< PreviousL'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 40 G li oceani hanno un ruolo determinante nella regolazione del clima agendo come un trasportatore di calore grazie alle correnti marine che lo attraversano. La maggior parte del calore in eccesso, determinato dal riscaldamento globale, è intrappolato e immagazzinato negli oceani, incidendo sulla temperatura dell’acqua e sulla sua circolazione. Le misure degli ultimi 50 anni mostrano che l’oceano sta subendo un progressivo riscaldamento, assorbendo circa il 90% dell’eccesso di calore accumulato nel sistema climatico a causa delle attività antropiche. Tale situazione impatta in modo pesante sugli ecosistemi marini. Le temperature dell’acqua costituiscono infatti uno dei più forti regolatori della vita marina e il loro aumento sta provocando modifiche nella distribuzione delle specie marine, rilevate dal rapporto “Cambiamenti climatici, impatti e vulnerabilità in Europa al 2016” dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Gli oceani giocano un ruolo determinante come termoregolatori e sono anche i nostri migliori alleati contro i cambiamenti climatici perché assorbitori di anidride carbonica. Si stima che gli oceani siano il più grande pozzo di assorbimento di carbonio sul nostro Pianeta e abbiano assorbito circa il 40% di tutta l’anidride carbonica emessa dagli esseri umani a partire dalla rivoluzione industriale. Tuttavia, secondo uno studio pubblicato su “Nature” questa funzione rischia di venire meno poiché i cambiamenti nei modelli di circolazione oceanica stanno incidendo sulla quantità di anidride carbonica assorbita. Sembra che le grandi masse d’acqua stiano riducendo la loro capacità di catturare l’anidride carbonica, determinando un aumento della concentrazione complessiva di CO 2 nell’atmosfera e quindi alimentando il cambiamento climatico. I cambiamenti climatici hanno effetti diretti sui mari. Un effetto domino che potrebbe portare a conseguenze irreversibili Acque bollenti CLIMA / di Cecilia Bergamasco er Zabriskie ashL'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 41 Gli oceani stanno soffocando Gli oceani sono un serbatoio di ossigeno disciolto sotto forma di gas che gli animali acquatici utilizzano per respirare. Il riscaldamento delle acque oceaniche determina una riduzione della concentrazione di ossigeno tanto che, come rileva il recente studio “Emerging Global Ocean Deoxygenation Across the 21st Century”, entro il 2080 circa il 70% degli oceani del mondo potrebbe soffocare a causa della mancanza di ossigeno. In base ai modelli dei ricercatori che hanno condotto lo studio, le acque profonde degli oceani stanno perdendo ossigeno a tassi innaturali superando nel 2021 la soglia critica. Nel 2080 la deossigenazione potrebbe addirittura interessare tutte le zone oceaniche, ma una riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra permetterebbe di ritardare il degrado degli ambienti marini. L’hot spot Mediterraneo In questo scenario la regione del mediterraneo, a causa della sua particolare conformazione geografica, è ritenuta un cosiddetto “Hot-Spot” (punto caldo), zona con una significativa riserva di biodiversità particolarmente sensibile al cambiamento climatico. Una ricerca internazionale alla quale ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Geofisica rileva che la tendenza del Mar Mediterraneo al riscaldamento è molto più alta di quella globale. Il tasso di incremento medio è di 0,041 °C/ anno a partire dall’inizio degli anni ‘80 con un aumento complessivo tra 1,5 e 2 °C e un progressivo interessamento degli strati più profondi. L’aumento delle temperature, come osserva Greenpeace, ha reso le nostre acque più adatte alle specie tropicali e ha influenzato gli ecosistemi marini con gravi effetti sulla biodiversità. Sono infatti sempre più frequenti fenomeni di mortalità di massa, epidemie e un graduale spostamento verso nord di specie tipiche dei mari più caldi, spesso aliene ai nostri mari. Insieme all’aumento delle temperature e della concentrazione di CO 2 il Mediterraneo sta registrando un aumento dell'acidità dell'acqua e una serie di effetti a cascata sugli ecosistemi e sulla fauna ittica. