< PreviousL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 50 R ay non poteva certo immaginare che collezionare vecchi libri tecnico-scientifici avrebbe avuto un risvolto così sorprendente. Era una pomeriggio del 2010 quando Raymond Sorenson, un geologo in pensione, sfogliando un volume dell'Annual Scientific Discovery di David A. Wells del 1857, si trovò di fronte il nome di Eunice Newton Foote. La Foote era una filosofa, un’inventrice e un’attivista per i diritti delle donne di New York; aveva studiato al Troy Female Seminary e frequentato quella che sarebbe diventata la Rensselaer Technological University. Condusse esperimenti per comprendere l'interazione tra i diversi gas atmosferici e raggi solari. Utilizzando quattro termometri a mercurio, due cilindri di vetro e una pompa ad aria, isolò alcuni gas che compongono l'atmosfera e ne misurò le variazioni di temperatura in caso di esposizione al Sole e in diverse condizioni di umidità. La procedura era semplice: ogni cilindro conteneva due termometri e, grazie alla pompa ad aria, l’aria veniva eliminata da un cilindro per essere compressa nell’altro. Quando entrambi i cilindri raggiungevano la stessa Eunice Newton Foote è la scienziata che ha scoperto l'effetto serra ed è stata dimenticata dalla storia del clima e della scienza Il clima è donna STORIA / di Mirella Orsi*L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 51 *Giornalista scientifica temperatura, venivano posizionati con i loro termometri al Sole, sia sotto i raggi diretti sia all’ombra, misurando la variazione di temperatura. Ripetendo l’esperimento con idrogeno, aria comune e CO 2 , la scienziata scoprì che l'effetto di riscaldamento era più significativo per il cilindro contenente l’anidride carbonica e più evidente nell'aria umida rispetto all'aria secca. Eunice concluse che l'anidride carbonica, allora chiamata "gas di acido carbonico", “intrappolava” la maggior parte del calore, raggiungendo una temperatura di 125 °F (52 °C). Il 23 agosto 1856, centinaia di scienziati da ogni parte degli Stati Uniti si riunirono a New York, per il X Annual Meeting dell’American Association for the Advancement of Science. Tra i paper presentati ce n’era uno firmato da Eunice Newton Foote, intitolato “Circumstances affecting the heat of the sun's rays”: «Il recipiente che contiene questo gas si è riscaldato molto, molto più dell'altro e quando è stato rimosso [dal Sole] ha richiesto molto più tempo per raffreddarsi» aggiungendo che «un'atmosfera fatta di quel gas darebbe alla nostra Terra una temperatura elevata». Nonostante il lavoro pionieristico, l'unico con rilevanza scientifica, durante il meeting alla Foote fu impedito di leggere il suo paper che fu presentato dal professor Joseph Henry dello Smithsonian Institute, ma né il paper né la presentazione di Henry furono inclusi negli atti della conferenza. Nel 1856, lo studio fu pubblicato su The American Journal of Science; gli editori colpiti dal fatto che una "donna" potesse avere le abilità necessarie per fare ricerca scientifica scrissero: «Siamo felici di dire che è stato fatto da una signora». Una sintesi fu inserita nel volume Annual of Scientific Discovery di David A. Wells del 1857. Ricerca dimenticata Nel 1859, John Tyndall, fisico irlandese, considerato il primo ad aver intuito la relazione tra aumento della temperatura e anidride carbonica, pubblica risultati simili a quelli della Foote dimostrando che l'effetto serra deriva dal vapore acqueo e da gas come l'anidride carbonica che assorbono ed emettono energia termica a infrarossi. Tyndall cita Mathias Pouillet e il suo lavoro sul passaggio della radiazione solare attraverso l'atmosfera e non fa alcun accenno alla Foote. È vero che il lavoro di Tyndall era molto più completo ma è innegabile che Eunice Newton Foote abbia stabilito per prima il legame tra l'anidride carbonica e l'aumento della temperatura. Successivamente della scienziata si perdeva traccia e solo cercando con cura nella storia