinnovabili e reti per il futuro.Quali sono gli scenari auspicabili? «Distinguerei reti non fisiche da quelle fisiche. Tra le prime colloco quelle generate dalla diffusione delle CER che permettono aggregazione di più soggetti privati per autoprodurre energia. Sarà possibile immaginare nuovi scenari di produzione e consumo basati su cooperazione e condivisione tra le persone con forti implicazioni sociali, con una produzione non più centralizzata e in mano a poche aziende. Per quanto riguarda le reti fisiche, questo nuovo sviluppo della produzione di energia elettrica diffuso e decentralizzato, stimolato dalle CER ma anche dalla sempre più capillare diffusione di impianti FER di medie e grandi dimensioni, se realizzato con sistemi di controllo sempre più sofisticati (monitoraggi avanzati e reti 5G), determinerà anche la modifica della gestione delle reti che progressivamente dovranno tendere a sistemi di controllo e bilanciamento locali rispetto all’attuale sistema centralizzato. Quindi le reti elettriche oltre a essere sempre più interconnesse a livello internazionale per permettere il trasferimento di energia su larga scala, saranno anche sofisticate dal punto di vista del bilanciamento con un sistema centralizzato di controllo che dovrà integrarsi con i sistemi locali che lavoreranno prevalentemente a livello di media tensione. Ruolo fondamentale in questo scenario sarà rappresentato dai sistemi di accumulo elettrochimico per il bilanciamento delle reti e dall’idrogeno come sistema di accumulo stagionale. Prevedo una riduzione di importanza delle reti di distribuzione del gas che avranno valore soltanto a livello locale per distretti magari di elevata produzione di biometano e analogamente una diffusione locale delle reti di distribuzione dell’idrogeno. Non immagino, invece, reti diffuse di distribuzione dell’idrogeno perché, a mio parere, è più conveniente trasportare energia elettrica e poi produrre idrogeno localmente. Infine, mi permetto di mandare un messaggio ai giovani: ci troviamo ad affrontare una crisi senza precedenti su scala globale, ma fortunatamente abbiamo tutti gli strumenti necessari per contrastarla nell’arco dei prossimi trent’anni. Sono necessari motivazione ed entusiasmo per credere nell’obiettivo e impegnarsi a fondo per raggiungerlo. Lo scopo ultimo non deve essere solo quello di fronteggiare una crisi ma di farla divenire un’occasione di ripensamento della relazione tra uomo e natura in modo da porre le basi per un futuro migliore e far sì che l’uomo divenga alleato e custode della Terra. ▲L'INCHIESTAdi Sergio Ferraris* Pochi byte per lo Stivale L’Italia è fanalino di coda per la rete Internet e i servizi digitali. Ecco perché D iciottesimo posto. Su 27. Questa è la posizione per il 2022, dell’Italia nell'indice di digitalizzazione dell'economia e della società (DESI), stilato annualmente dall’Unione Europea. La terza economia dell’Europa a quota 27 è dietro a paesi quali la Lettonia, la Slovenia, la Lituania e la Polonia. Per non parlare di quelli del Nord Europa che occupano tutti le tre posizioni da medaglia. È un quadro impietoso, quello tracciato dall’indice DESI 2022 che non ha riflessi solo sugli aspetti economici e industriali in termini di mancato Pil oppure di qualità di vita dei cittadini, ma che è una vera e propria spada di Damocle sull’intera società italiana. Se prendiamo, infatti, la voce “capitale umano”, ossia quella che da più parti si invoca come una risorsa, passiamo al 25mo posto su 27 paesi dell'UE. Penultimi. Nel dettaglio si evince che solo il 46% degli italiani possiede perlomeno competenze digitali di base, dato al di sotto della media UE pari al 54%. Un divario che si riduce quando prendiamo come campione la popolazione in possesso di competenze digitali superiori a quelle di base; in questo caso