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, che si focalizza non solo sui cambiamenti climatici ma anche sugli effetti, il livello del Mediterraneo è aumentato di 1,4 mm l'anno nel XX secolo con un’accelerazione a 2,8 mm negli ultimi vent’anni. La cosa preoccupante è che, per un effetto di abbrivio, la crescita continuerà nei prossimi anni, anche nel caso in cui riuscissimo ad azzerare le nuove emissioni di gas serra. La temperatura sulla Terra e sul mare è destinata a crescere ancora, ciò significa che anche gli impatti sulle acque marine rischiano di aumentare sia con fenomeni meteorologici più frequenti e sicuramente più violenti, in particolare nel nostro Paese, sia con una perdita di biodiversità importante; effetti, questi, che avranno un pesante impatto sulle nostre vite e sulle nostre economie. ▲ La perdita di ossigeno negli oceani causata dai cambiamenti climatici, porta a conseguenze sulla biodiversità e sulla capacità degli stessi di assorbire CO 2L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 42 S e vogliamo fare il possibile per contenere l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1,5 °C non possiamo fare a meno del mix di rinnovabili a disposizione. Idroelettrico, geotermia, fotovoltaico ed eolico sono tecnologie ormai mature, pronte a fare la propria parte nel processo di transizione che per raggiungere gli obiettivi climatici ha bisogno di un altro prezioso contributo: quello delle “rinnovabili marine”. L’offshore ha potenzialità enormi A novembre 2020 la Commissione europea ha rilasciato la strategia per sfruttare il potenziale dell'energia rinnovabile offshore. In sostanza, l’UE punta a far crescere le rinnovabili marine di cinque volte entro il 2030 e di venticinque volte entro il 2050. L’anno successivo, nel 2021, l’IRENA (l’Agenzia Internazionale sulle Energie Rinnovabili) ha pubblicato un interessante documento (Offshore Renewables) d’azione sul tema, di supporto al G20. Parliamo di paesi e numeri che si intrecciano tra di loro, basti pensare che l’Europa è leader del settore: nell’eolico offshore possiede le migliori tecnologie e circa il 70% della capacità installata al mondo. L’Unione è dunque chiamata a guidare questo particolare ramo della transizione. Oltre allo sviluppo dell’eolico, dobbiamo puntare anche sulla crescita del solare fotovoltaico galleggiante, più tutta una serie di tecnologie emergenti, come quelle in grado di sfruttare le onde oceaniche e delle maree. Per centrare lo scenario 1,5 °C, sostiene l’IRENA, «nel mondo l’eolico offshore deve passere dai 34 GW del 2020 ai 380 GW entro il 2030, Un futuro fatto di energia rinnovabile passa anche e soprattutto dal mare Potenza d'oceano ENERGIA / di Ivan Manzofino agli oltre 2000 GW entro il 2050», mentre «l'energia oceanica deve coprire ulteriori 350 GW di capacità di generazione rinnovabile offshore entro il 2050». Un processo in grado di contribuire alla battaglia climatica e al buono stato degli ecosistemi marini, poiché il passaggio dai fossili alle rinnovabili renderebbe il mare meno inquinato e più attrattivo per attività come pesca e turismo. L’obiettivo è mettere in piedi una vera e propria “economia blu”. Le sfide del settore Per individuare un primo ostacolo all’esplosione del settore delle rinnovabili marine non dobbiamo allontanarci. Di fianco alla costruzione di una infrastruttura efficiente, cosa complessa che siamo in grado di realizzare, la transizione deve fare i conti con i ritardi dovuti alla politica, alla burocrazia e alla sindrome “Nimby” (Not in my backyard). Tre ambiti in cui il nostro Paese è un vero maestro, in forte ritardo rispetto al Nord