dell’emancipazione femminile americana era possibile trovare una certa Eunice Newton Foote “paladina dei diritti delle donne, brava ritrattista e paesaggista". Nel 2011, circa un anno dopo la sua scoperta, Ray Sorenson pubblica l’articolo "Eunice Foote's Pioneering Research on CO 2 and Climate Warming". Nel 2017, lo Smithsonian Institution lancia un appello online per far conoscere la sua storia. L’anno dopo l’University of California organizza l’incontro “Science Knows No Gender: In Search of Eunice Foote Who 162 Years Ago Discovered the Principal Cause of Global Warming”. Parlando del suo contributo scientifico, Annarita Mariotti, NOAA's Climate Program Office: «È un promemoria della lotta fatta dalle donne per emergere nel mondo scientifico e nella società. La sua storia ci ricorda che le prove relative ai concetti base delle scienze climatiche, come il Global warming potential (GWP) dell’anidride carbonica, sono state raccolte oltre 150 anni fa». Introducendo la relazione della Foote, il professor Joseph Henry disse che «La scienza non era di alcun Paese e di alcun sesso» ma anche lui decise di sottovalutare l’importanza di quella scoperta. Molto è cambiato dal 1856, eppure la prefazione di Henry continua a essere attuale e mentre ci chiediamo quante altre “scienziate dimenticate” ci siano ancora, resta una domanda: riusciremo mai a mettere veramente in pratica le parole di Henry? E se sì, quando? ▲ Bringing to light Scienziate per il Clima L’11 febbraio si celebra la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza istituita dall’ONU, per riconoscere il ruolo fondamentale dell'universo femminile nella scienza e nella tecnologia. In occasione dell’edizione 2022, ECOFUTURO Magazine lancia un’iniziativa per far conoscere le ricercatrici delle scienze ambientali. Bringing to light- Scienziate per il clima è rivolto a tutte le ricercatrici che, in Italia e all’estero, lavorano oggi nei progetti di ricerca nel settore ambientale. Se sei una ricercatrice e ti occupi di ambiente (energia, biodiversità, sostenibilità, cambiamenti climatici, etc.) compila il FORM e raccontaci di te e del tuo lavoro. Tra tutti i progetti pervenuti entro e non oltre il 15 dicembre 2021, saranno selezionati un numero massimo di dieci progetti che, in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza 2022 saranno protagonisti di uno speciale in uscita con il numero di gennaio/febbraio. Per maggiori info bringingtolight.ecofuturo@gmail.com Responsabili del progetto: · Mirella Orsi, Science Writer e divulgatrice scientifica · Sergio Ferraris, giornalista scientifico e ambientale · Michele Dotti, Direttore L’Ecofuturo Magazine Dettagli Modulo · Nome/Cognome · Bio (indicare numero battute) · Area scientifica · Nome progetto di ricerca · Paese/i di realizzazione del progetto · Link esterni · Foto · Privacy Hashtag #BringingToLight #scienziateXclima #scientists4climate #WomenScienceDay L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 52 G li altissimi prezzi del gas e del carbone dovrebbero far riflettere sull’urgenza di correre verso la diffusione delle rinnovabili. Come ricorda Terna «Con una maggiore penetrazione dell’elettricità verde e degli accumuli si ridurrà il numero di ore in cui il prezzo all’ingrosso verrà definito da tecnologie alimentate a gas, limitando così sempre più l’esposizione della tariffa alla volatilità dei prezzi del metano e della CO 2 ». La stessa presa di posizione viene fatta propria, con anche maggior autorevolezza, dai vertici della Commissione Europea e della International Energy Agency (Iea). Un messaggio chiaro sulla necessità di accelerare nel medio e lungo periodo il contributo del solare e dell’eolico. Ma sul breve, questo contesto di incertezza non aiuta certo il lancio della Cop 26 a Glasgow. Oltre agli impegni assunti dalla UE, dagli USA e da decine di altri Paesi in termini di riduzione delle emissioni, sarà importante capire come si muoveranno alcuni attori importanti, come la Russia, l’India, l’Australia