l’Italia ha il 23% contro il 26% dell’Unione Europea. Per quanto riguarda il futuro però il panorama si fa fosco. L’Italia ha una percentuale molto bassa di laureati nel settore TIC (Tecnologie dell’Informazione e della settembre/ottobre 2023 L'ECOFUTURO MAGAZINE 25 Comunicazione) pari all'1,4 % dei laureati italiani, che sono già meno rispetto al resto d’Europa. Del resto il settore dell’informatica e delle telecomunicazioni ha indici d’attività bassi. La percentuale di specialisti del settore, presenti sul mercato del lavoro, è pari al 3,8% dell'occupazione totale, ancora al di sotto della media UE del 4,5%. Allo stesso tempo solo il 15% delle imprese italiane eroga ai propri dipendenti una formazione in materia di TIC, contro il 20% della media UE. Sulla questione di genere, Italia ed Europa sono allo stesso, basso livello visto che le donne nel settore digitale sono il 16% degli specialisti contro il 19% della UE. Un quadro non esaltante, quello italiano, che affonda le sue radici nella storia recente del Bel Paese. Occasioni perse Per capire la questione dell’arretratezza della rete italiana, sia sotto il profilo materiale sia culturale è necessario tracciare un po’ di storia dell’informatica in Italia. Andiamo a Ivrea dove nel 1962 un gruppo di ricerca dell’Olivetti, guidato dall'ingegnere Pier Giorgio Perotto, inventò il primo personal computer da tavolo, il P 101 detto anche Perottina; ciò accadeva circa quindici anni prima dell’avvento di altri computer da tavolo. E siamo ancora prima dell’invenzione del microprocessore da parte di un altro italiano, sempre allevato all’Olivetti ma emigrato negli Stati Uniti, Federico Faggin che nel 1970 creò il 4004 per un’azienda che sarebbe diventata un colosso dell’informatica: l’Intel. Nel frattempo, la divisione grandi calcolatori della Olivetti di Pregnana, stabilimento che era in diretta concorrenza con aziende statunitensi dell’informatica quali IBM, fu ceduto alla General Electric, dalla nuova gestione della Olivetti subentrata alla scomparsa di Adriano Olivetti nel 1960 e capitanata da Vittorio Valletta – capo indiscusso della Fiat, entrata nel capitale di Olivetti – che nella relazione del Bilancio Fiat del 30 aprile 1964 affermava: «La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare, senza grosse difficoltà, il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana potrà affrontare». Una visione che Michele Mezza – nel volume “Avevamo la Le occasioni perse dall’Italia sul fronte informatico sono state il frutto, avvelenato, della mancanza di politiche industriali e sociali innovativeC0s’è River Cleaning? Perchè sceglierlo? RC Deflector nasce con l’obiettivo di deviaree fare scorrere libera- mente verso vallealghe, rami e altri vegetali preziosiper l’ecosistema fluviale. Considerando che l’85% dei detriti intercettati sono diorigine organi- ca, lasciarli accumulare negli sgri- gliatori dellecentrali idroelettriche rappresenta un costo non irrisorio in quanto verranno smaltiti comerifiu- to speciale. DEVIATORE PER L’IMBOCCO DEL CANALE DI PRESA PRESSO CENTRALI IDROELETTRICHE Seguici sui nostri canali Social www.rivercleaning.com • info@rivercleaning.com • Tel: +39 0424 881323 PER SAPERNE DI PIÙ River Cleaning è un progetto italiano attivo nella blue economy, pensato per ridurre l’inquinamento degli oceani causato dai rifiuti plastici e oleosi che, per l’80%, arriva nei mari attraverso i fiumi del mondo. NUOVO SISTEMA RC DEFLECTOR settembre/ottobre 2023 L'ECOFUTURO MAGAZINE 27 luna” (Donzelli, 2015) definisce: «Una lapide, più che un’opinione per il futuro della Olivetti. Valletta anche semanticamente sceglie i vocaboli in modo da dare tutti i messaggi necessari: nell’elettronica l’Olivetti si è “inserita”, intromessa, indebitamente mescolata con i più grandi. Questo è il peccato originale che