Europa. L’ultimo esempio l’abbiamo avuto a febbraio: ci sono voluti ben quattordici anni per la messa in opera della prima turbina di un parco eolico offshore perché rischiava di deturpare il paesaggio (persino) di fronte all’Ilva di Taranto. Si tratta di un impianto che una volta completato darà energia a 18 mila famiglie. Gli stessi problemi che sta incontrando la costruzione di un parco eolico galleggiante, il “Med Wind” , previsto a 60 chilometri dalle coste siciliane (distanza che serve a evitare problemi di impatto visivo). Il progetto prevede l’uso di tecniche meno invasive per i fondali marini e promette di soddisfare il fabbisogno energetico di milioni di famiglie. Anche qui, enormi problemi in termini di autorizzazioni. C’è un discorso generale che coinvolge il mondo intero. L’installazione di parchi galleggianti deve avvenire nel rispetto degli equilibri ambientali, altrimenti avremmo semplicemente spostato il problema dall’atmosfera, in termini di emissioni evitate all’ecosistema, al mare, in termini di modifiche irreversibili degli ambienti marini. C’è la questione “12 miglia” nautiche. Secondo la Convenzione Onu di Montego Bay sul diritto marittimo, l’installazione di questi impianti oltre tale limite (che indica le acque territoriali, circa 22 chilometri), pone il problema di una governance condivisa che sembra mancare. E c’è la questione tecnologica. Se è vero che l’eolico offshore e anche il solare sono soluzioni competitive e mature pronte per essere utilizzate, quelle che si basano sul “moto ondoso” dell’oceano e delle maree necessitano di un’ulteriore fase di ricerca e sviluppo; ciò rende difficile la loro commercializzazione. C’è anche lo sviluppo di un’altra soluzione tecnologica. Parliamo dell’OTEC, acronimo di “Ocean thermal energy conversion” (conversione dell’energia termica oceanica), che funziona come la geotermia: intrappola il calore delle acque che tende a stabilizzarsi a una certa profondità. «Oltre all'enorme potenziale di generazione di energia, OTEC può fornire elettricità continua e non intermittente, rendendola una fonte di alimentazione affidabile», ricorda l’IRENA. Quello delle rinnovabili marine è un settore strategico di particolare importanza per la lotta alla crisi climatica, capace di coinvolgere l’utilizzo di altre fonti rinnovabili, tra cui la produzione di idrogeno verde da elettrolisi che potrebbe essere trainata proprio dall’eolico offshore. Il Pianeta, anche in questo caso, offre un “mare” di opportunità. Basta sfruttarle. ▲L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 44 MEMORIA / di Fabio Roggiolani Ecco lo strano caso del simbolo della Repubblica Italiana dal quale è sparito il mare Mare sparito E cco, quello che vedete è il primo simbolo della Repubblica Italiana che vinse un concorso a cui parteciparono oltre 300 artisti e pubblicitari e porta la firma di Paolo Paschetto. Non vinse solo il concorso e le 50 mila lire in plaio, che a quei tempi, 1947, erano bei soldi, ma fu approvato anche dal Parlamento e poi cominciarono le polemiche e il simbolo approvato fu definito “la tinozza” ma rappresentava il senso dell’Italia in maniera, a mio avviso, ben più coerente di quello che oggi è il nostro logo ovvero la stella con la ruota dentata e l’olivo. L’olivo e la stella come vedete ci sono anche qui ma in più qui c’è il senso della storia e c’è il mare. Come è possibile che una penisola di 8.500 km di coste si sia dimenticata nel simbolo il mare, una cancellazione che ha poi significato l’abbandono del nostro essere un popolo di navigatori, di santi e via ricordando. Non siamo più un popolo di navigatori, le nuove patenti nautiche sono scese ai minimi storici, le nostre strade sono tutte sulla terra ferma che non dimentichiamolo non è composta da una pianura tra due mari ma da Appennini e Alpi e se superare le Alpi con il mare è difficile gli Appennini si possono superare con le vie del mare