e naturalmente la Cina, che ha preso l’impegno di arrivare alla neutralità carbonica al 2060, ma che dovrebbe chiarire meglio l’obiettivo al 2030. La Iea nel suo recente “World Energy Outlook 2021” evidenzia i passi avanti fatti dalla firma dell’Accordo di Parigi, ma sottolinea la distanza rispetto alla traiettoria necessaria per arrivare alla neutralità climatica a metà secolo. E veniamo all’Italia. Sul fronte delle rinnovabili veniamo da otto anni di calma piatta, con incrementi minimi di elettricità verde. La situazione è però destinata a cambiare con ben 58 GW rinnovabili da installare entro il 2030, una ventina in più rispetto a quanto previsto dal “vecchio” Piano Nazionale Energia e Clima presentato solo due anni fa. È interessante sottolineare come nel periodo 2022-2030 la potenza solare annua da installare dovrebbe essere mediamente di ben otto volte superiore rispetto al recente passato. In totale nel 2030 il nostro parco elettrico dovrebbe vedere 114 GW verdi, oltre il doppio della capacità installata nel 2020. Per raggiungere questi obiettivi e quelli ben più ambiziosi al 2050, quando il solo fotovoltaico dovrà generare più elettricità di quanto ne utilizziamo complessivamente oggi in Italia, è chiaro che dovremo conciliare la visione decentrata con la realizzazione di grandi impianti. La piccola scala favorisce il controllo dal basso da parte dei cittadini, riduce i problemi autorizzativi, elimina sostanzialmente gli impatti paesaggistici e va quindi privilegiata. Ma non è sufficiente. Una strategia “spinta” deve infatti puntare su un mix di impianti di piccola e grande taglia. Per questo è opportuno che le Regioni definiscano le “aree idonee” e che si semplifichino i processi autorizzativi. Ma deve cambiare anche l’attuale contesto di diffuse opposizioni locali, che si tratti di un parco eolico, di una centrale solare o di un digestore anaerobico. Occorre un grande livello di maturità che il mondo ambientalista peraltro sta già dimostrando. ▲ Il post pandemia e le tensioni sui mercati energetici internazionali di sicuro non aiutano i già complessi negoziati della Cop 26 il. di Gianni Silvestrini* Clima d’incertezza *Direttore scientifico Kyoto ClubL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 53 Contabilità climatica C lima. Cina e India sono, assieme agli Stati Uniti, tra i maggiori "imputati" specialmente in Europa e in Italia dove ci consideriamo "virtuosi". Nel 2018, ultimi dati consolidati, infatti, la Cina ha emesso 10,6 miliardi di tonnellate di CO 2 - il 28% del totale, gli Stati Uniti, 5,41 miliardi il 15% - e l'India, 2,65 miliardi, il 7%. Numeri enormi da "enormi" inquinatori contro i quali "tuonano" molti di quelli che sono contro gli obiettivi di emissione europei. Ma il discorso cambia se analizziamo le cose per bene e facciamo il confronto procapite. Tra le tre potenze sul banco degli imputati più alto ci sono gli statunitensi con 16,5 t/anno ognuno - sono al 4° posto della classifica generale - i cinesi al secondo gradino con 7,5 t/anno ognuno - 13° posto in assoluto - e gli indiani al terzo con 1,96 t/anno procapite - 21° assoluto. Per dare un'idea, i tedeschi emettono 9,12 t/anno procapite, i polacchi 9,1 e gli italiani 5,5. E se non dovesse bastare, andiamo a vedere le serie storiche. Dal 1880 a oggi gli Stati Uniti hanno emesso 404,95 miliardi di t/CO 2 , la Cina 209,81, l'India 49,32, la Germania 91,28 e l'Italia 24.04 miliardi di t/CO 2 . E ancora. Sempre nel 2018, il 17,95% del Pil cinese è andato in esportazioni mentre è stato esportato per il 18,43% dall'India. Tradotto: circa il 18% delle emissioni di questi due Paesi "viaggia" all'estero con i prodotti e va imputato a chi questi beni li consuma. Ossia noi. E tutto ciò peserà, e non poco, sulla Cop 26 di Glasgow. ▲ Scavando un po' nella "contabilità climatica, ci si accorge che le cose non sono esattamente come le dipingiamo in Occidente L'AMBIENTE IN NUM3RI a cura di Sergio Ferraris*54 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 