bisogna sanare». Si perse così il treno sul quale Adriano Olivetti aveva investito per dieci anni, disperdendo un patrimonio di conoscenza unico in Europa e alla pari con quello degli Stati Uniti. Anche la Perottina non ebbe seguito, nonostante il successo commerciale fatto dai 44 mila esemplari venduti, tra i quali ci furono quelli usati dalla NASA per le esigenze di calcolo degli sbarchi sulla Luna. Per tutti gli anni Settanta l’Olivetti realizzò macchine da scrivere estremamente evolute ma il Dna dell’elettronica perdurò e realizzò verso la fine degli anni Settanta la prima macchina da scrivere al mondo completamente elettronica per poi iniziare, sotto la guida dell’ingegnere Carlo De Benedetti, la produzione di personal computer. De Benedetti però non credeva molto ai personal computer, una volta intervistato da Giovanni Minoli a Radio24 affermò: «È stato Wozniak e non Steve Jobs a farmi la proposta di entrare come azionista di maggioranza in Apple. N.d.R) – ha spiegato De Benedetti -. Chiedeva 200 mila dollari per finanziarli in cambio del 20% di Apple». L’ingegnere rifiutò l’offerta definendo Wozniak e Jobs due smanettoni, pentendosi a posteriori e precisando così l’evento: «è stato l’errore più grande della mia vita». Negli anni Ottanta, nonostante tutto, Olivetti divenne un’azienda di primo piano nel campo dei personal computer, non intuendo la dimensione globale sulla quale poteva competere e rimanendo sempre sul seminato, con le telecomunicazioni che, saldamente in mano a un monopolista di Stato, erano regolarmente alla retroguardia. Per tutti gli anni Ottanta in Italia si installano centrali di comunicazione elettromeccaniche, mentre nel mondo si affermano quelle più agili e adatte alle reti elettroniche con il solo scopo di difendere produzioni interne obsolete e poco innovative. All’epoca, le prime connessioni tra computer avvenivano tramite linea telefonica a prezzi esorbitanti e con tariffazione a scatti. Nel frattempo, arriva il web, ma lo scenario italiano rimane statico. Anzi, Olivetti inizia a dismettere i personal computer, mentre De Benedetti si lancia sulle telecomunicazioni mobili con Omnitel, successivamente ceduta all’estero, negli stessi anni il “capitano coraggioso” Roberto Colaninno, con la privatizzazione di Telecom, dismette come asset non fondamentale per fare cassa lo Cselt di Torino, all’epoca uno dei laboratori più avanzati al mondo in fatto di telecomunicazioni. Solo per fare un esempio, lo Cselt con il ricercatore Leonardo Chiariglione, ebbe un ruolo decisivo nella definizione dello standard di compressione multimediale MPPG alla base dei formati mp3 e mp4. Siamo alle soglie dell’esplosione del digitale. Nel giro di pochi anni la velocità dei modem che lavorano sulla linea telefonica ordinaria passa da 2.400 bps a 56.000 bps e nel 2000 sbarca in Italia l’Adsl, ma anche la fibra che regge l’incredibile velocità di 10 Mbps. Il problema era che l’operatore che promuoveva la fibra necessitava delle linee dorsali in possesso dell’ex monopolista Telecom che operava all’epoca con tariffe alte e un livello d’efficienza informatica che chiamare scarso è un eufemismo. Fermare la rete Dal 2000 al 2013 poco è successo. O meglio, si è andati con il freno a mano tirato e la retromarcia innestata. Il colpevole ha un nome e un cognome: digitale terrestre. Lo sviluppo della fibra e dell’alta velocità nelle abitazioni in quegli anni, è trainato dalla nascente richiesta di larghezza di banda dei sistemi multimediali, anche legati ai social network, ma l’offerta gratuita non è sufficiente. YouTube all’epoca non era strutturato con palinsesti definiti, Netflix stava elaborando i primi progetti di streaming negli USA e Amazon era in fase di lancio. Tutte queste piattaforme, però, avevano un “problema” nello scenario italiano dominato dal