che hanno nei millenni rappresentato la nostra fortuna, la nostra ricchezza e la nostra incredibile biodiversità. Le genti italiche si connettevano tra loro e con tutti i popoli del centro del mondo antico ovvero il Mediterraneo in un giorno di vela, mentre via terra erano settimane di durissimi spostamenti e se siamo un popolo bello, colorato e geniale lo dobbiamo al fatto che culture diverse si sono sempre incontrate nelle nostre terre e si sono scambiate scienze, conoscenze e amori. Invece un parlamento di smemorati si bevve il mare nel simbolo e piano piano abbiamo scimmiottato i Tedeschi ed i Francesi che hanno immense pianure senza o quasi montagne e abbiamo voluto competere con loro nella velocità via terra, che non è mai riuscita a superare quella via mare nonostante l’aumento di velocità ed autonomia delle automobili e dei camion. Il mare resta il modo più veloce per spostarsi da nord a sud e viceversa e per riconnettersi con gli altri paesi del mediterraneo. Ridateci il simbolo perduto d’Italia, ridateci la consapevolezza del mare e magari eviteremo di vedere due terre come il Salento e la Calabria, che via mare sono a meno di un’ora, non avere neppure una rotta e essere costretti per incontrarsi, collaborare e commerciare ad almeno cinque ore di strada e autostrada.▲L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 46 INQUINAMENTO / di Giuliano Gabbani* La maggior parte delle attività antropiche hanno come destinazione finale il mare, che subisce sempre di più l'antropizzazione Il mare offeso I l mare è senza dubbio la risorsa più importante che la Terra ha messo a disposizione per tutti gli esseri viventi. La distribuzione delle terre emerse non è uniforme ma concentrata per lo più in metà della sfera. L'acqua del mare occupa il 71% della superficie terrestre, costituisce il 97,5% di tutta l'acqua disponibile sul Pianeta ma è salata. La percentuale di quella dolce, rispetto al totale è solo il 2,5 %. Una delle criticità, o meglio “offese”, che il mare ha ricevuto e che è diventata forse la più invasiva e preoccupante per l’ecosistema, è senza dubbio la presenza di plastiche o meglio microplastiche, di dimensioni infinitesime e per questo metabolizzabili, quando ingerite dai pesci e da questi veicolate in ultimo nel sangue umano. I mari, soprattutto uno chiuso come il nostro Mediterraneo, come tutto il Pianeta stanno subendo un aumento di temperatura che sta affrontando l’aggressione climatica. Il nostro mare dal 1900 è cresciuto di 180 mm, 60 mm negli ultimi vent’anni e la temperatura attuale è di 1,4 °C molto vicino al fatidico incremento di 1,5 °C auspicato ma che dovremo sciaguratamente innalzare almeno a + 2,0 °C.L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 47 Continuando con le “offese” al mare non è da sottovalutare il “sequestro dei sedimenti” effettuato dalle opere che trattengono i sedimenti intrappolandoli e impedendo loro di distribuirsi dalle foci dei fiumi lungo le coste portando ad incrementare le spiagge sabbiose. Anche i porti hanno una quota parte di criticità nel trattenere i sedimenti, cosa di cui le autorità portuali e gli utilizzatori farebbero volentieri a meno. Situazioni che possono essere affrontate e risolte con nuove tecnologie mature, ecologicamente virtuose, che sono e saranno trattate dalla nostra rivista (vedi articolo a pag. 34). Possiamo sfangare i porti dai sedimenti intrappolati che limitano l’ingresso delle navi di grande tonnellaggio e di grande pescaggio, grazie a nuove tecnologie italiane implementate negli ultimi anni (Fincantier-Deco) ove l’asporto dei sedimenti con classazione degli stessi per granulometria e gravità senza dispersione nel corpo idrico di “plumes”, nelle quali notoriamente si deposita la parte inquinata, mentre nella parte disinquinata si recuperano sedimenti anidri privi di materiali fini già utilizzabili per un successivo impiego come materia prima-seconda per