TESTIMONIANZE / di Fabio Roggiolani L e attività di dragaggio nelle infrastrutture portuali del territorio nazionale e nelle acque marino- costiere sono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti. Con la nostra proposta di modifica che è stata approvata in Commissione congiunta – sottolineano i deputati Paola Deiana e Paolo Ficara – viene dato il via libera al Piano nazionale dei dragaggi sostenibili, al fine di consentire lo sviluppo dell’accessibilità marittima e della resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici e la manutenzione degli invasi e dei bacini idrici». Con questa dichiarazione, si concludeva a luglio 2021 un duro confronto parlamentare tra chi voleva semplificare, indipendentemente dagli effetti ambientali e chi, sostenuto dai vari Ministeri del Governo, voleva adottare le nuove tecnologie di dragaggi sostenibili e non inquinanti in linea con la risoluzione del Parlamento Europeo (https://bit.ly/2WJnDo4). La nuova tecnologia dell’eco-dragaggio che Ecofuturo presenta, propone e sostiene da anni, grazie all’impegno del Prof. Giuliano Gabbani, ha portato a stilare le nuove I dragaggi classici, una grande fonte di inquinamento, sono ormai superati da una nuova tecnologia ecosostenibile. Una conquista che occorre difendere da tentativi di deregulation Ecorivoluzione sul fondo «L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 55 sedimenti derivanti dai dragaggi portuali. Su questi temi abbiamo sempre avuto un dialogo con i rappresentati politici che si sono adoperati per realizzare una vera transizione ecologica del settore. Fincantieri ha adottato l’invenzione di Decomar, proiettandosi a livello mondiale come leader dei dragaggi del futuro. Stiamo fronteggiando i tentativi di ritornare a un passato insostenibile in nome di semplificazioni normative che auspicherebbero una sorta di deregulation ma che avrebbero come unico effetto quello di far retrocedere il nostro Paese di cinquant'anni. La strada di questo enorme mercato mondiale dei dragaggi ecologicamente sostenibili è stata tracciata. L’unico vero limite è rappresentato dalla capacità di Fincantieri di rispondere in tempi brevi all’enorme richiesta di eco- draghe per fronteggiare una domanda dalle dimensioni infinite in grado di risparmiare al Pianeta nuove offese creando lavoro green e buona economia. ▲ norme per identificare e certificare un ecodragaggio e con il suo inventore, Davide Benedetti di Decomar, a veder assegnati importanti lavori (https://bit.ly/3FeIcKq). Quando Michele Dotti, il direttore, mi ha chiesto di scrivere questo articolo, non speravo che avremmo avuto la nuova draga nel porto di Ravenna in procinto di iniziare il lavoro, invece essa è già arrivata e sta avviando l’attività. Da un’anticipazione di Ecquologia (https://bit.ly/3l9wNUk), la vediamo navigare verso il Porto. Tecniche vecchie e nuove: la differenza Il termine dragaggio identifica una serie di attività volte alla movimentazione dei sedimenti che si attua con diverse tecnologie: • draghe classiche, prelevano i sedimenti con la benna e li scaricano su una nave. Questa tecnologia è molto impattante per l’ambiente perché genera una elevata risospensione delle parti più fini del sedimento che intorbidiscono il corpo idrico e si propagano con le correnti. Queste componenti più o meno contaminate, determinano nei migliori dei casi i noti effetti di anossia. Questa è una delle motivazioni per cui nel nostro Paese è così difficile attuare un intervento di dragaggio; • draghe aspiranti e refluenti, prelevano i sedimenti per mezzo di una pompa chiamata sorbona che utilizza l’acqua quale vettore di trasporto per il materiale escavato, amplificano i volumi movimentati dalle 10 alle 20 volte. Se in quei sedimenti è presente qualche contaminante si ingigantirà il problema, con improponibili costi economici e ambientali; • eco-dragaggio si basa su una tecnologia a circuito chiuso in cui la rimozione dei sedimenti avviene senza comportare