duopolio multimediale Rai/Mediaset: affidavano il palinsesto allo spettatore. Una questione intollerabile per chi aveva costruito il proprio successo imprenditoriale e politico sulle televisioni generalisti e monodirezionali. Nel 2004, durante il Governo Berlusconi II, arrivò la legge Gasparri, dal cognome del ministro delle Comunicazioni, che faceva un “riordino” delle telecomunicazioni creando un calderone, il Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC) nel quale convergevano diversi media multimediali e tradizionali al fine di elevare il limite relativo alla concentrazione oltre la quale un singolo soggetto non poteva andare. Un sistema per salvaguardare Mediaset e permettergli di moltiplicare l’offerta dei canali grazie al digitale terrestre. A rafforzare ciò, settembre/ottobre 2023 28 L'ECOFUTURO MAGAZINE la sempre maggiore diffusione dei sistemi Wi- Fi sui computer che facevano intravedere un superamento del “collo di bottiglia” dell’Adsl per la multimedialità. Sempre lo stesso governo allora affossa immediatamente il potenziale del Wi-Fi gratuito con il decreto legge 27 luglio 2005, n. 144, detto anche decreto Pisanu, dal cognome del ministro dell’Interno, che il 31 luglio 2005, soltanto quattro giorni dopo fu convertito in legge, n. 155: «recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale». Il decreto Pisanu metteva obblighi pesantissimi sui titolari di bar, ristoranti, caffè, alberghi e altri locali pubblici che offrivano connessione Wi-Fi al pubblico. All'articolo 7, la legge regolamentava e stabiliva: «le misure che il titolare o il gestore di un esercizio […] è tenuto ad osservare per il monitoraggio delle operazioni dell'utente e per l'archiviazione dei relativi dati, […] nonché le misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili». In pratica, bisognava farsi dare da tutti gli avventori il documento di identità, prendere nota delle generalità e assegnare una username unica alla persona. Oltre a ciò, era necessario registrare e memorizzare automaticamente tutti gli accessi di tutte le persone connesse al Wi-Fi: L’arretratezza della rete oggi è dovuta a scelte politiche che hanno privilegiato i vecchi media, affossando quelli nuovi legati a internet*Giornalista scientifico, caporedattore “L’Ecofuturo Magazine” settembre/ottobre 2023 L'ECOFUTURO MAGAZINE 29 tutti i siti visitati, tutti i server contattati. In nome di una presunta “emergenza terrorismo” s’azzoppò una delle tecnologie più promettenti per lo sviluppo della rete che fu messa da parte fino al 2013 quando venne abolita la legge Pisanu. Ma ancora il governo Berlusconi diede il colpo di grazia alla rete in Italia. Verso la fine del primo decennio degli anni 2000, il digitale terrestre mostra la corda e la BBC, la compagnia televisiva di stato britannica, decide di non sviluppare ulteriormente il digitale terrestre e investire sui servizi ad alto valore aggiunto e on demand tramite Internet. Lo spettro di Netflix, il cui sistema si andava definendo ulteriormente, si avvicinava. E quindi, l’allora presidente del Consiglio e proprietario di Mediaset evitò accuratamente di far sbarcare la Rai, la televisione di Stato, su Internet. Senza la richiesta di banda larga legata alla multimedialità, è chiaro perché solo nel 2013 sia arrivata la fibra ottica nelle centrali Telecom lasciando, però, l’ultimo miglio al doppino di rame degli anni Sessanta. Nel 2015 iniziano, attenzione, iniziano gli investimenti per la vera banda larga, ossia la fibra nelle abitazioni e negli uffici. E siamo ancora al palo. La disponibilità di fibra al 100% nel 2021 era per il 24% della popolazione, contro il 57% della media UE, ma con solo 2,4 milioni di abbonati. In Italia abbiamo 25,7 milioni di famiglie e 211 mila Pmi. La strada, o meglio la fibra, da percorrere è ancora lunga. ▲Next >