ripascimento delle coste (banca delle sabbie). La parte fine, quando inquinata, verrà successivamente trattata da una tecnologia anch’essa italiana (SAMI), con la quale, invece di conferire questi sedimenti praticamente intrattabili se non conferibili in casse di espansione o discariche, verrà stabilizzata per essere valorizzata come materia prima- seconda. Autocura marina Il mare ha un altissimo potere auto depurante che purtroppo viene sfruttato per giustificare o tollerare sversamenti di liquami o materiale solido inquinante da parte di tutti, fatemi dire tutti, perché non solo gli inquinatori seriali, come sono state e sono ancora le fabbriche con una proprietà/ dirigenza senza scrupoli che hanno sversato sia nel territorio sia nei fossi/canali tutto quello che la cultura e la coscienza avrebbero suggerito di smaltire in modo corretto, ma anche il privato se non ha una coscienza ecologicamente sviluppata. Per esempio, l’olio del fritto sversato nello scarico del lavello, confluisce tramite le fogne che portano ai depuratori, sempre se ci sono, poi ai fiumi e infine al mare. Chi non ha visto dopo una piena in un fiume gli alberi che costeggiano gli argini “addobbati” come alberi di Natale da sacchetti di plastica di vari colori e da bottiglie materiali che se raggiungono il mare impiegheranno secoli per degradarsi riducendosi nel frattempo in micro pezzi di dimensione molecolare che entreranno nella catena alimentare. Risultato: avremo la plastica nei nostri polmoni e nel nostro sangue. Fermiamo questo scempio. La Terra è composta dal 71% da acqua; il futuro è nel mare. Nel mare ci sarà energia (moto ondoso, vento, maree, variazioni di temperatura ecc.), ci sarà sostentamento alimentare (pesce, alghe ecc.), acqua potabile senza limiti (dissalatori solari), svago (turismo), risparmio energetico e limitazione dell’inquinamento fossile (trasporto merci e persone sulle autostrade del mare). Tutte questo porta a dire «non offendiamo il mare!». Il mare è paziente, lo sta dimostrando ampiamente. Salvaguardiamolo per avere pesci sani da mangiare, per fare una nuotata senza rischiare di riempirsi la bocca con microplastiche o, peggio, rischiare di camminare su strade di plastica galleggiante. Il mare è la vita, non dimentichiamolo! ▲ *Professore UNIFI – Dipartimento Scienze della Terra, Presidente Comitato Scientifico di EcofuturoL'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 48 VULCANI / di Giuseppe De Natale* La geologia sottomarina è ancora tutta da scoprire e la sua storia ha degli aspetti interessanti Fuoco dal fondo I l Mar Mediterraneo, con la sua complessa dinamica geologica, è fortemente caratterizzato da attività vulcanica. Il vulcanismo tutt’ora attivo, concentrato nel Tirreno Meridionale e nell’arco vulcanico Egeo, dovuto sia a vulcani emersi (Etna, Eolie, Pantelleria, Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia, le isole vulcaniche dell’Egeo), sia a un intenso vulcanismo sottomarino (l’ultima eruzione sottomarina è stata quella del vulcano Kolumbo, nel 1649-50, che causò nubi ardenti e maremoti e la morte di circa 70 persone nella vicina isola di Santorini). Il Tirreno Meridionale è formato da crosta oceanica soggetta a una forte estensione. La distensione tettonica richiama in superficie i magmi del mantello, il che spiega l’intensa attività. Sono innumerevoli i fenomeni di vulcanismo sottomarino, alcuni associati ai vulcani emersi (gran parte della caldera dei Campi Flegrei è sotto il livello del mare), molti dei quali probabilmente ancora sconosciuti e alcuni scoperti soltanto negli ultimi anni. Il più grande dei vulcani sottomarini è il Marsili, che con le sue dimensioni areali di circa 60 x 30 km per 3 km di altezza dal fondale è il più grande vulcano d’Europa. Oltre al Marsili, molti altri vulcani sottomarini punteggiano il fondale del Tirreno Meridionale. Tra questi: Vavilov, Magnaghi, Palinuro, Glauco, Eolo, Sisifo, Enarete, e