alcun prelievo di acqua, evitando la risospensione e i conseguenti fenomeni di torbidità. Oltre alla spiccata tutela ambientale si concretizzano i princìpi di economia circolare. I sedimenti, separati per le loro caratteristiche, sono resi compatibili con i riutilizzi più opportuni. (ripascimenti di spiagge in ambito marino costiero e in opere di difesa idraulica e/o in edilizia in ambito di acque interne). Noi di Ecofuturo ci siamo impegnati per anni per sdoganare questo tema dal mondo elitario della burocrazia degli enti e delle autorità portuali portandolo all’attenzione dei media e generando un interesse crescente, centrale nell’applicazione del Pnrr, anche costruendo un laboratorio tematico dedicato agli eco-dragaggi e alle autostrade del mare. Con Decomar è stato elaborato il progetto “Banca delle Sabbie” (con una mozione specifica in Toscana e nelle Marche) per risolvere il riutilizzo dei Ecodragaggi circolari • Con gli ecodragaggi il materiale da trattare è circa 1/6 del totale dragato secco. • Con la draga a benna è il doppio del dragato, ovvero 12 volte quello dell’eco- dragaggio. • Con la draga aspirante e refluente (sorbona) il totale da trattare è 10 volte il dragato secco, ovvero 60 volte quello dell’eco-dragaggio. a pag. 54, Ecodragaggio con la tecnologia Limpidh2o. Nella foto sottostante, dragaggio tradizionale con le benne Davide Benedetti, CEO Decomar e inventore del sistema LimpidH2056 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 PRATICHE / di Francesco Dal Conte M anca poco al 31 ottobre 2021. Glasgow è pronta ad accogliere, fino al 12 novembre, la Cop 26 - Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Una data attesa dal 2020, posticipata per l’avvento del Covid-19 ma destinata a fare la storia. Al centro, l’emergenza climatica e la spinta alla transizione energetica, temi dibattuti e su cui aziende, istituzioni e nuove generazioni stanno lavorando per ottenere una neutralità carbonica tanto ambita e necessaria per la salvaguardia del Pianeta. Tra le aziende protagoniste, figura anche Snam che negli ultimi anni ha dedicato un focus crescente alla transizione energetica sia con investimenti finalizzati a rendere sempre più sostenibili le proprie attività “core” sia attraverso nuove linee di business. Sul fronte interno, Snam si è data l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica al 2040, con un target intermedio di riduzione delle emissioni dirette e indirette di CO 2 equivalente (Scope 1 e 2) del La difesa del clima non è fatta solo di politiche multilaterali, ma anche di esperienze concrete specialmente nei settori “hard to abate” Ceramica all'idrogenoL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 57 50% entro il 2030. Mentre, per quanto riguarda gli sforzi di decarbonizzazione intrapresi verso l’esterno, la società sta investendo nei nuovi business dell’efficienza energetica, del biometano, della mobilità sostenibile e dell’idrogeno. Un impegno quello dell’azienda con sede a San Donato Milanese (MI) rimarcato anche in occasione della Pre- Cop, l'ultima riunione ministeriale ufficiale prima della Cop che si terrà in Scozia. Durante l’evento “The H2 Road to Net Zero”, in collaborazione con Bloomberg e Irena (International Renewable Energy Agency), e tenutosi presso il Mudec – Museo delle Culture nel capoluogo lombardo, sono state annunciate due importanti partnership finalizzate a promuovere l’idrogeno come vettore per un futuro carbon neutral. In linea con il proprio impegno a rendere sostenibili i settori cosiddetti “hard to abate”, Snam ha sottoscritto con Iris Ceramica Group un protocollo d’intesa per un progetto industriale che prevede lo studio e lo sviluppo della prima fabbrica di ceramica al mondo alimentata a idrogeno verde. Il nuovo stabilimento sorgerà a Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, nel comparto produttivo aziendale di Via Radici Nord e sarà dotato entro il prossimo anno di tecnologie native che consentiranno di utilizzare l’idrogeno verde. Nel commentare l’iniziativa, Marco Alverà, amministratore delegato di Snam, ha sottolineato come questa collaborazione si aggiunga a quelle che Snam porta avanti in altri settori come l’acciaio, il vetro e i trasporti ferroviari e come rappresenti un primo passo verso la produzione in futuro di ceramica a zero emissioni di CO 2 . «Attraverso le nostre infrastrutture e le nostre tecnologie - ha dichiarato Alverà - vogliamo contribuire ad abilitare una filiera nazionale dell’idrogeno per favorire il raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali ed europei e al tempo stesso garantire la competitività della nostra industria». «Il nostro gruppo è sempre stato spinto da un forte spirito innovatore e dall’attenzione costante per la sostenibilità ambientale, facendo spesso da apripista nel mondo ceramico, settore industriale fortemente energivoro per la tipologia dei processi produttivi che si caratterizzano per produzioni ad alta intensità energetica» ha aggiunto Federica Minozzi, CEO di Iris Ceramica Group, che ha inoltre ricordato come «questo programma industriale va ad aggiungersi ai diversi progetti di innovazione sostenibile creati in 60 anni di attività imprenditoriale». Quando si parla di cambiamento climatico non esiste impegno che non venga condiviso e Snam si è fatta promotrice di un ulteriore accordo, siglato nella cornice dello stesso evento e alla presenza del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Lo stesso Alverà ha sottoscritto un memorandum d’intesa con Francesco La Camera, direttore generale di Irena, l'organizzazione intergovernativa che sostiene la transizione sostenibile e rinnovabile dei Paesi. L’obiettivo è dare vita a iniziative congiunte finalizzate a sviluppare l'idrogeno verde a supporto della transizione energetica globale. Le parti collaboreranno per studiare ed eventualmente implementare, insieme ad altri partner, progetti pilota finalizzati alla produzione di idrogeno da rinnovabili, al suo trasporto e alla sua distribuzione, con l’obiettivo di sviluppare business case replicabili. «Questo accordo con Irena – ha commentato Marco Alverà – costituisce una tappa importante del percorso che porterà l’idrogeno e il biometano a diventare parte integrante della soluzione per la transizione ecologica e la lotta ai cambiamenti climatici». «Snam e Irena – ha dichiarato Francesco La Camera, direttore generale di Irena – condividono la visione del ruolo chiave dell'idrogeno verde per abilitare una decarbonizzazione profonda. L'idrogeno verde può essere un elemento determinante, rendendo disponibile energia rinnovabile agli utenti finali nei settori in cui l'elettrificazione diretta è limitata, quali l'industria pesante e i trasporti pesanti». ▲58 L'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 Il salto, in alto, per il clima ESPERIENZE / di Alessandro Spada* L e Olimpiadi di Tokyo 2020 ci hanno dato grandi soddisfazioni con una delle nazionali più in forma degli ultimi decenni e le medaglie di Tamberi e Jacobs hanno scritto una pagina indelebile della nostra storia sportiva. Le Olimpiadi della sostenibilità Sicuramente Tokyo rimarrà nella storia come “l’Olimpiade dell’anno dispari” e degli stadi vuoti; speriamo che rimanga anche il simbolo di una nuova idea di sostenibilità e non è un caso che abbia avuto luogo sul territorio giapponese. Sappiamo quanto il popolo nipponico sia legato alla natura. Per questa occasione gli organizzatori hanno deciso di porre l’ambiente al centro della manifestazione scegliendo come motto dell’evento “Be better, together – for the Planet and the people”, portando avanti gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Se da un lato ci ritroviamo a gioire per l’ennesimo record del mondo o per una medaglia di un nostro atleta dovremmo essere ancor più felici pensando La sostenibilità nei giochi olimpici può sembrare una goccia nell'oceano di CO 2 , ma ha un'enorme valenza simbolica ed educativaL'ECOFUTURO MAGAZINE settembre/ottobre 2021 