altri. Questi vulcani hanno attratto le antiche popolazioni dalla notte dei tempi. L’area vulcanica Napoletana L'ECOFUTURO MAGAZINE marzo/aprile 2022 49 è stata, almeno da 4 mila anni (ossia dall’Età del Bronzo), tra le più popolate d’Europa. La prima colonia greca in Italia fu Pitecusa (l’Isola d’Ischia), lontanissima dalla patria dei primi coloni e caratterizzata da intensa attività eruttiva. La fertilità dei suoli, il favorevole microclima, la ricchezza di insenature e porti naturali, la presenza di acque termali, costituivano attrazioni che superavano il timore delle eruzioni. I fenomeni vulcanici hanno inoltre dato luogo a molte leggende, alcune nate dall’osservazione di fenomeni spettacolari di cui non si comprendeva l’origine. La più famosa, verosimilmente legata alla gigantesca eruzione di Santorini (in Grecia), intorno al 1600 AC, che contribuì al crollo della civiltà Micenea, è quella di Atlantide. Meno nota è l’origine del mito dei ciclopi, con un solo occhio (il cratere vulcanico): la scena di Polifemo infuriato che getta massi addosso alle navi di Ulisse in fuga, rappresenta il vulcano Stromboli, le cui tipiche eruzioni comprendono la fuoriuscita di grossi blocchi di lava, scagliati intorno per centinaia di metri. Storie dal fondo Anche le cronache sono punteggiate dalle eruzioni vulcaniche, come quella del Vesuvio nel ’79 DC. Ci sono stati episodi più curiosi e all’epoca non compresi, come l’apparizione dell’isola Ferdinandea, nel 1831, per un’eruzione sottomarina nel canale di Sicilia tra Sciacca e Pantelleria. Essendo la parte emersa formata da prodotti piroclastici facilmente erodibili, l’isola scomparve nel 1832. Nel 1891, ci furono eruzioni sottomarine al largo di Pantelleria, con blocchi di lava (dette bombe) scagliati a diversi metri di altezza dalla superficie marina. È notevole anche la scoperta, fatta pochi anni fa, di un maremoto nel Golfo di Napoli nel 1343, narrato da Petrarca, che ne fu spettatore diretto, dovuto al vulcano Stromboli. Nonostante il ricorrente allarmismo dei media sulle eruzioni sottomarine, il rischio di queste è certamente minore delle eruzioni di vulcani fortemente esplosivi come il Vesuvio e i Campi Flegrei, localizzati in aree densamente popolate. Il vulcano del Mediterraneo che pone il rischio più alto di maremoto non è, come i media affermano, il Marsili o un altro vulcano sottomarino, bensì lo Stromboli, con i suoi 3 mila metri di altezza, 920 dei quali sopra il livello del mare. Sebbene le tipiche eruzioni ‘stromboliane’ siano al più basso gradino delle eruzioni esplosive, questo vulcano è in realtà temibile perché il suo versante Nord-Ovest, detto "Sciara del Fuoco", è estremamente ripido e quindi molto instabile. Quando avvengono grandi risalite di magma nei condotti superficiali, il magma spinge le pareti del vulcano, e può quindi ulteriormente destabilizzare il fianco del vulcano. Un meccanismo che può generare frane, come accadde nel dicembre 2001, quando una di esse causò un maremoto che, sulle spiagge dell’isola, raggiunse i 7 metri d’altezza d’onda. Le frane di Stromboli sono particolarmente pericolose perché scaricano in mare un’energia data dalla massa della roccia in frana moltiplicata per l’accelerazione di gravità e per l’altezza di caduta, che qui è di almeno 2 mila metri (profondità del fondale). La frana del 2001 era piccola, ma nell’eventualità che l’intera Sciara del Fuoco (circa 1 km3 di roccia) franasse in mare in un unico episodio, il maremoto prodotto sarebbe catastrofico per l’intero bacino del Mediterraneo, con onde alte da 5 a 10 metri fino alle coste francesi e spagnole. Allora, proprio come raccontano le vecchie leggende marinare, e i grandi poemi dei popoli di navigatori, il Mediterraneo è un mare che nasconde segreti magnifici, ma a volte incredibilmente pericolosi. ▲ *Dirigente di Ricerca INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)Next >