59 che questa è stata realizzata con materiali di riciclo. Sì, esatto, i metalli “più pregiati” di queste Olimpiadi sono stati estratti dalla spazzatura. Le oltre 5 mila medaglie assegnate durante i giochi provengono da una campagna di raccolta di componenti elettroniche usate, partita ad aprile 2019, che ha coinvolto tutte le province del Giappone. Da 80 mila tonnellate di rifiuti specializzati e 6.3 milioni di telefoni e vecchi smartphone si sono attinti i materiali per la costruzione del medagliere. Obiettivo Tokyo 2020: azzerare le emissioni Sul risparmio di energia gli organizzatori dell’evento hanno subito messo in chiaro l’obiettivo: “azzerare le emissioni di CO 2 ”. L’energia da fonti rinnovabili ha alimentato gli impianti sportivi e il villaggio olimpico. Per compensare le emissioni di gas serra non poteva mancare l’attenzione alla mobilità sostenibile. Toyota, leader nella mobilità green, ha portato una flotta di veicoli ibridi e a idrogeno Fonte: https://bit.ly/3yWAvEa per il trasporto quotidiano delle migliaia di persone coinvolte nell’evento. Plastica, cartone e legno di riciclo La costruzione del villaggio olimpico è una delle spese che impattano maggiormente sugli investimenti Olimpici. Per questo Tokyo ha scelto la tecnica del “Baton - Building Athletes' village with Timber Of the Nation”. Con il legname donato da 60 città giapponesi che vedranno il ritorno del materiale alla fine dei giochi che potrà essere utilizzato per ulteriori opere è stato costruito il villaggio olimpico. Nel periodo precedente ai giochi sono state raccolte sulle spiagge nipponiche 45 mila tonnellate di rifiuti plastici da cui sono stati ricavati i cento podi olimpici di Tokyo 2020. Anche i letti degli atleti, oltre ad avere una struttura in cartone riciclato, sono stati dotati un materasso in plastica che risulta essere un’alternativa valida ed economica ai più comuni materassi in lattice. Tra Tokyo 2020 e Glasgow 2021 Appena finiti i giochi Olimpici ci troviamo di fronte ad un altro importante evento. Dal 1 al 12 novembre 2021 si terrà a Glasgow la Cop 26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la prima sul territorio britannico. Questo meeting accende una nuova luce sulla sostenibilità ambientale e noi italiani siamo in prima linea in quanto co- organizzatori dell’evento. L’appuntamento di Glasgow ha tutte le carte per essere un punto di partenza verso una visione più attenta nell’adattamento ai cambiamenti climatici. Per troppo tempo le Nazioni meno industrializzate non si sono assunte obblighi in tema di ambiente e sostenibilità che Unione europea e USA seguono già da tempo. Si sente sempre parlare di neutralità carbonica e nonostante molti Paesi si stiano orientando nella giusta direzione, la strada per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto e Parigi è ancora molto lunga. La speranza va riposta nella conferenza scozzese, specialmente dopo un G20 a presidenza italiana che non ha portato i risultati sperati in termini di ambiente e conservazione degli ecosistemi. Un primo segnale positivo sulla possibile riuscita della Conferenza di novembre c’è stato nel luglio scorso quando, a Londra, si sono riuniti i rappresentanti di 51 Nazioni per tracciare le linee guida della Cop 26, con particolare focus sul monitoraggio degli impegni per ridurre le emissioni. A questo incontro si sono sommate le decisioni prese durante gli incontri di Milano del 30 settembre e del 2 ottobre, che sono andate a rimarcare ancora una volta l’urgenza di impegni concreti a livello ambientale. Come si è visto, con l’esempio dei Giochi Olimpici, il cambiamento nei confronti dell’ambiente è già in atto e la salvaguardia del Pianeta sembra essere un obiettivo fondamentale, specialmente per le nuove generazioni. Speriamo che grazie anche all’evento di Glasgow, si riescano a trovare le giuste politiche per permettere a noi e alle generazioni future di preservare l’ambiente attraverso una nuova idea di sostenibilità. ▲ * PapernestNext >